Kosovo: Parla l’ex Comandante di KFOR Generale di Divisione Franco Federici: “Non vi sono segnali che facciano presagire potenziali rischi o peggioramenti dello status quo. Questi aspetti mi rendono molto soddisfatto del lavoro svolto”

Pristina. Dopo 8 anni l’Italia ha lasciato, ieri, il comando della missione KFOR (Kosovo Force) della NATO all’Ungheria.

Il Generale di Divisione dell’Esercito Franco Federici ha ceduto al parigrado ungherese Ferenc Kajari.

Il Generale di Divisione Franco Federici, ieri a Pristina

A poche ore dal suo ritorno in Patria lo abbiamo intervistato per fare un bilancio del suo lavoro.

Un lavoro che ha ricevuto il plauso non solo da parte del nostro ministro della Difesa, Lorenzo Guerini ma da tutta l’Alleanza Atlantica.

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, presente ieri al cambio di comando

Lo testimonia anche quanto viene fatto, quotidianamente, dai militari del contingente italiano che sta nel Paese balcanico in base ai compiti assegnati dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1244 del 12 giugno 1999).

Comandante, otto anni fa il nostro Paese assunse il comando
dell’intera missione KFOR (Kosovo Force). Lei ha lasciato questo prestigioso incarico. Che bilancio può trarre?

Dopo quasi un anno di permanenza in questo territorio come comandante di KFOR mi sento di valutare positivamente il livello di sicurezza raggiunto e mantenuto.

Le unità della Kosovo Force sono state costantemente impiegate sul terreno a garanzia di un continuo monitoraggio e con una postura operativa che ha consentito sia di adattarci a qualsiasi sviluppo di situazione che di poter operare senza soluzione di continuità e senza riduzione del footprint operativo anche nel periodo più aspro della pandemia da Covid 19.

Un militare italiano igienizza un ufficio pubblico in Kosovo

Tutt’ora non vi sono segnali che facciano presagire potenziali rischi o peggioramenti dello status quo e questi aspetti mi rendono molto soddisfatto del lavoro svolto.

Un bilancio assolutamente positivo dunque, frutto della professionalità delle donne e uomini della KFOR, una famiglia multinazionale multiculturale e interforze accomunata da obiettivi e valori comuni.

Con l’arrivo dei primi soldati lettoni qualche mese fa, il numero delle Nazioni contributrici è salito a 28,

Otto delle quali non sono membri della NATO ma aderiscono al programma “Partnership for Peace” con l’Alleanza Atlantica.

Tutto questo riflette inoltre l’impegno continuo della NATO per la stabilità dei Balcani Occidentali, l’ottima collaborazione e l’alto livello di inter-operabilità tra Paesi membri e partners.

Quanto fatto dall’Italia e dalla NATO ha reso più sicuro il Kosovo?

La presenza militare italiana nei Balcani occidentali è di lunga data: le Forze Armate hanno sistematicamente fornito contributi di grande rilievo nell’ambito delle operazioni NATO in Bosnia-Erzegovina, Macedonia e attualmente in Kosovo, dove per l’ottava volta consecutiva (12^ in totale) il comando della missione KFOR è stato affidato all’Italia.

È il riflesso più importante del ruolo di primo piano che il nostro Paese ha assunto in seno all’Alleanza Atlantica e nell’area balcanica in particolare, dove oggi – oltre alla leadership ininterrotta dal 2013 nell’ambito di KFOR – anche il NATO Military Liaison Office istituito a Belgrado alla fine del 2006, punto di contatto tra l’Alleanza Atlantica e la Serbia nel quadro dei meccanismi di cooperazione esistenti in campo militare, è a guida italiana.

Tornando a KFOR, si tratta della missione più longeva della NATO e  attualmente anche la più corposa in termini di forze dispiegate sul terreno (attualmente circa 3.700) che  fonda la sua legittimità sui compiti assegnati dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu 1244 (12 giugno 1999) e sul Military Technical Agreement siglato con la Serbia (9 giugno 1999).

