II Guerra Mondiale: un’analisi storica sui crimini nazifascisti. Parla Alessia A. Glielmi, responsabile degli Archivi del CNR

Roma. I crimini nazifascisti compiuti subito dopo l’8 settembre 1943 hanno visto tra le vittime militari e civili.

Internati militari italiani fotografati all arrivo nel campo di prigionia – Credit Fondo Vialli Museo della Resistenza di Bologna

Nell’intervista rilasciata a Report Difesa, Alessia A. Glielmi, responsabile degli Archivi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), docente di Archivistica e di Valorizzazione e Gestione degli archivi e delle Fonti storiche presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e componente del Comitato tecnico-scientifico per la progettazione della mostra “Nonostante il lungo tempo trascorso” , dedicata proprio ai crimini di quegli anni anni, e Ufficiale della Riserva Selezionata dell’Esercito Italiano, ha analizzato quei mesi dell’occupazione tedesca.

Siamo partiti dalla mostra al Vittoriano di Roma, conclusasi lo scorso 30 settembre e dedicata proprio ai crimini nazifascisti dal 1943 al 1945.

La mappa dell’occupazione nazista in Europa

Professoressa Glielmi, nel corso di questa mostra avete evidenziato uno dei periodi più bui della nostra  storia. Come l’avete raccontata?

La genesi e le motivazioni che hanno condotto alla realizzazione di questa mostra – svoltasi sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, promossa dal procuratore Marco De Paolis e resa possibile grazie allo Stato Maggiore della Difesa e alla Procura Generale Militare presso la Corte Militare di Appello ai quali si sono unite le competenze tecnico-scientifica del comitato scientifico – consentono implicitamente anche di spiegare come essa sia stata raccontata.

Si è trattato di un percorso espositivo a carattere divulgativo, che attraverso le ricostruzioni storiche proposte, documenti, fotografie, filmati, dati giudiziari e oggetti storici intende ricordare ai cittadini italiani e ai visitatori in generale che l’Italia ha vissuto una stagione trasversale di violenza inaudita nel suo recentissimo passato. “Nonostante il lungo tempo trascorso” è stato il titolo della mostra, ma è anche una espressione, tratta da un provvedimento, a firma del procuratore Enrico Santacroce, che risale al 1960, che fu prodotto dalla Procura Generale Militare della Repubblica.

Alcuni dei beni appartenuti a persone uccise dai nazisti

Esso, di fatto, dispose la “provvisoria archiviazione”, dei fascicoli giudiziari riguardanti le stragi che si raccontano.

Lo scopo della mostra è stato esattamente opposto alla ratio di quel provvedimento.

Essa ha voluto contrapporsi all’incredibile oblio al quale sembravano condannati nel secondo dopoguerra i crimini commessi e le vittime coinvolte.

La chiave di lettura sulla quale si è poggiato l’impianto espositivo della mostra è stata la presentazione di un’ingente mole di dati, di documenti e fonti iconografiche capaci di rievocare la storia nazionale e, nel contempo, far emergere la storia locale di una Italia martoriata da nord a sud dai tragici eventi.

I dati resi noti sui crimini commessi dai tedeschi, da quale base sono partiti?

La narrazione ha preso le mosse dalla ricostruzione storica del periodo che va dall’8 settembre 1943 all’immediato primo atto di Resistenza che vide la Capitale opporsi all’occupante nella Battaglia di Porta San Paolo, nella quale trovarono la morte civili e militari.

Ha proceduto su base tematica e cronologica con il richiamo a stragi e crimini commessi dai nazifascisti in Italia e, in qualche caso, ha richiamato i crimini commessi all’estero.

La mostra è stata divisa in 4 sezioni: crimini di guerra sui militari, crimini di guerra sulla popolazione civile, deportazioni, processi.

La bambola appartenuta ad un bambina uccisa nella strage di Sant’Anna di Stazzema

Esse sono state corredate da una sezione contente i video documentari e una dedicate alle conclusioni.

E’ stata una mostra “iper-documentata”, grazie alla possibilità di effettuare – per ogni tema proposto – approfondimenti su singoli fatti o, anche, personaggi con l’ausilio dei supporti multimediali lungo il percorso espositivo.

I dati riportati sono stati raccolti dai preziosi archivi delle istituzioni culturali, associazioni, Enti, Fondazioni che hanno come fine istituzionale la tutela della memoria. Tra essi gli archivi storici di Forza Armata.

Diversi sono stati anche i privati, perlopiù familiari di vittime, che hanno voluto contribuire mettendo a disposizione della collettività oggetti storici/cimeli che hanno arricchito il percorso della mostra.

I dati giudiziari, invece, sono stati, raccolti direttamente dalle carte processuali conservate presso i Tribunali militari che si sono interessati, a varie riprese, di istruire procedimenti penali e, in numerosi casi, celebrare i processi.

Visitando la Mostra si evidenzia una particolare cura nel racconto ma anche nell’esposizione degli oggetti. Ci può spiegare come siete riusciti ad ottenere questi pezzi?

