Di Rebecca Mieli
Tel Aviv. Gli Stati Uniti con un attacco aereo perpetrato durante la notte hanno ucciso Qassem Soleimani, comandante del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie e potenzialmente l’uomo più strategicamente rilevante della Repubblica Islamica dell’Iran. E la vendetta contro USA e Israele è già stata annunciata.
Dall’Ayatollah Khamanei fino al portavoce iracheno Ahmed Al-Assadi, passando per il portavoce dell’IRGC Ramezan Sharif, tutto il mondo sciita ha già annunciato il grido di vendetta per l’uccisione del Generale Soleimani.
Nonostante la responsabilità militare sia da attribuire esclusivamente agli Stati Uniti, che con una grande mossa politica hanno portato a “casa” l’uccisione – in pochi mesi – di due dei più temuti uomini del Medio Oriente (oltre Soleimani, anche Al Baghdadi), le dichiarazioni di vendetta colpiscono anche Israele, che dalla posizione geografica hanno decisamente molto più da perdere.
Anche Rouhani, normalmente considerato il più moderato ai vertici del Paese ha scritto in un Tweet che “La grande nazione dell’Iran si vendicherà”.
VOCI DA ISRAELE
La morte di Soleimani, descritto al meglio dall’ex analista della CIA Kenneth Pollack “per gli sciiti del Medio Oriente, è James Bond, Erwin Rommel e Lady Gaga riuniti in uno”, rappresenta prima grande prova di Naftali Bennet come ministro della Difesa, l’uomo forte dell’estrema destra da poco salito ai vertici del Dicastero.
I media israeliani, nel frattempo, hanno riferito che il Ministero degli Esteri ha deciso di aumentare la sicurezza nelle ambasciate e missioni israeliane in tutto il mondo.
È stato proprio il ministro degli Esteri Israel Katz a parlare per primo ai microfoni dell’accaduto, affermando come ci sia un’alta probabilità che l’Iran trascini Israele in un conflitto a causa della mossa statunitense.
Tuttavia, ha confermato: “Deve essere chiaro (a loro) che risponderemo con grande forza a qualsiasi attacco”.
I vertici della difesa, tra cui Bennett e il capo di Stato Maggiore Aviv Kochavi si sono riuniti durante la notte nel Quartier generale dell’IDF a Tel Aviv.
Nel frattempo, l’area sciistica di Hermon, che ha già subito in passato due attacchi missilistici provenienti dalla Siria, è stata chiusa al turismo.
La stampa israeliana ha anche riferito che l’area a Nord del Paese è stata interessata da interruzione nei servizi di telefonia mobile e di rete, sottolineando la connessione tra il down della rete Internet e i preparativi di sicurezza (anche cibernetica) lungo il confine settentrionale.
Netanyahu – che ha chiesto ai suoi di non commentare l’accaduto – ha interrotto la visita in Grecia, dove era in corso la firma degli accordi per Eastmed, la pipeline che trasporterà il gas israelo-cipriota proveniente dal bacino levantino in Europa.
Tra i primi tweet della mattina, Gideon Sa’ar, del Likud, ha esordito con “God Bless America!”, mentre l’alleato Yoav Kisch ha parlato della “scomparsa di un cattivo”.
Messaggi di sostegno a Trump sono arrivati anche dal Partito Bianco Blu, laddove Yair Lapid si è congratulato con il Tycoon.
Anche il leader laburista Amir Peretz ha accolto con favore la notizia dell’attacco, descrivendo il comandante dell’IRGC come “l’architetto degli avamposti ostili al nostro confine”.
La radio dell’Esercito israeliano ha affermato che l’IDF è in stato di allerta, in particolare per quanto concerne possibili attacchi da parte dell’Islamic Jihad a Gaza e di Hezbollah al Nord.
Anche Hamas, che negli ultimi mesi aveva sofferto il ruolo dell’Iran a Gaza a sostegno – quasi simbiotico – del gruppo terroristico dell’IJ, ha condannato l’uccisione del Generale iraniano.
REAZIONI INTERNAZIONALI
Il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah ha già affermato di voler portare avanti la legacy di Soleimani, formalmente il pianificatore strategico dell’espansione egemonica dell’Iran in Medio Oriente.
Mosca e Pechino temono un aumento delle tensioni in tutta la regione, in un momento in cui il disimpegno americano aveva lasciato spazio al loro inserimento.
Le due potenze hanno molto da perdere nello scenario di un conflitto tra Iran e Israele.
La Cina ha investito molto in Israele negli ultimi anni, in particolare nelle infrastrutture e nei porti, mentre la Russia conta almeno un milione di cittadini nello Stato Ebraico, laddove la dottrina del “Near Abroad” è esemplificata al massimo dal peso della minoranza russofona.
