Medio Oriente. Professore Giuseppe Puma (Diritto Internazionale Università LUMSA): “L’ONU ha costantemente affermato il diritto di autodeterminazione della popolazione araba e la costituzione di uno Stato palestinese”

ROMA. Le cronache dei giornali, le dichiarazioni politiche, nazionali e internazionali, di questi giorni hanno riaperto alla conoscenza dell’opinione pubblica mondiale, lo storico dossier sui rapporti tra israeliani e palestinesi.

Si è tornato a riparlare, tra l’altro, della questione “Due Popoli, Due Stati”, così come del rispetto del diritto internazionale.

Report Difesa ha intervistato il professor Giuseppe Puma associato di Diritto Internazionale all’Università LUMSA (Libera Università Maria Ss. Assunta) di Roma.

Professore, esaminando il Diritto Internazionale come si potrà arrivare ad avere uno Stato d’Israele e uno Palestinese?

Occorre muovere da una considerazione di carattere generale: il Diritto Internazionale non regola, in via di principio, la nascita degli Stati.

Lo Stato è, infatti, un fatto pre-giuridico, dal quale l’ordinamento internazionale trae conseguenze giuridiche solo a partire dal momento successivo alla sua formazione.

Tuttavia, nel caso della Palestina, la situazione è diversa per l’operare di un principio fondamentale del Diritto Internazionale generale, vale a dire il principio di autodeterminazione dei popoli.

In virtù di questo principio, di cui la Corte Internazionale di Giustizia ha più volte rilevato la natura di obbligo erga omnes, il popolo soggetto a dominazione o occupazione straniera ha il diritto di acquisire l’indipendenza.

Una mappa della presenza di palestinesi

Al diritto in parola corrisponde l’obbligo, in capo agli Stati che mantengono un’occupazione, coloniale o di altra natura, su territori altrui di consentire alle comunità, ivi stanziate, di scegliere liberamente il proprio status giuridico internazionale.

Venendo al caso palestinese, le Nazioni Unite, tramite l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza, hanno costantemente affermato il diritto di autodeterminazione della popolazione araba e, segnatamente, il diritto alla costituzione di uno Stato palestinese che deve insistere nel territorio attualmente soggetto ad occupazione militare israeliana: la Cisgiordania (West Bank), la parte orientale di Gerusalemme e la Striscia di Gaza.

La mappa della Striscia di Gaza, oggi

Più  precisamente, si tratta dei territori arabi occupati da Israele, a partire dal 1967.

Affinché possa addivenirsi a questo risultato, occorre, in primo luogo, che cessi l’occupazione militare dei territori arabi.

In secondo luogo, credo sia necessario che la comunità internazionale, attraverso l’ONU, assista l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) nella predisposizione delle strutture di governo idonee all’esercizio, concreto ed effettivo, delle prerogative di potere pubblico.

Ritengo, tuttavia, parimenti necessario che l’ANP assuma il controllo esclusivo dei territori palestinesi nella loro totalità, escludendo, quindi, organizzazioni, di matrice terroristica, come Hamas dal governo, in particolare della Striscia di Gaza.

Ci sono studi in materia o è tutto da scrivere ex novo?

La materia è stata, ed è tuttora, oggetto di ampia indagine da parte della dottrina internazionalistica, a partire dai manuali di Diritto Internazionale pubblico fino a studi specialistici dedicati specificamente all’autodeterminazione del popolo palestinese e  ai profili relativi al regime giuridico dell’occupazione militare, disciplinato dal Diritto Internazionale dei Conflitti armati.

La domanda che ci si pone è: quali sono i requisiti che questo Stato palestinese dovrà avere?

A questa domanda si può rispondere da due punti di vista.

Il primo, quello del Diritto Internazionale generale, consente di considerare “Stato” solo un ente che risponde ai due requisiti della effettività e dell’indipendenza:  esso deve essere in grado di esercitare, in modo concreto, la propria potestà d’imperio sulla comunità umana stanziata sul territorio.

Questa sovranità, inoltre, implica l’indipendenza, nel senso che il potere del governo deve essere originario e non promanare da alcuna autorità esterna.

Il secondo punto di vista è quello basato sull’azione delle Nazioni Unite, che, verosimilmente, imporrà delle “tappe” per raggiungere la piena statualità, e non è escluso, in questo quadro, che l’ONU possa assumere, in una primissima fase, il controllo del territorio del futuro Stato palestinese, attraverso l’amministrazione internazionale dello stesso.

Ma come Stato dovrà avere una sua Costituzione che, tra i requisiti, dovrà anche prevedere gli aspetti religiosi?

È difficile, allo stato attuale, rispondere a questa domanda.

Il Diritto Internazionale non impone requisiti particolari alle costituzioni degli Stati. È verosimile, tuttavia, che la comunità internazionale, tramite l’Assemblea generale, “inviti” l’Autorità palestinese a tenere conto di profili religiosi e della tutela delle minoranze.

L’aula dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

La Capitale dovrà essere stabilita a Gerusalemme?

Questo è un profilo altamente problematico. Secondo il cosidettto “Partition Plan” elaborato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1947, il futuro Stato palestinese avrebbe dovuto avere Gerusalemme Est come Capitale (https://www.un.org/unispal/data-collection/general-assembly/).

Tutte le risoluzioni successive, anche quelle del Consiglio di Sicurezza, qualificano questa parte della Città come terittorio occupato, nonostante la recente decisione del Governo israeliano di spostare a Gerusalemme (senza ulteriori precisazioni) la Capitale dello Stato Ebraico.

Ma per arrivare al pieno riconoscimento internazionale uno Stato dovrà riconoscere l’altro? Aprendo quindi sedi diplomatiche nelle rispettive Capitali?

Il riconoscimento di Stati, nel diritto internazionale, ha un valore meramente dichiarativo e, quindi, politico.

In altri termini, l’esistenza di uno Stato non è minimamente inficiata dal mancato riconoscimento, purché, beninteso, lo Stato in questione risponda ai requisiti di effettività e di indipendenza.

Ciò posto, non è escluso che le Nazioni Unite impongano alle parti di provvedere al reciproco riconoscimento.

Quanto alle relazioni diplomatiche, la Convenzione di Vienna del 1961 subordina le stesse al reciproco consenso delle parti e, soprattutto, non impone agli Stati parti l’obbligo di instaurare relazioni del tipo considerato.

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