Immigrazione, quando è ipotizzabile la fattispecie di tratta degli schiavi

Di Alexandre Berthier

L’ intensa, inquietante, diuturna ricerca giornaliera di profughi da soccorrere nel mare antistante la Tripolitania, da parte di equipaggi di imbarcazioni di ONG e di privati, animati tutti da incredibile e poco verosimile spirito filantropico, sta suscitando non poche perplessità. Ma è tutto un susseguirsi di plausi per questa infaticabile opera di salvataggi, che però fa grande affidamento anche sugli interventi delle ben equipaggiate unità della Marina Militare e della Guardia Costiera-Capitanerie di Porto italiane e sul sicuro sbarco nella straordinariamente accogliente Italia.

Tutto questo, celebrato puntualmente e trionfalmente dagli organi di informazione, che però non smettono mai di farci sentire in colpa se, salvati e accolti in tre giorni 8.500 profughi, ne sono purtroppo morti affogati probabilmente 13, che non siamo stati capaci di salvare, dimenticando che ogni giorno, nel mondo intero, muoiono di morte violenta migliaia e migliaia di persone di cui, siamo onesti, non ci interessa assolutamente nulla; né a noi, né all’Unione Europea e, nei fatti, neppure a chi predica istituzionalmente amore e accoglienza per il prossimo.

In questa sagra dell’ipocrisia più grassa, nessuno – tranne qualche rarissimo esponente della politica nazionale, cui ci piace attribuire il ruolo del cretino, sol perché chiama le cose col suo nome (vox clamantis in deserto) – adombra dubbi sulla bontà di questi salvataggi, che pesano sul nostro erario per la stratosferica somma di circa 3 miliardi di euro all’anno.

No, per noi il dovere dell’accoglienza è sacro, il rispetto delle convenzioni internazionali e le interpretazioni che ne danno la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e i nostri Tribunali sono legge divina. Tanto divina, quanto è immensa la nostra stupidità. Si, perché queste sacralità valgono solo per noi; Malta, Francia, Grecia e Spagna se ne disintereressano ampiamente. Mentre gli altri Paesi europei, solo apparentemente disinteressati ai nostri problemi, ci valutano per quel che siamo effettivamente: un Paese dove furbizia e fessaggine sono una coppia perfetta, che cammina di pari passo.

Eppure andare a cercare per mare i profughi, a poche miglia dalle coste della Libia, per portarli in Italia, dove cooperative e ONG nostrane lucreranno poi cifre enormi per alloggiare e sostenerli – sappiamo bene essere nella quasi totalità migranti economici (una bella ridefinizione di immigrato clandestino) – più che un dovere che incombe sui soccorritori di naufraghi, potrebbe essere invece un clamoroso caso di concorso nel gravissimo delitto di tratta degli schiavi, previsto dall’art. 601 del nostro Codice Penale, con una pena che va dai sei ai venti anni di reclusione, per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza e, occorrendo, anche il fermo fuori dalla flagranza.

Dunque, è certamente ipotizzabile la fattispecie di tratta degli schiavi – e non semplice agevolazione colposa di clandestini- perché resi tali quantomeno all’arrivo in Libia, destinati poi, col meccanismo dell’invio a destinazione, al successivo sfruttamento della persona, a questo punto commercializzata, conseguente dalla remunerazione da parte dello Stato in favore chi fa accoglienza professionale (cooperative, comunità, Onlus, ecc.).

Si dirà che siamo fuori strada. No, siamo assolutamente in carreggiata. I numeri che aumentano di giorno in giorno, in modo esponenziale, degli arrivi in Italia, trova la spiegazione logica, immediatamente evidente, in un’organizzazione che lega strettamente scafisti, le navi delle ONG e quelle degli Stati impegnati nelle operazioni ufficiali di soccorso, agevolando e perfezionando in modo diretto ed immediato il piano criminoso dei mercanti di schiavi che operano nel continente africano; continente che non può più volgersi neppure verso l’Oceania, dove l’Australia ha attuato un’efficace politica dissuasiva e risolutiva, confinando i profughi nell’isola “lager” di Manus, a nord di Papua Nuova Guinea. Il risultato: negli ultimi tre anni sono arrivati in Australia solo 2000 profughi contro i 4000 morti che si sono registrati nel Mediterraneo solo nel 2016. Va detto che fino a luglio del 2013 gli arrivi in Australia erano numericamente molto consistenti, come quelli che registriamo oggi noi. Con la decisione di portarli tutti a Manus il problema si è immediatamente risolto. A tutto c’è un limite; pure alla Misericordia, come qualche tempo fa Papa Francesco è stato costretto, obtorto collo, ad ammettere.

