Di Giuseppe Gagliano
TORINO. Nel capoluogo piemontese è stato arrestato, su mandato della Corte penale internazionale (CPI), Njeem Osama Elmasry, noto anche come Almasri, una figura chiave del sistema repressivo libico.

Njeem Osama Elmasry,
Un nome che, seppur poco conosciuto al grande pubblico, è tristemente celebre in Libia e nelle organizzazioni internazionali che monitorano i diritti umani.
Elmasry non è solo il capo della Polizia giudiziaria libica, ma anche il responsabile della prigione e centro di torture di Mitiga, a Tripoli, uno dei luoghi più oscuri e terrificanti della recente storia libica.
Mitiga, ufficialmente una prigione, è in realtà una struttura di detenzione arbitraria, tortura e abuso, situata vicino all’aeroporto di Tripoli.
Questo luogo simbolo della violenza istituzionalizzata è gestito dalla Forza Radaa, un gruppo armato islamista con legami profondi con il Governo di unità nazionale (GNA), riconosciuto a livello internazionale. Elmasry ne è stato l’anima operativa, il garante del controllo brutale su detenuti spesso arrestati senza accuse formali, processi o possibilità di difesa.
Mitiga non è solo una prigione: è un inferno in cui le persone spariscono, dove il sistema giudiziario è un’illusione e la giustizia una parola vuota. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, è anche un luogo in cui le torture più atroci, tra cui abusi sessuali, pestaggi e privazioni disumane, sono prassi quotidiana.
Elmasry non è soltanto il capo di una struttura carceraria: è il simbolo di un sistema di controllo feroce che riflette la frammentazione e la deriva autoritaria della Libia post-Gheddafi. Dopo la caduta del regime nel 2011, il paese è precipitato in un caos alimentato dalla competizione tra fazioni armate, signori della guerra e interessi internazionali.
In questo contesto, Elmasry si è costruito un ruolo di potere basato sul terrore, utilizzando la sua posizione per perpetrare violenze sistematiche e impunità.
Non si tratta di episodi isolati, ma di un modus operandi consolidato, sostenuto dall’apparato statale e tollerato, se non direttamente avallato, da molti attori politici e militari che governano il paese.
Il mandato della Corte penale internazionale rappresenta una svolta significativa, non solo per la Libia ma per il panorama globale della giustizia internazionale. L’arresto di Elmasry è il risultato di anni di indagini, condotte con difficoltà in un contesto in cui ottenere informazioni è estremamente pericoloso.
Le testimonianze dei sopravvissuti, raccolte con grande difficoltà, hanno permesso di documentare gli abusi commessi sotto il suo comando. Queste includono racconti agghiaccianti di torture fisiche e psicologiche, privazioni estreme e, in molti casi, morti sospette che non hanno mai avuto spiegazioni ufficiali.
Tuttavia, l’arresto di Elmasry apre anche un interrogativo più ampio sul ruolo dell’Europa e della comunità internazionale nella gestione della crisi libica. Mitiga e altre strutture simili sono diventate, nel tempo, parte integrante del sistema di controllo delle migrazioni verso l’Europa.

Un mezzo della Guardia Costiera libica
I migranti detenuti in queste prigioni, spesso intercettati in mare dalla Guardia costiera libica (finanziata dall’Unione Europea), subiscono abusi documentati da ONG e organismi internazionali.
L’arresto di Elmasry pone l’Europa di fronte a una scomoda verità: dietro la retorica del contenimento dei flussi migratori, c’è la collaborazione implicita con un sistema che perpetua crimini contro l’umanità.

Migranti su un gommone
La figura dell’uomo arrestato incarna il fallimento della Libia come Stato e della comunità internazionale come garante della giustizia.
La sua parabola è l’esempio di come, in un contesto di anarchia e impunità, uomini come lui possano prosperare, costruendo il loro potere sulla sofferenza altrui.
Ora, con il suo arresto, si apre uno spiraglio per le vittime, ma la strada verso una vera giustizia è lunga e incerta.
La Libia resta una terra di ombre, in cui figure come Elmasry sono solo la punta dell’iceberg di un sistema molto più profondo, sostenuto da interessi locali e globali.
L’arresto di Elmasry non deve essere solo un atto simbolico, ma un primo passo verso un’indagine più ampia e coraggiosa, capace di scoperchiare l’intero sistema di violenza e corruzione che ha devastato la Libia e tradito ogni speranza di rinascita dopo la rivoluzione del 2011. Perché la giustizia, quando è selettiva, rischia di essere solo l’ennesima illusione per chi ha già perso tutto.
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