Sono lieta di poter rispondere a questa domanda. Ho avuto diversi confronti con i visitatori, con gli addetti ai lavori, con studenti o semplici curiosi durante i giorni di apertura.

Tutti sono stati suggestionati dal potere comunicativo degli oggetti storici (cimeli) che a mio avviso riescono a evocare negli occhi di chi osserva il racconto di una epoca, di una tragedia, di una persona.

L’eterogeneità della composizione del Comitato scientifico, così come le esperienze professionali di ognuno di noi, hanno fatto sì che ci si potesse da subito confrontare sui temi anche in questa chiave, ossia nell’operare una scelta consapevole degli oggetti attorno ai quali raccontare le storie che si intendeva riportare alla luce.

I contatti con le istituzioni detentrici sono avvenuti in piena emergenza sanitaria.

Tutti, e li ringrazio ancora, hanno dimostrato grande sensibilità nel voler condividere un pezzo di storia, di dramma privato e collettivo.

Ciò ci ha permesso di umanizzare un percorso difficile da raccontare. Il recupero materiale degli oggetti, presso le sedi di conservazione è stato curato dallo Stato Maggiore della Difesa.

Giunti a Roma gli oggetti sono stati disposti nelle bacheche presso il Sacrario, in modo da creare un itinerario che potesse rappresentare molte delle comunità colpite dai crimini.

Da Boves a Cefalonia, passando per Sant’Anna di Stazzema e le Cave Ardeatine.

Alcuni militari a Cefalonia

Entriamo ora un po’ più nel vivo di quei giorni. In cosa consisteva la Direttiva Hitler che ordinava di catturare ed uccidere i militari italiani, subito dopo i fatti dell’8 settembre?

Già dalla fine del 1942 ebbe inizio in Italia una crisi interna che, in pochi mesi, portò alla caduta di Mussolini.

Agli osservatori tedeschi non sfuggi, lo si capisce dai carteggi diplomatici, che lo stato d’animo della popolazione era deteriorato.

L’impressione era rafforzata dall’evidente indebolimento della posizione di Mussolini.

In quella situazione attentamente monitorata la dirigenza tedesca valutò la pianificazione del rafforzamento delle truppe tedesche in Italia, una sorta di bozza della futura occupazione.

Il 25 luglio, a seguito della caduta di Mussolini, in maniera febbrile furono attivate tutte le disposizioni del “Piano Alarich“, concepito a maggio 1943, dall’Alto comando della Wehrmacht (Oberkommando der Wehrmacht, Okw) che prevedeva l’occupazione del Nord Italia, convogliato insieme al “Piano Konstantin”, nel “Piano Achse (Asse): il programma tedesco per l’invasione dell’Italia tutta e la neutralizzazione delle Forze Armate.

La prima pagina del Corriere della Sera dell’epoca

L’operazione scattò la notte dell’8 settembre, a pochissime ore dall’annuncio radiofonico dell’Armistizio proclamato da Badoglio.

Essa prevedeva in primis il disarmo e la cattura dei militari italiani che rifiutavano di proseguire la guerra a fianco dei tedeschi.

A questo punto, le chiedo un giudizio storico sui fatti dell’8 settembre. Qual è la sua opinione?

Non penso di poter dare giudizi, posso osservare e analizzare e, per ciò che mi compete, cercare di riempire quei vuoti di conoscenza e informazione attraverso le tracce documentali.

Da quelle posso dedurre e proporre a chi ha voglia di conoscere ulteriori elementi di valutazione.

Ci sono tanti 8 settembre. La fine dell’alleanza con Hilter ha portato a tanti inizi e molte fine corsa, la fine drastica di miti ed ideali proposti dal regime fascista, la fine del consenso, la fuga dei regnanti e dell’ideale di una monarchia perfetta, l’inizio della Resistenza, il seme della Repubblica che verrà.

Militari Italiani deportati in Germania

Chi, negli anni, si è occupato dell’argomento ha cercato più di individuare le responsabilità dei protagonisti che di comprendere i motivi politici del loro comportamento.

A mio avviso questo periodo va studiato come un fenomeno complesso, un grande evento storico, ma anche un grande evento politico e sociale.

I soldati ed i Carabinieri che, da subito, hanno combattuto contro i tedeschi li possiamo definire eroi della Resistenza? O cosa altro?

È innegabile, come già richiamato, che all’indomani dell’8 settembre 1943 l’Italia si trovò lacerata e divisa, politicamente ma anche militarmente, subendo l’occupazione di una parte significativa del territorio nazionale.

Nella storiografia si parla di dissoluzione delle nostre Forze Armate, in parte è vero.

Ciò è avvalorato dall’ordine del Capo di Stato Maggiore Generale Vittorio Ambrosio che lasciò ai comandi la piena libertà di “assumere nei confronti dei tedeschi l’atteggiamento che apparirà meglio adeguato alla situazione“, affermando, allo stesso tempo, però, che le Forze Armate avrebbero dovuto reagire con la massima decisione alle offese provenienti da qualsiasi parte, evitando, però, di prendere iniziative ostili contro i tedeschi.