Dunque, non sono le operazioni di soccorso che la società internazionale deve attuare, bensì la repressione, il debellamento di questo epocale evento migratorio, che spinge una moltitudine di sventurati a ricercare mete ormai impossibili. Invece, a distanza di molti anni, non solo non si tenta di arginare il fenomeno, ma lo si incentiva in modo gravemente colpevole, con conseguenze che non potranno che essere tragiche.

Purtroppo alla base di questa inaccettabile deriva, di una vicenda assurda che ha raggiunto proporzioni immense, vi sono gravissime colpe di un’Italia inadeguata a vivere ed operare come Stato autonomo e sovrano. Nel maggio del 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa, tre unità della Guardia di Finanza e Capitanerie di Porto hanno intercettato tre barconi provenienti dalla Libia con 200 persone che vengono trasbordate sulle nostre navi e ricondotte a Tripoli, attuando una politica di respingimento che il nostro Ministero dell’Interno ritenne legittima, per impedire a 200 extracomunitari di giungere clandestinamente in Italia. Ma Il ricorso – fatto firmare a 11 somali e 13 eritrei – alla Corte di Strasburgo, presentato da alcuni esponenti del Consiglio italiano per i rifugiati (CIR), patrocinato dall’Unione forense di Roma, portò nel 2012 ad una sentenza che ritenne l’Italia responsabile di una espulsione collettiva, ritenuta illegittima.

Sulla base di una decisione molto discutibile, si è avviata ed incentivata una politica di soccorso e accoglienza patologica e insensata, nella considerazione che le Convenzioni di Amburgo del 1979 e quella per il salvataggio delle persone in mare del 1974, aggiornate nel 2004, prescrivono che i migranti salvati in mare in condizioni di pericolo debbano essere trasferiti in luogo sicuro, ovvero “in località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata”. Bene, al riguardo la Tunisia, Malta, la Grecia, la Francia, la Spagna potrebbero assolvere perfettamente questo scopo.

Invece no, i profughi di fatto li vogliamo tutti noi. Anche se sono salvati sulle coste della Libia e da navi delle ONG o di altri Paesi è ormai pacifico che debbano venire da noi. Qualunque staterello dell’Unione europea si arroga il diritto di non accogliere, respingere o riservare trattamenti durissimi ai profughi, noi no: li accogliamo a centinaia di migliaia senza battere ciglio. E crediamo di poter dare la colpa a Bruxelles.

E non si riesce a comprendere come mai la nostra attentissima magistratura non abbia ancora trovato il modo sino ad oggi di verificare le inquietanti dinamiche che collegano gli schiavisti del nord Africa con le ONG, con le cooperative e gli enti che in Italia prosperano grazie ad un mercato indecente oltre che illegale. Se le navi di Triton e le nostre raccolgono i finti naufraghi e li portano in Italia, passi: lo fanno in esecuzione di un accordo internazionale, ancorché incongruo. Ma le navi dei privati e delle ONG che raccolgono questi “turisti del Mediterraneo” (oltre che schiavi nei fatti, li dobbiamo considerare pure turisti, perché per partire dalle loro terre hanno pagato somme ingenti a chi li trasporta), convenzioni del mare alla mano, dovrebbero portarli nel porto più vicino al luogo di raccolta. E perché noi li facciamo entrare nei nostri porti e perché le procure non ne sequestrano le navi e ne fermano gli equipaggi? Perché gli organi di polizia non intervengono? Noi siamo una frontiera dell’UE, quelli che arrivano non hanno diritto né all’ingresso né alla libera circolazione nel nostro Stato né in quelli dell’Unione. Però entrano, circolano liberamente, se vogliono rifiutano di farsi identificare, delinquono, godono di incredibili diritti, sono assistiti legalmente e gratuitamente nei ricorsi contri i provvedimenti di polizia, che vengono così vanificati nel 95% dei casi ed altro ancora.

Allora dobbiamo concludere che evidentemente siamo un pericolo e un problema per l’intera Unione Europea. . .

Solo un partito politico ha annunciato che sta preparando una denuncia contro il Governo e i vertici della Difesa, direttamente coinvolti nelle operazioni di soccorso e che, di fatto, oggi, finiscono per agevolare e incentivare in modo inquietante un crimine contro l’umanità, che progressivamente raggiungerà proporzioni bibliche, di molto superiori a quella che fu la tratta degli schiavi verso l’America.

 

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