Guerra russo-ucraina: l’Alto rappresentante della U.E. per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Josep Borrell ipotizza un conflitto su larga scala tra Mosca e l’Occidente. L’opinione pubblica contraria all’invio di armi a Kiev

Di Marco Petrelli

ROMA. “Ci stanno portando alla guerra?” è la scritta in sovrimpressione del servizio realizzato dalla trasmissione televisiva “Fuori dal Coro” di Mario Giordano (Rete 4), in Polonia e nelle Repubbliche baltiche, in occasione dell’esercitazione NATO Dragon 24, in onda ieri sera.

Una delle attività esercitative alla Dragon 24

Esercitazione andata in scena oltre un mese fa e che torna di attualità dopo le parole dell’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Josep Borrell circa l’eventualità di un conflitto su larga scala Mosca-Occidente.

L’Alto Rappresentante Josep Borrell

Esiste davvero la possibilità di una guerra aperta con la Russia?

Chi si occupa di politica internazionale da ben prima “dell’Operazione speciale” può affermare, con quasi certezza, che uno scontro fra Est-Ovest sia opzione remota.

Un soldato russo

Tangibile, invece, un problema di carattere comunicativo con la popolazione europea che, sul medio-lungo periodo, potrebbe provocare una profonda spaccatura fra il mondo civile e le istituzioni civili e militari europee.

A più di due anni dall’invasione dell’Ucraina, infatti, la percezione degli europei circa il sostegno militare a Kiev è cambiata.

In un sondaggio, realizzato a fine marzo scorso, da IPSOS per Euronews.com, The importance of aid to Ukraine, rivolto a 26 mila cittadini europei di 18 anni, è emerso che il 36% degli intervistati ha ritenuto il sostegno della Ue una priorità.

Un altro 36% ha detto che è importante ma non è una priorità e il restante 27% non ha saputo cosa rispondere.

Più del 60% quindi o non sa cosa fare o non pensa che aiutare Kiev sia una cosa prioritaria.

Ma è proprio l’ istituzione Ue a fornire il dettaglio più significativo.

Nell’ultimo report mensile pubblicato, Public Opinion on Russia’s war in Ucraine ( 29 febbraio), si legge infatti che fra la popolazione europea sarebbe ancora saldamente diffuso il concetto di sostegno tramite l’accoglienza dei profughi, gli aiuti umanitari, le sanzioni alla Russia. Sull’invio di armi la percezione cambierebbe sensibilmente.

Le guerre post coloniali, il conflitto americano in Vietnam, la guerra sovietica in Afghanistan ci hanno insegnato quanto pesante sia il giudizio dell’opinione pubblica sul futuro delle campagne.

I francesi si ritirarono dall’Algeria quando il Governo De Gaulle si accorse che i francesi avevano ormai abbandonato il sogno coloniale; la linea segnata da Kennedy e da Lindon Johnson in Vietnam si ruppe con la crescente impopolarità del conflitto.

Il Presidente francese Charles de Gaulle negli anni ’60

Persino l’Urss, un regime totalitario, dovette fare fronte al sentiment popolare avverso che, insieme al tracollo economico, costrinse il Cremlino a ritirare i soldati dall’Afghanistan dopo 10 anni di guerra e altissime perdite umane sia civili sia militari. Senza contare il Paese centro-asiatico completamente devastato.

Il ritiro sovietico dall’Afghanistan

La volontà del proprio popolo a vincere è, dunque, fondamentale.

I vietnamiti e i mujaheddin l’avevano, gli statunitensi ed i russi no. Volontà, compattezza, condivisione sono elementi essenziali in una guerra, molto più del livello tecnologico delle armi in campo.

La pur remota prospettiva di una guerra in Europa a meno di 80 anni dalla fine del più devastante conflitto della storia umana è poco allettante.

Inoltre (sembrerà ripetitivo ma è così) i sacrifici patiti con la crisi economica, la pandemia, l’aumento del costo delle materie prime dopo l’attacco russo di due anni fa non hanno facilitato la “simpatia” degli europei per un coinvolgimento sempre maggiore sul fronte ucraino.

Potremmo aggiungere, da analisti, anche la poca e viziata informazione sull’andamento del conflitto.

E’ dal 2014 che Kiev riceve armi e aiuti per riconquistare le province separatiste del Donec senza riuscirci.

Dunque, ulteriori invii di armi senza una strategia precisa rischierebbe di fossilizzare la situazione per gli anni a venire, rischiando altresì di danneggiare l’immagine della NATO agli occhi di 260 milioni di cittadini europei.

La Guerra Fredda l’abbiamo vinta, di fatto, senza sparare un colpo, almeno nel Vecchio Continente.

Per fare questo l’Occidente ha fatto scelte da togliere il sonno: il mancato sostegno agli ungheresi nel 1956 e ai cecoslovacchi nel 1969, per citare i casi più noti e drammatici.

Né capi di Stato russi decisamente più pericolosi di Putin come Stalin, Malenkov e Krushev hanno osato un attacco su larga scala che avrebbe avuto l’unico esito di un conflitto nucleare globale.

Il dittatore comunista Stalin

Repetita iuvant: non ci sarà una guerra russo-europea, con buona pace di Borrell.

Più realistico che, con l’eccessivo allarmismo nel fronteggiare la crisi, le istituzioni civili e militari europee possano perdere il consenso della gente comune, realizzando un sensazionale autogoal a favore della propaganda russa.

Il danno sarebbe incalcolabile. Nessuno ricorderebbe ciò che di buono gli Eserciti europei, sotto cappello ONU o come Alleanza Atlantica, hanno realizzato in Medio Oriente, Africa, Asia anche al costo di rilevanti perdite umane, focalizzandosi soltanto sulle mancanze del presente.

La partita sullo scacchiere internazionale è delicata e va portata avanti con attenzione, soppesando ogni mossa e le sue potenziali conseguenze.

Un esempio? L’accordo 2% del PIL per le spese della NATO è stato elaborato nel 2006 e messo su carta nel 2014 .

Eppure c’è chi oggi cerca di collegarlo (in buona fede) all’esigenza di equipaggiarsi contro “l’Orso russo”.

Si trasforma così un piano di finanziamento ideato tanti anni fa nel fulcro di polemiche che non giovano a nessuno.

Un vero peccato ed un potenziale ostacolo a futuri, eventuali contributi alla sicurezza collettiva.

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