Mafia, Colonnello Paolo Azzarone (DIA di Palermo): “Da noi intelligence e law enforcement si fondono nella medesima prospettiva”

Palermo (dal nostro inviato). Le indagini della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) di Palermo hanno portato all’arresto di numerosi esponenti di Cosa Nostra.

Report Difesa ha intervistato il Colonnello dei Carabinieri Paolo Azzarone, Vice Capo Centro Operativo della DIA palermitana.

Un’immagine del simbolo della DIA nella sede di Palermo

Colonnello, come è articolata la DIA di Palermo?

Come tutte le Articolazioni periferiche, la prima mission è costituita dalle “indagini preventive”, che vanno dalle misure di prevenzione – personali e patrimoniali, quali i sequestri e le confische – al monitoraggio degli appalti, dall’analisi di operazioni finanziarie sospette all’intelligence (ovvero l’analisi operativa applicata).

Oltre alle indagini preventive, poi, ovviamente, la DIA svolge anche indagini di polizia giudiziaria, d’intesa con la Procura Distrettuale Antimafia.

Ma la gran parte delle attività che connotano la Direzione Investigativa Antimafia hanno poca visibilità e consistono nella redazione di documenti di analisi per le Autorità competenti.

La DIA è, peraltro, l’unico Organismo deputato allo svolgimento della pertinente attività di analisi, come previsto dalla legge istitutiva.

Anche la Convenzione Europol ritiene l’intelligence un’arma irrinunciabile per il contrasto alla grande criminalità.

Ai tradizionali tipi di intelligence (pura; investigativa o integrata), si affianca l’intelligence applicata della DIA, definibile come “il complesso strutturato di attività dirette all’elaborazione qualificata di informazioni, attraverso la raccolta, valutazione, conferma e sviluppo di dati e notizie”.

Essa assume una duplice valenza, in quanto è strumentale a scelte di alto profilo di politica, in questo caso, criminale, e non è disgiunta dalla ricerca di riscontri investigativi di elevata connotazione qualitativa.

L’intelligence applicata, pertanto, consente di dar luogo anche ad attività di tipo investigativo, proiettando gli sforzi sul piano della polizia giudiziaria.

Il vostro è dunque soprattutto un ruolo d’intelligence rispetto alle Forze di Polizia?

Esattamente. Nelle intenzioni del legislatore, in particolare in quelle di Giovanni Falcone che, per noi, è stato un “padre spirituale”, la DIA copre un vuoto ed inaugura nuovi moduli operativi.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in una foto storica

La DIA non interviene con riferimento al singolo episodio delittuoso, ma su di un fenomeno criminale.

Ad esempio?

Per sapere dove far gravitare un’indagine la DIA compie prima un’attività di analisi.

Alla DIA attività informativa ed operativa (intelligence e law enforcement) si fondono nella medesima prospettiva, costituendo fondamento di nuove e più avanzate metodologie operative, nelle quali lo studio preventivo del fenomeno criminale diventa ipotesi investigativa e premessa delle indagini.

Se vi definissi l’FBI italiana, sbaglierei?

Effettivamente, spesso si è parlato della DIA come di “FBI italiana”. Il paragone ci lusinga e ci inorgoglisce.

L’indipendenza dell’FBI, le sue risorse e dotazioni tecnologiche, la sua potenzialità organizzativa hanno fatto scuola, sono divenute proverbiali e, in tema, hanno ispirato l’immaginario collettivo ed una fiorente letteratura e cinematografia.

Agenti dell’FBI USA in addestramento

Ma l’FBI vanta anche un budget di 8 miliardi di dollari, un organico di oltre 36mila unità specializzate, ha un proprio istituto di formazione ed il suo Direttore è un Magistrato.

Ritengo che fare paragoni sia sempre fuorviante. Ogni Stato, specialmente in materia di Polizia, ha le sue tradizioni.

Nel tempo è andato affermandosi un modus operandi che ha dato forma ad un modello investigativo originale, che non trova rispondenza in esperienze precedenti, né in altri organismi interforze, né nell’Alto Commissario, e conferma la teoria di una DIA organizzata secondo le forme di organismo olistico.

Prende corpo un sapere investigativo sempre più connotato come risultante di un complesso di conoscenze diversificate.

Alla figura tradizionale dell’investigatore si affiancano specialisti esperti, che danno luogo a team ove si riuniscono competenze operative, tecniche, giuridiche, economiche, bancarie, informatiche.

Si tratta, quindi, di una struttura la quale, pur avendo preso a modello l’FBI statunitense, tuttavia se ne distingue, perché questo rappresenta un organo multifunzionale, anche con compiti di controspionaggio interno, mentre la DIA, pur nella sua peculiarità e specificità di organismo a competenza monofunzionale, tuttavia non ha l’attribuzione in via esclusiva del compito di perseguire i reati di natura mafiosa.

Un agente della DIA in operazione

I nostri documenti di intelligence sono messi a disposizione di tutte le Forze di Polizia e della Magistratura.

La “Relazione semestrale della DIA” viene consegnata ai Procuratori ed ai Prefetti.

Analizziamo tutte le attività di polizia per capire quali sono i nuovi settori di interesse della grande criminalità organizzata  e per suggerire all’Autorità di Governo nuovi strumenti nell’attività di contrasto, anche interventi in campo legislativo.

Quali sono i rapporti tra l’AISI e la DIA?

Il rapporto di collaborazione con le Agenzie di Informazione e Sicurezza è regolamentato dalle norme.

