Di Fabrizio Scarinci
MOSCA. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, portavoce di Putin ha reso noto che i vertici della Federazione Russa starebbero studiando attentamente le dichiarazioni a seguito dei negoziati apertisi ,ieri a Jeddah tra Stati Uniti e Ucraina, specificando come Mosca si aspetti, ora, che il segretario di Stato americano Marco Rubio e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz forniscano maggiori dettagli riguardo ai colloqui.

Nell’ambito dell’incontro, infatti, la delegazione di Kiev si sarebbe dichiarata disponibile ad accettare un immediato cessate il fuoco di trenta giorni estendibile anche in seguito alla sua scadenza; un’eventualità sulla quale si era già registrata, nel corso delle ultime ore, una timida apertura del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che avrebbe lodato gli USA “per la loro disponibilità ad intavolare negoziati seri”, specificando, però, come, dal punto di vista russo, l’eventuale presenza di truppe NATO in territorio ucraino come parte di una missione volta al mantenimento della pace continui ad essere inaccettabile in ogni caso e sotto qualsiasi bandiera.

Gli ultimi sviluppi dei colloqui tenutisi a Jeddah sembrerebbero aver portato un’immediata distensione anche nei rapporti tra Washington e Kiev, con il Presidente Trump che avrebbe reso nota la propria disponibilità a reinvitare il suo omologo ucraino Zelensky alla Casa Bianca e a sbloccare gli aiuti di carattere militare.
Dal canto suo il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha, invece, ringraziato il governo statunitense per aver tenuto conto delle esigenze di Kiev (ossia “silenzio nei cieli e nei mari da parte dei droni, dei missili e delle bombe del Cremlino e attuazione di misure concrete allo scopo di costruire fiducia, prima fra tutte il rilascio dei prigionieri”), ribadendo la sua disponibilità a firmare quanto prima il famoso accordo sulle terre rare tra Washington e Kiev.

Dal Dipartimento di Stato si è, quindi, fatto capire come la palla sia ora nel campo russo, con il segretario di Stato Marco Rubio che ha spiegato come un “sì” da parte di Mosca comporterebbe un grande progresso, mentre un “no” rappresenterebbe la volontà del Cremlino di ostacolare un eventuale processo di pace.
In generale si può, tuttavia, affermare come, dall’inizio del conflitto ucraino, non sia mai stati così vicini al raggiungimento di una cessazione dei combattimenti.
L’eventuale accordo arriverebbe in un momento decisamente molto critico per l’Ucraina, che, oltre a patire attacchi aerei e missilistici sempre più intensi, sperimenta da ormai diversi mesi una lenta ma inesorabile avanzata delle forze russe sul proprio territorio.
Per tale ragione, la pace che scaturire dalle future trattative sarà certamente molto diversa dalla cosiddetta “pace giusta” da molti invocata nel corso degli ultimi tre anni, che prevedrebbe la totale restituzione a Kiev dei territori occupati da Mosca.
Nondimeno, la Storia dei conflitti umani non è fatta di “paci giuste” ma di accordi basati sui rapporti di forza.
In tale ottica, l’attuale Amministrazione statunitense (già di suo particolarmente propensa ad evitare il consolidamento della “special relationship” tra Mosca e Pechino) sembrerebbe essere arrivata alla conclusione per cui, anche in ragione del graduale asservimento del sistema produttivo russo alle esigenze dell’apparato militare, fermare le forze di Mosca in avanzata sia ora divenuto impossibile senza un intervento diretto della NATO; eventualità che rischierebbe, però, di provocare un conflitto nucleare su vasta scala e che, proprio per questo, tutti i membri dell’Alleanza avevano già escluso nel corso degli ultimi anni, arrivando a prenderla ufficialmente in considerazione solo in risposta ad un eventuale utilizzo di ordigni nucleari russi sul suo ucraino.
In definitiva, per Mosca sembrerebbe profilarsi una sorta di vittoria parziale, che potrebbe portarla ad annettere il 20% circa del territorio ucraino e ad evitare l’ingresso di Kiev nella NATO; cosa, tra l’altro, non dovuta a Trump ma già emersa nel corso degli ultimi due vertici dell’Alleanza.
Allo stesso tempo, tuttavia, non si può non ricordare come, da un lato, i più importanti obiettivi iniziali della cosiddetta “operazione militare speciale” (costituiti dalla neutralizzazione del governo Zelensky e dall’attuazione di un “regime change”) siano completamente falliti e, dall’altro, come, pur non essendo paragonabile alla presenza di forze NATO, l’accordo sulle terre rare tra USA e Ucraina, potrebbe comunque costituire una sorta di schermatura a vantaggio di Kiev.
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