Dei 3.700 militari impiegati in KFOR, circa 620 sono italiani con una rappresentanza di personale appartenente a tutte e quattro le Forze Armate. Questo rende attualmente il nostro paese il primo contributore della KFOR.

Nella fattispecie, è italiana la guida e una buona parte di militari del Regional Command West (RC-W, unità multinazionale con responsabilità sul settore occidentale del Kosovo), la Multinational Specialized Unit (MSU), interamente composta da Carabinieri, impiegati da sempre nel contesto urbano delle città di Pristina e di Mitrovica) e sono italiane la leadership del Battaglione “ISR” (Intelligence Surveillance and Reconnaissance) e di alcune sub unità specializzate nella raccolta delle informazioni utili all’assolvimento della missione.

Carabinieri della MSU con la Polizia kosovara

Alla luce di questo importante impegno assicurato dal nostro Paese in 22 anni di KFOR e dell’evidente stabilità dell’area posso dire che l’Italia ha di certo avuto un ruolo determinante.

Le collaborazioni con le autorità kosovare e serbe cosa hanno
prodotto di particolarmente rilevante?

La stabilita dell’area balcanica, in particolare del Kosovo, avuta in questi anni è il risultato più rilevante e visibile ottenuto dalla NATO e in particolare da KFOR.

Frutto della una stretta relazione con le autorità serbe e kosovare mantenuta ed implementata negli anni.

Migliorare la collaborazione ovvero rispondere più rapidamente all’esigenza di sicurezza e prosperità, chiaramente manifestata dalle comunità locali presenti sul territorio è l’obiettivo cardine delle strategie governative sia delle istituzioni serbe che kosovare. In tale contesto il lavoro di  KFOR è stato centrale prevenendo e a volte risolvendo qualsiasi possibile contrasto che potesse avere impatto con  la sicurezza sul terreno favorendo cosi il confronto tra le parti nel rispetto del proprio ruolo e mandato ricevuto.

Nell’ultima esercitazione denominata“Operational Rehearsal Training  Exercise (OPREH LEVEL 2)” è stato evidenziato un alto livello di  addestramento e di professionalità. Mettere a sistema le esperienze militari di vari Paesi cosa significa per un Comandante?

L’ Operational  Rehearsal Training Exercise (OPREH level 2) è un’esercitazione a supporto della missione KFOR che si svolge ogni due anni coinvolgendo le truppe dei paesi della NATO poste come riserva di Teatro.

Un momento dell’esercitazione

Le forze di riserva della NATO sono in prontezza operativa per essere tempestivamente rischierate in Kosovo nel caso, attualmente  improbabile, che KFOR abbia bisogno di assistenza e forze aggiuntive  per garantire il rispetto del mandato ovvero mantenere un ambiente sicuro e la libertà di movimento per tutte le comunità del Kosovo, come sancito dalla risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

LA OPREH 2021 aveva lo scopo principale di raggiungere la massima integrazione tra le unità fornite da Italia, Gran Bretagna, Albania, Grecia, Turchia, Bulgaria e Romania –  come parte della Forza di riserva operativa – e il contingente di Kosovo Force  XXV .

A premessa dell’esercitazione avevamo individuato aspetti focali da testare ed implementare quali l’interoperabilità tra le varie componenti multinazionali della KFOR, l’addestramento congiunto, la familiarizzazione e il confronto sulle differenti procedure tecnico-tattiche per il consolidamento delle capacità operative, ma anche capire come i differenti approcci e  aspetti logistici del deployment dai vari Paesi potessero diventare possibili criticità soprattutto in un periodo di restrizioni Covid.

A riguardo devo dire che, se per le attività addestrative/operative sul terreno la standardizzazione delle procedure consente una rapida integrazione delle forze, mettere a sistema tanti differenti approcci soprattutto negli aspetti logistici del deployment e redeployment delle forze è stato molto formativo per tutto  lo staff di Kfor in primis per me quale comandante.

