Israele: relazioni con i cristiani di Cisgiordania, una crisi di pluralismo

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. In queste ore, un gruppo di coloni israeliani ha attaccato la cittadina di Taybeh, l’unico villaggio interamente cristiano della Cisgiordania, incendiando campi agricoli e avvicinandosi a luoghi sacri millenari, come la chiesa bizantina di San Giorgio.

La chiesa di Taybeh

 

Nessun intervento immediato delle forze di sicurezza israeliane, nessun arresto. Solo la reiterazione di una strategia che mina ogni residuo pluralismo nei territori occupati.

Il Governo guidato da Benjamin Netanyahu si regge su una coalizione con forze dell’estrema destra religiosa e nazionalista, come Otzma Yehudit e il Partito Sionista Religioso.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu

Sono partiti che non solo negano la coesistenza con arabi e cristiani, ma promuovono attivamente una visione confessionale esclusiva della sovranità israeliana, estesa a tutta la Cisgiordania.

Questa alleanza ha effetti concreti.

Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) appaiono spesso inerti o colluse durante le aggressioni dei coloni. Episodi come quello di Taybeh non sono eccezioni, ma elementi di una strategia non dichiarata: logorare le minoranze per spingerle a lasciare.

L’IDF continua a colpire Gaza contro i terroristi di Hamas

 

Una “pulizia etnica a bassa intensità” che non si realizza con espulsioni ufficiali, ma con pressione costante, intimidazione, violenza diffusa.

La strategia di Netanyahu mira a erodere ogni distinzione giuridica tra Israele e Cisgiordania, fondendo i due spazi in un’unica entità etno-nazionale. I cristiani, seppur minoritari, rappresentano un ostacolo simbolico a questa unificazione forzata.

Ecco perché le loro chiese, i loro uliveti, i loro villaggi sono diventati bersaglio.

Israele si presenta al mondo come una democrazia. Ma una democrazia si misura nella tutela delle minoranze, non nella forza della maggioranza.

La sistematica tolleranza verso le aggressioni ai cristiani mina la legittimità dello Stato israeliano sul piano del diritto internazionale e dei valori universali che afferma di difendere.

Anche sul fronte diplomatico, si aprono fratture.

Le relazioni con il Vaticano e le Chiese orientali rischiano una rottura simile a quella già vista nel 2002 con l’assedio della Basilica della Natività.

Betlemme di sera

 

Il danno reputazionale non è secondario: Israele rischia di perdere il ruolo storico di custode delle religioni in Terra Santa, cedendo il campo a una visione teocratica e monolitica del proprio futuro.

Israele ha tutto il diritto di difendere la propria sicurezza.

Ma non ha alcun diritto di farlo cancellando i diritti di altri.

La comunità cristiana palestinese è una presenza storica, testimone vivente del legame tra spiritualità, cultura e identità mediorientale. La sua sopravvivenza è anche un indicatore della tenuta morale e democratica di Israele.

Tollerare o giustificare l’impunità dei coloni equivale a legittimare una deriva illiberale. Ed è dovere della comunità internazionale, delle Chiese e della società civile vigilare, denunciare e agire.

Non per schierarsi “contro Israele” o “a favore della Palestina”. Ma per difendere il diritto, la giustizia e la coesistenza in una regione che ne ha oggi più bisogno che mai.

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