Intelligence: l’agenda politica internazionale del Governo Meloni e il ruolo dei Servizi Segreti italiani in occasione dei vertici che si terranno a Roma

Di Giuseppe Gagliano 

ROMA.  Se c’è un posto dove il telefono dei Servizi Segreti italiani squilla senza sosta in questi giorni, è proprio nella Capitale italiana.

Non bastavano i soliti problemi di casa nostra – mafie, corruzione, qualche politico che inciampa nei propri lacci – ora Roma si ritrova catapultata al centro di un risiko geopolitico che farebbe impallidire anche il più navigato degli 007.

Nelle prossime settimane, la Città Eterna ospiterà incontri tra i capisquadra europei, missioni di mediazione con Russia e Stati Uniti e persino colloqui con le giunte africane.

Il tutto mentre il mondo sembra danzare sull’orlo di un precipizio, con tensioni che si accavallano dal Mar Nero al Sahel. Per l’AISI e l’AISE, i nostri occhi e orecchie nell’ombra, è il momento di tirare fuori il meglio dal cassetto

O almeno di sperare che il caffè sia abbastanza forte.

Cominciamo dai fatti.

L’Italia, con quella sua posizione strategica che è insieme benedizione e maledizione, si è trasformata in un palcoscenico privilegiato per i grandi giochi di potere.

La sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri

 

Il Governo Meloni, che non ha mai nascosto ambizioni da mediatore internazionale, sta cercando di ritagliarsi un ruolo in un contesto globale che definire caotico è un eufemismo.

Da una parte, ci sono i capisquadra europei – Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Ursula von der Leyen – che si riuniranno qui per provare a mettere ordine in un’Unione Europea sempre più divisa sul da farsi: sostenere l’Ucraina fino all’ultimo o cercare una via d’uscita con Mosca che non sembri una resa?

Ursula von der Leyen

 

Dall’altra, ci sono Russia e Stati Uniti, che dopo anni di silenzi glaciali e missili parlanti, sembrano disposti a sedersi al tavolo, con Roma come terreno neutrale.

E poi l’Africa, quel continente che l’Italia corteggia con il Piano Mattei, ma che ribolle di colpi di Stato, giunte militari e interessi stranieri, dalla Wagner russa ai contractors americani.

Una mappa dell’Africa

 

Per i Servizi  Segreti italiani, questo è un banco di prova senza precedenti.

L’AISI, che vigila sul territorio nazionale, dovrà tenere d’occhio ogni angolo della Capitale: non solo per garantire la sicurezza dei leader in arrivo, ma anche per intercettare eventuali mosse di chi, tra spie straniere e faccendieri, potrebbe approfittare del caos per pescare nel torbido.

L’AISE, con il suo sguardo rivolto oltre confine, avrà il compito di decifrare le intenzioni di Mosca, Washington e delle capitali africane, in un momento in cui ogni parola può essere un bluff e ogni silenzio una minaccia.

Non è un mistero che i nostri apparati di Intelligence siano stati spesso criticati per una certa lentezza burocratica, eredità di un passato travagliato tra riforme incomplete e scandali come il caso Abu Omar. Ma stavolta non c’è margine per l’errore: il mondo guarda, e Roma deve dimostrare di saper reggere la scena.

Il contesto non aiuta.

La guerra in Ucraina continua a essere una ferita aperta, con Putin che non molla e gli Stati Uniti che oscillano tra l’isolazionismo di Trump e la realpolitik di un Biden ormai al tramonto. L’Europa, come al solito, parla con troppe voci: la Francia vuole guidare, la Germania tentenna, l’Est preme per la linea dura.

Intanto, in Africa, le giunte militari di Mali, Niger e Burkina Faso – sostenute da Mosca e osteggiate da Washington – stanno ridisegnando gli equilibri del Sahel, con l’Italia che cerca di non perdere il treno degli investimenti e della sicurezza energetica.

Roma, in questo groviglio, si offre come pontiere: una scelta nobile, ma che richiede nervi d’acciaio e una capacità di manovra che i nostri servizi segreti non sempre hanno dimostrato di possedere.

E poi c’è il fattore umano.

Immaginate la scena: un agente dell’AISE che sorseggia un espresso al bar sotto il Ministero, mentre cerca di captare una conversazione tra un diplomatico russo e un emissario del Pentagono.

O un analista dell’AISI che passa la notte a decifrare cablogrammi criptati, con un occhio ai droni che sorvolano il Tevere e l’altro alle proteste di piazza che potrebbero esplodere da un momento all’altro.

Non è Hollywood, è la realtà di un Paese che, volente o nolente, si trova a fare da cerniera tra Est e Ovest, Nord e Sud.

E se è vero che l’Italia ha una lunga tradizione di diplomazia discreta – pensate al ruolo di Giulio Andreotti durante la Guerra Fredda – è altrettanto vero che i tempi sono cambiati: oggi le spie non si limitano a pedinamenti e microfoni nascosti, ma combattono guerre silenziose nel cyberspazio, tra hacking e disinformazione.

Giulio Andreotti

Cosa possiamo aspettarci? Di sicuro, un sovraccarico di lavoro per i nostri Servizi.

Gli incontri con i leader europei saranno un test di coordinamento con le Intelligence alleate: MI6, DGSE, BND.

Le missioni di mediazione con Russia e Stati Uniti metteranno alla prova la capacità di Roma di navigare tra due superpotenze che si guardano in cagnesco, mentre l’Africa sarà il terreno dove l’Italia dovrà dimostrare di poter competere con i colossi globali senza farsi schiacciare.

Non dimentichiamo, poi, il rischio interno: in un momento di tensione geopolitica globale, i gruppi estremisti – di destra, di sinistra, o semplicemente opportunisti – potrebbero vedere in questi summit un’occasione per alzare la voce.

Eppure, c’è chi dice che l’Italia abbia un asso nella manica: la sua flessibilità.

Non avendo la potenza militare degli Stati Uniti o la spregiudicatezza della Russia, Roma ha sempre puntato sull’arte del compromesso, sulla capacità di parlare con tutti senza inimicarsi nessuno.

I Servizi Segreti, in questo, sono lo specchio del Paese: non perfetti, non infallibili, ma capaci di adattarsi.

Se riusciranno a tenere il passo nelle prossime settimane, potremmo scoprire che l’Italia, più che una pedina, è un giocatore vero.

Altrimenti, sarà meglio rifornirsi di aspirina: per gli agenti, e per tutti noi.

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