Il Direttore della DIA riceve le comunicazioni da parte di AISE (l’intelligence estera, ndr) ed AISI (l’intelligence interna, ndr), quando riguardino fatti connessi ad attività di tipo mafioso.

Il nostro Direttore partecipa al Comitato di Sicurezza Finanziaria, istituito all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle per reprimere il finanziamento del terrorismo internazionale, ed inoltre partecipa, quale membro di diritto, al Consiglio Generale per la lotta alla criminalità organizzata.

Si tratta di un organo collegiale, presieduto dal Ministro dell’Interno e composto dal Capo della Polizia, dai Comandanti Generali dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, dal Direttore della DIA. e dai Direttori dei Servizi di Sicurezza, con l’obiettivo, fra l’altro, di definire l’elaborazione delle strategie anticrimine e delle attività investigative concernenti i fenomeni criminali di stampo mafioso.

 Se, ci si augura presto, venisse arrestato Mattia Messina Denaro, la storia della mafia sarà riscritta?

La sua cattura è un obiettivo nell’attività di contrasto a Cosa Nostra. Non è l’obiettivo principale, nè l’unico.

Credo che, tra quanto ci hanno rivelato i collaboratori di giustizia e quanto acquisito attraverso le autonome attività di indagine, sia stata fatta piena luce su gran parte dei delitti degli ultimi anni.

Messina Denaro è un capo di Cosa Nostra, ma non è “il” capo di Cosa Nostra.

Potrebbe essere un nuovo Tommaso Buscetta?

Messina Denaro ha 58 anni ed è stato condannato in via definitiva a 6 ergastoli. Una volta catturato lo aspetterebbe, in un senso o nell’altro, un futuro già segnato.

Il latitante Matteo Messina Denaro com’era e come potrebbe essere oggi

Cosa succedendo, in questo periodo dentro Cosa Nostra?

In assenza di capi come Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, deceduti, ed altri importanti boss Corleonesi, attualmente detenuti, oggi Cosa Nostra la possiamo definire come un “centro multipolare”.

L’organizzazione mafiosa si sforza di mantenere una struttura unitaria e verticistica, ma è altrettanto vero che le decisioni sono prese a più livelli e da più persone che cercano punti di intesa per evitare che qualche dissidio sfoci in un confronto violento.

Mai nella storia di Palermo, della mafia ci sono stati, come adesso, così pochi omicidi. E questo significa che un punto di incontro è stato trovato.

Colonnello, quanto le donne di mafia hanno un potere all’interno dei mandamenti, specialmente quando gli uomini sono detenuti o sono morti?

Io non sono un sociologo, faccio l’investigatore. La professoressa Alessandra Dino ha esaminato molto, con i suoi studi, l’universo femminile mafioso.

Anche recentemente ci sono state operazioni anticrimine che hanno messo in luce l’attivismo di queste donne, spesso discendenti di generazioni di mafiosi e, quindi, pienamente a conoscenza della mentalità e della cultura mafiosa, anzi, in un certo senso, depositarie della tradizione.

E in un momento in cui prevalgono i legami di sangue e quindi la “discendenza dinastica”, si preferisce, talvolta, lasciar dirigere alle donne, quando gli uomini sono detenuti, piuttosto che demandare incarichi di responsabilità ad uomini d’onore la cui fedeltà all’organizzazione non è stata testimoniata.

Ed invece qual è il comportamento dei figli di mafiosi?

Le rispondo così: negli ultimi 50 anni di storia della mafia ci siamo accorti che ricorrono costantemente i medesimi nomi.

I protagonisti sono sempre gli stessi. E l’età non deve trarre in inganno, perché se ci sono mafiosi ultraottantenni, appesantiti dall’età e dalla pinguedine, in realtà sempre di capi si tratta e l’età non conta nulla. Sono assolutamente operativi.

Anzi, l’età aggiunge carisma e saggezza al rispetto che hanno già.

Negli ultimi 100-150 anni in alcune famiglie i nomi sono sempre gli stessi.

Purtroppo l’appartenenza a Cosa Nostra si trasmette in linea ereditaria.

Prendendo spunto dal suicidio di alcuni giovani ragazzi o delle loro madri, vessati dai parenti in seguito alla loro scelta di ribellarsi alla mafia, alcuni Tribunali dei Minorenni, senza attendere sentenze definitive di condanna per i congiunti, hanno emesso provvedimenti di natura civile in presenza di contesti familiari permeati da valori tribali e da una subcultura di travisato senso dell’onore e del rispetto, affidando i figli adolescenti di boss mafiosi a servizi sociali in comunità fuori regione, per offrire loro una seria alternativa culturale ed una chance di conoscere un modo diverso di vivere e pensare.

Si tratta di provvedimenti a tutela del minore e del suo diritto a ricevere un’educazione positiva, che gli apra altre strade e altri orizzonti per realizzarsi nella vita fuori dal mondo criminale, che hanno effetti sulla società, interessata a spezzare la continuità di un modello educativo criminale appreso tra le mura domestiche.

La speranza è che tali ragazzi, godendo serenamente la loro giovinezza in contesti ambientali diversi da quelli deteriori di provenienza, possano affrancarsi dai modelli parentali assimilati.

In questo modo molti adolescenti sono salvati da un destino segnato.

I ragazzi allontanati da famiglie ad alto rischio ed inseriti in altri contesti si sono rifiutati di tornare nei loro paesi d’origine.

E questa riflessione apre nuovi scenari nell’attività di contrasto a Cosa Nostra, indicando la prossima frontiera: una battaglia di mentalità e di costume, perché solo con la cultura si potrà arrivare alla vittoria definitiva contro tutte le mafie.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Autore