Il Generale Vittorio Ambrosio

La sorpresa, l’inerzia e l’attendismo che ne seguì crearono in parte i presupposti per il fenomeno della dispersione che si verificò soprattutto nelle truppe dislocate in Italia e in Francia meridionale.

Questi accadimenti, inaspettati per la maggior parte dei soldati, furono gli stessi che gettarono le basi per quei fenomeni spontanei che possono essere divisi in due grandi blocchi.

Al primo blocco afferivano coloro che scelsero di combattere i tedeschi isolati o in formazioni partigiane operando nell’ambito della Resistenza come nell’episodio già citato della Battaglia di Porta San Paolo, dove granatieri, fanti, carristi, lancieri, artiglieri, carabinieri e migliaia di romani, uomini e donne, che s’affiancarono loro, si opposero all’occupazione di Roma.

Un momento della battaglia di Porta San Paolo, a Roma, il 10 settembre 1943

Li nacque ciò che in seguito fu denominato Fronte militare clandestino di Resistenza, organizzazione militare clandestina della Resistenza.

Altro blocco era composto da coloro che, in accordo con gli Alleati, erano inquadrati in reparti di nuova costituzione, combattendo al loro fianco fornendo soprattutto appoggio logistico come nel caso della Battaglia di Montelungo.

Un momento della battaglia di Monte lungo (8 dicembre 1943)

Va ricordato inoltre che, sul territorio nazionale molti ufficiali, sottufficiali e soldati rifiutarono di arrendersi e furono fucilati.

Molti altri si arresero, invece, e vennero deportati in Germania.

Nei campi, come è noto, la maggior parte decise di non collaborare con i nazisti o non aderire alle Forze Armate della Repubblica Sociale italiana.

Se la rilevante presenza dei militari nelle file della Resistenza è acclarata, nel secondo caso riportato, quello dei militari deportati, lo stato degli studi legati ad una storiografia che, se non a partire da questo decennio, si è occupata delle vicende dell’internamento dei militari, rende ad oggi abbastanza difficile fare una valutazione su quella che viene definita una forma di Resistenza “disarmata” o “passiva”.

Lei si è occupata anche di un volume sulla strage delle Fosse Ardeatine che nella mostra viene raccontata in parte. Su quanti di questi episodi è necessario che lo storico riprenda il suo lavoro di ricerca?

Lo storico, l’archivista, il documentarista, come anche il giornalista, sono mestieri che richiedono passione, metodo, conoscenze tecniche e anche senso di responsabilità civile.

Lo affermo dal punto di osservazione di chi – come nel caso che ha citato relativo agli studi sulla strage delle Fosse Ardeatine – non si è voluto fermato alle interpretazioni di altri o al comune sentire che affermava “ma si sa già tutto”.

Un’immagine delle tombe alle Fosse Ardeatine

Insieme ad un team eterogeneo di studiosi abbiamo, con il Progetto ViBiA – Virtual and Biographical Archive scavato, in senso archivistico ovviamente, cercato e trovato testimonianze certe, inconfutabili, soprattutto documentabili, che hanno permesso – per quella che è passata alla storia come l’unica strage effettuata in una capitale durante la Seconda Guerra Mondiale – di individuare, tra il 2016 e il 2021, a più di 70 anni di distanza, documenti inediti ritenuti dispersi e di lì a rintracciare alcuni nominativi di vittime considerate ignote.

Da questo nuovo punto di partenza, veicolato dagli studi storici, la scienza (con l’esame del DNA) ha potuto restituire identità, dignità, e una storia da narrare per non dimenticare chi non aveva nemmeno più un nome.

Il Governo tedesco anche in fase successive è intervenuto del tutto per compensare i crimini compiuti contro gli italiani?

Dopo la Seconda Guerra mondiale, Tribunali internazionali, nazionali e militari misero sotto processo decine di migliaia di criminali di guerra.

Gli sforzi per consegnare alla giustizia gli autori dei crimini dell’epoca nazista continuano, ancora oggi, nel 21° secolo.

Nel Dopoguerra, decine di migliaia di criminali di guerra tedeschi e dei loro collaboratori non tedeschi furono processati da Tribunali in Germania o nelle Nazioni che la Germania aveva occupato durante la Seconda Guerra mondiale, o che avevano collaborato con i tedeschi nel perpetrare crimini o stragi.

Un’immagine del processo di Norimberga

Anche se bisogna ricordare che la maggior parte dei colpevoli non è mai stata assicurata alla giustizia, anche perché spesso non è stata individuata, i processi agli autori dei crimini nazisti hanno sancito importanti principi, ora ampiamente accettati, che crimini come il genocidio e i crimini contro l’umanità non devono rimanere impuniti e che la loro repressione deve essere efficacemente garantita mediante provvedimenti adottati in ambito nazionale ed attraverso il rafforzamento della cooperazione internazionale.

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