Quali sono le zone del Kosovo che avrebbero ancora bisogno di un maggiore controllo operato dalla NATO ma anche dalla Kosovo Police?

La situazione relativa alla sicurezza è sostanzialmente stabile: negli anni gli incidenti tra le etnie albanese e serba sono diminuiti e, per fare un esempio, solo il sito del Monastero ortodosso di Decani continua ad essere vigilato dai militari italiani di KFOR, mentre gli altri siti religiosi della Chiesa Serbo-Ortodossa considerati a rischio sono protetti oggi dalla Polizia kosovara o addirittura non vigilati come il Monastero di Gracanica.

La vigilanza al ckeck-point prima di accedere al Monastero ortodosso di Decani

Secondo l’attuale sistema interno vigente in Kosovo, il controllo e il mantenimento della sicurezza è una responsabilità della Kosovo Police in qualità di “first responder” e successivamente quale “second responder” dell’European Union Rule of Law (EULEX) in tutto il territorio kosovaro, fatta eccezione appunto  per l’area attorno al Monastero di Decane, unico luogo in cui KFOR è direttamente responsabile della sicurezza quale “first responder”

A questo proposito, vorrei sottolineare che non abbiamo registrato alcun incidente presso gli altri siti religiosi del Kosovo la cui sicurezza è attualmente, come già detto, responsabilità della Kosovo Police.

Questo, mi permetta di dire con orgoglio, rappresenta uno sviluppo di situazione con benefici per tutte le comunità locali.

Inoltre nel suo ruolo, la Kosovo Police ha dimostrato di avere capacità e credibilità, svolgendo anche operazioni di polizia di altissimo livello, in coordinamento con Forze di Polizia straniere, tra le quali quelle italiane.

Poliziotti kosovari

Secondo Lei, Generale questa missione quando potrà cessare il suo mandato? E magari rimettere mano alla Diplomazia tra i due Paesi?

KFOR è stata ed è un  successo per la NATO, l’operazione più longeva e attualmente quella con il numero più elevato di forze dispiegate sul terreno .

Per il momento la NATO non ha in programma di modificare o ridurre le forze della KFOR, che continua con lo stesso vigore del ’99 a svolgere i suoi compiti nell’ambito dell’UNSCR 1244 e dell’Accordo tecnico militare, parimenti  l’Alleanza non ha piani per una presenza permanente in Kosovo, infatti  l’operazione KFOR è sempre stata condition based, il che significa che ogni cambiamento di numeri e di missione è avvenuto e avverrà sempre e solo in relazione a un cambiamento delle condizioni sul terreno ed è deciso dal Consiglio Nord Atlantico

Tutt’oggi KFOR, rimane una forza robusta e credibile in grado di svolgere la sua missione e La NATO rimane pienamente impegnata per la sicurezza in Kosovo e la stabilità regionale sostenendo il processo di dialogo mediato dall’UE tra Belgrado e Pristina, che vedo come l’unica soluzione alla situazione attuale.

KFOR è una forza di sicurezza, e in quanto tale non è coinvolta direttamente nel dialogo tra Pristina e Belgrado.

É tuttavia evidente che una soluzione duratura che porti stabilità in tutta la regione è raggiungibile solo in seno al dialogo tra Pristina e Belgrado.

Affinché il dialogo possa svolgersi in un contesto disteso e positivo è necessario che la situazione inerente la sicurezza sul terreno continui ad essere stabile.

In tal senso KFOR può essere considerato un elemento di facilitazione. Gli stessi leaders dei Paesi NATO che si sono incontrati a Brussels per il Vertice NATO dello scorso giugno hanno ribadito il fermo supporto da parte dell’Alleanza Atlantica al processo di dialogo facilitato dall’Unione Europea e ad altri sforzi per contribuire ad una normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina.

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