SCENARI
Il Dipartimento della Difesa americano ha affermato di aver dato il via all’operazione perché Soleimani era direttamente coinvolto non solo nell’escalation contro l’Ambasciata statunitense in Iraq, ma anche nello sviluppo di un attacco contro i diplomatici americani che sarebbe avvenuto nell’immediato futuro.
La morte del comandante delle Forze Quds rappresenta un colpo senza precedenti alle aspirazioni di Teheran; è un evento storico che farà da spartiacque tra due grandi guerre che hanno segnato la regione: quella contro il terrorismo sunnita dell’Isis e quello contro la guerra ibrida ormai da anni portata avanti da Teheran.
Mentre l’Occidente impiegava, infatti, tutto il potere militare e le attenzioni mediatiche al fenomeno del Califfato, negli ultimi 10 anni il leader dell’IRGC ha creato un corridoio controllato dall’Iran che si estende attraverso Baghdad, Damasco e Beirut.
L’espansione egemonica dell’Iran, che ha avuto successo proprio grazie al vuoto di potere lasciato dalle primavere arabe e dello Stato Islamico, è stata la chiave di volta nella trasformazione dell’Iran in super potenza regionale.
È stato proprio Soleimani che, con la sua strategia economica e militare, ha trasformato i deboli governi di Iraq, Siria e Libano in marionette nelle mani di Teheran, e lui che ha portato sino ad oggi il merito delle grandi conquiste ideologiche, territoriali e politiche di una Repubblica Rivoluzionaria ormai in crisi.
Senza dubbio, l’uomo forte di Teheran, avrebbe rappresentato la migliore scelta per il futuro politico del Paese, considerato l’unico in grado di poter sostituire il riformista Rouhani ai vertici del Paese.
Se da un lato l’Iran, che come tutto il mondo sciita sta affrontando una grave crisi economica e sociale, ha perso l’uomo forte simbolo della diffusione degli ideali rivoluzionari ormai obsoleti, un’uccisione così plateale potrebbe avere diverse implicazioni per Israele.
In primo luogo, se negli ultimi mesi Israele ha visto positivamente la rottura tra Hamas e Islamic Jihad, un evento di questo tipo potrebbe ricompattare i gruppi terroristici di Gaza. Hamas, alleato di Teheran ma con degli obiettivi divergenti da quelli iraniani (tra cui l’ottenimento dei fondi Qatarioti per l’area) e il braccio armato delle forze Quds a Gaza, ovvero la Jihad Islamica, avevano avuto delle divergenze di vedute sugli attacchi missilistici perpetrati contro Israele nel mese di novembre.
Mentre Hamas contava su un cessate il fuoco che avrebbe consentito la “riapertura” dei rubinetti economici, l’IJ aveva preso in carico dal quartier generale iraniano in Siria il compito di attaccare Israele in via autonoma e senza consultare le forze militari e governative di Hamas.
Nel frattempo, è probabile che la strategia iraniana sul nucleare, così “opaca” e incerta a seguito del ritiro degli Stati Uniti dal JCPOA si farà più dura con la ripresa delle attività di arricchimento massiccio.
STATI UNITI E ISRAELE
La morte di Soleimani simboleggia anche due grandi novità nel rapporto tra Israele e Stati Uniti.
In primo luogo, la mossa americana rappresenta la fine del silenzio di Washington nei confronti delle continue provocazioni iraniane.
Se durante la prima fase del governo Trump, il disimpegno americano in Medio Oriente aveva dato l’impressione che Washington desse un “lascia passare” all’espansionismo iraniano, con questa mossa il Tycoon ha ridefinito la proiezione di potenza americana in Medio Oriente.
L’attacco all’Ambasciata di Baghdad – che esprime senza dubbio una violazione della sovranità territoriale americana – ha rievocato un passato cupo a cui gli Stati Uniti hanno deciso di rispondere non con le sanzioni economiche, bensì con la forza.
L’isolazionismo trumpiano, insomma, ha dei limiti che gli Stati Uniti non sono disposti a tollerare. Allo stesso tempo, e questa è la seconda grande implicazione della morte di Soleimani, nonostante l’improbabilità di un’immediata escalation militare iraniana contro Israele, le possibilità – ben più consistenti – di una vendetta da parte di Hezbollah e delle forze sciite in Siria contro Gerusalemme non sono state così temute da frenare l’attacco.
In sostanza, la paura che le milizie sciite, compresa la Jihad Islamica a Gaza, possano colpire Israele in risposta alla morte del Generale, non ha avuto un peso strategico così rilevante nella valutazione del Pentagono. America First dunque. Il resto, auspicabilmente, è nelle mani di Iron Dome.
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