Messico: torna alla ribalta il Movimento zapatista in Chiapas. Un appello-comunicato chiama alla “lotta dal basso”

TUXTLA GUTIERREZ (CHIAPAS). Il 1° gennaio di 30 anni uomini e donne del Chiapas occuparono con le armi le strade di Cristobal de Las Casas.

Il subcomandante Marcosi, leader Zapatista (Fonte Cesar Bojorquez – Flickr)

Situata sulle montagne della Sierra Madre, la città fu fondata nel 1528.

Inizialmente si chiamò Villareal, poi quando da paese era ormai diventata una vera e propria città, divenne Ciudad Real (città reale).

Prese poi il nome di “San Cristóbal” (San Cristoforo).

Il “de Las Casas” è stato aggiunto in onore di Bartolomé de Las Casas, primo vescovo di Ciudad Real, che combatté per i diritti degli Indios.

Fu capitale del Chiapas in epoca coloniale.

L’azione sorprese tutti, politici di varie estrazioni, servizi di intelligence.

Poco la stampa perché i giornalisti messicani del quotidiano la Jornada e della rivista Proceso avevano già fatto una serie di reportage sulle condizioni di vita dei contadini.

Ma la politica nazionale. e internazionale, francamente, era presa da tutt’altro.

Si scrisse, all’epoca, che l’azione era il compimento, dopo oltre 50 anni, della rivoluzione messicana che si interruppe quando dagli anni ’40 del secolo scorso il Partito Rivoluzionario Istituzionale si tolse i panni dei guerriglieri e indossò la giacca e la cravatta (più istituzionale).

Insomma da Partito-Stato a Stato Partito.

Nacque così l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione nazionale).

La Bandiera dell’Esercito Zapatista di Liberazione nazionale

Un movimento politico-militare che intendeva rivolgersi ai poveri delle campagne e delle città puntando alle riforme e scontrandosi duramente con tutti quelli che sono gli aspetti burocratici del Partito opponendo un movimento-partito dove viene a tutti riconosciuto un ruolo importante da svolgere.

Queste righe ci portano a raccontare la cronaca di queste ore.

Il movimento è risorto.

Basta leggere un comunicato che si conclude come si concludevano quelli di 30 anni fa: Dalle montagne del Sud-Est messicano.

Supponiamo, senza ammetterlo, che possiate immaginare quanto segue – si legge – Siete nati in un villaggio autoctono. In una comunità avete imparato la vostra lingua, la vostra cultura, il vostro stile di vita. Tutto questo vi rende diversi. Per l’antropologia tradizionale, la vostra lingua è un dialetto e il vostro popolo è una «etnia». Siete ciò che i progressisti chiamano un indio. Non importa il colore della vostra pelle, perché non appena inizierete a dire qualcosa, noterete il gesto di disprezzo del vostro interlocutore non indigeno“.

Vedrete anche quella persona allungare istintivamente la mano in tasca per darvi una moneta – scrivono gli zapatisti -. Questa persona penserà che siete inferiori, ignoranti, sporchi, poveri, superstiziosi, manipolabili… e stupidi. Ma è comunque così che siete nati. Qualunque cosa facciate, nulla cambierà questo atteggiamento. Così come si è culturalmente indigeni, si è anche culturalmente razzisti, anche se si tratta di un razzismo cool”.

Ora supponiamo, senza ammetterlo, che il vostro popolo originario – prosegue il comunicato – la vostra lingua, la vostra cultura, il vostro stile di vita sia quello dei Cho’ol, un popolo con radici maya che vive negli Stati messicani sudorientali di Chiapas, Tabasco e Campeche, Supponiamo, senza ammetterlo, che, come tutti i popoli originari, avete subito disprezzo, razzismo, ingiustizia, percosse, inganno e derisione – oltre, naturalmente, a sparizioni forzate, imprigionamenti, stupri e omicidi – solo perché siete quello che siete: un indigeno Cho’olSupponiamo, senza ammetterlo, che sappiate che parte dei popoli originari del Chiapas, tra cui i Cho’ol, fanno parte di un’organizzazione chiamata ezetaelene (conosciuta anche come gli zapatisti del Chiapas o neo-zapatisti o trasgressori della legge o quello che va di moda), che hanno preso le armi il 1° gennaio 1994, in quello che hanno definito l”inizio della guerra contro l’oblio, ponendo così fine al progetto di Carlos Salinas de Gortari di un potere che vada oltre il sessennio (prima era il sogno erotico del salinismo, ora lo è del morenismo)”.

“Supponiamo, senza ammetterlo, che non siate un antropologo o uno storico ufficiale – sono ancora gli zapatisti a parlare – cioè che sappiate che, per secoli, i popoli nativi sono stati trattati dalla modernità (durante governi e fasi diverse ma simili) con un misto di disgusto e pietà.  E che sappiate che questi nativi esistono, vivono e lottano al di là dei libri, dei musei, delle mete turistiche, dell’artigianato e dei discorsi dei governi.  Supponiamo, senza ammetterlo, che sappiate che questi popoli zapatisti sono in ribellione e resistenza perché hanno intrapreso il cammino di una costruzione terribile e meravigliosa: otro mundo, uno donde quepan todos los mundos”.

Supponiamo, senza ammetterlo, che voi, come Cho’ol, abbiate avuto la sfortuna di nascere e vivere vicino alla proprietà di un uomo potente – ancora si legge nella nota – Supponiamo, senza ammetterlo, che il suo nome o la sua firma sia José Díaz Gómez, e che sia prigioniero in un carcere del Chiapas con l’accusa di essere un Cho’ol e di… essere uno zapatista“.

Ora, cambiando canale, supponiamo di avere accesso a ciò che viene detto nei Tribunali, nelle stazioni di Polizia e nelle prigioni del Chiapas – aggiungono -. Non è senza imbarazzo che si sente dire: È uno zapatista, uno di quelli che criticano e non appoggiano il Presidente. Il capo sarà contento che stiamo punendo uno dei conservatori che rifiutano di essere salvati dalla modernità e dal progresso (cioè le 4T).

Ora, supponiamo, senza ammetterlo, che la vostra libertà, Cho’ol e zapatista, dipenda da molteplici fattori: l’umore del giudice quel giorno, il pubblico ministero, la polizia, gli altri finqueros (cioè, oltre a quello che ha la sua finca a Palenque), il bisogno degli omini grigi di ingraziarsi superiori che nemmeno sanno che esistono.

Supponiamo che sappiate che un’organizzazione non governativa per i diritti umani (una di quelle tanto vilipese dalla Corte Suprema – insieme a collaboratori pagati dai media), abbia dimostrato la vostra innocenza, e che la parte accusatrice non possa nemmeno presentare la minima prova contro la vostra libertà – e quella di altri vostri compagni perseguitati. Ma è inutile perché non siete innocenti dei due crimini per i quali sei stato imprigionato per quasi 2 anni: essere indigeno e zapatista”.

Fatte tutte queste premesse, e tantissime altre, il comunicato si conclude così: Lla lotta per la vita è in basso”.

Sono tornati gli zapatisti in Chiapas.

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