Kuwait e la cybersicurezza: tra vulnerabilità digitali e leadership nazionale

Di Giuseppe Gagliano*

KUWAIT CITY. Nel cuore del Golfo, dove il petrolio scorre come linfa vitale, il Kuwait sta imboccando una strada inedita: trasformare la sua sicurezza informatica da elemento tecnico a chiave strategica di stabilità nazionale.

Una veduta di Kuwait City

 

È una scelta che emerge – con nettezza – dalla sua Visione strategica 2025-2030, una roadmap pensata non solo per potenziare le Forze Armate, ma per proteggere le reti digitali che governano raffinerie, aeroporti, sistemi elettrici e piattaforme telematiche.

La firma di questa strategia porta l’impronta del potentissimo sottosegretario alla Difesa, Sheikh Dr. Abdullah, che non solo guida il Ministero ma ha presieduto personalmente il Comitato che ha elaborato l’intero piano strategico.

Il sottosegretario alla Difesa del Kuwait, Sheikh Dr. Abdullah con il ministro della Difesa italiana, Guido Crosetto

 

Accanto a lui, un nuovo centro di comando prende forma: il National Cybersecurity Centre, affidato, da marzo scorso, alla guida di Abeer Anwar Al‑Awadhi, designata per un mandato quadriennale dal Governo kuwaitiano.

Alle sue spalle c’è l’ex capo, il Maggiore Generale Mohammad A. Boarki, figura di transizione, ora osservatore del percorso del centro .

Chiunque abbia pensato agli hacker come nemici insondabili, troverà nel Kuwait un approccio concreto: non è più sufficiente reagire, occorre governare. Le reti di difesa – militari, energetiche, infrastrutturali – devono diventare immuni agli attacchi, o perlomeno resilienti.

In questo disegno, il ministero delle Comunicazioni svolge un ruolo rilevante: il titolare, il ministro Omar Saud Abdul Aziz Al‑Omar, supervisiona temi legati alla sicurezza nazionale, compresa la gestione del cyberspazio attraverso enti come il CAIT (Information Technology Authority) e il CITRA (telecomunicazioni), da sempre punti di riferimento per la digitalizzazione e ora fulcri di questa svolta .

Il ministro Omar Saud Abdul Aziz Al‑Omar in una visita ufficiale in India

Così, il quadro si compone di uomini e donne posizionati al centro di una rete strategica: Sheikh Dr. Abdullah, la mano che traccia la rotta; Abeer Al-Awadhi, la mente operativa; e Omar Al-Omar, il contesto istituzionale che regge l’architettura digitale del governo.

Ecco perché la cybersecurity kuwaitiana non è più un costrutto confinato agli schermi o alle sale di controllo: è una questione che attraversa gli anelli decisionali del potere, coinvolge risorse, economia, difesa, legittimità politica.

Il Kuwait, produttore di milioni di barili di greggio, sa bene che non può permettersi di essere paralizzato da un attacco digitalmente condotto.

Davanti a questo rischio – che può attaccare le sue entrate, la sua credibilità, la coesione interna – lo Stato risponde con investimenti, nuovi centri, figure dirigenziali munite di mandato e visione.

Al di là degli organigrammi, la sfida è un’altra: riusciranno questi uomini – Sheikh Dr. Abdullah, Al-Awadhi, Al-Omar – a stimolare una cultura nazionale della cybersecurity, capace di produrre capacità proprie anziché dipendere solo da tecnologie straniere? E, soprattutto, saprà il Kuwait trasformare una crisi potenziale in impulso per diventare, con passo deciso, un nodo sicuro nella mappa digitale della regione?

Nella visione kuwaitiana, non è una questione di marketing ma di sopravvivenza: sul campo, tra le sabbie del Golfo, si gioca una partita geopolitica fatta di codice, infrastrutture e strategie, e il Kuwait vuole entrarvi non da comprimario, ma da protagonista.

* Presidente Centro Studi Cestudec

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