Di Alexandre Berthier
Gerusalemme. Lo scorso 1° gennaio il Governo israeliano ha adottato la decisione di far scegliere ai richiedenti asilo del Sudan e dell’Eritrea l’opzione del loro trasferimento in altri Paesi o l’incarcerazione.
Una scelta che da subito venne considerata dagli osservatori internazionali come un rischio sicuro di pericolo di vita o comunque di esposizione ad un futuro incerto. La disposizione prevedeva altresì che tutti i rifugiati, allorquando si fossero presentati all’autorità per richiedere il rinnovo dei loro permessi di soggiorno, avrebbero ricevuto l’ordine di lasciare il Paese entro 60 giorni per poi trasferirsi nel proprio Paese di origine o in un altro stato Africano. La misura non sarebbe stata applicata a donne, bambini , genitori di figli a carico e vittime di schiavitù, lavoro forzato e violenza sessuale.
Infine, per incentivare le partenze , si offriva agli interessati la somma di 3.500 shekel (poco più di 800 euro) e un biglietto aereo. A chi si fosse rifiutato, sarebbero state riservate misure detentive.
I migranti africani sono arrivati in Israele sin dal 2005, attraverso la vasta e incontrollata frontiera del Sinai, fino a quando però nel 2012 la costruzione di un muro ed una vigilanza rafforzata riuscì quasi ad azzerare gli ingressi.
Il Governo israeliano ha sempre considerato gli africani migranti economici e non ha mai ritenuto di dover riconoscere loro il diritto di asilo. Da qui la recente decisione di espellerli in massa, in considerazione che nel tempo è montato un movimento di protesta e di insofferenza nei confronti degli immigrati da parte della destra israeliana religiosa, che non vuole neppure una regolarizzazione temporanea, neanche di una piccola parte dei profughi, e dall’altra parte è insorto il malcontento degli abitanti delle periferie di Tel Aviv, che mal tollerano una convivenza forzata con persone a loro totalmente estranee e che non intendono accettare. Per contro, ben poche sono le manifestazioni in favore degli africani. Basti ricordare che il fenomeno dell’immigrazione irregolare degli africani in Israele è primariamente una questione politica: i migranti sono ritenuti “non rifugiati, ma infiltrati peggiori dei terroristi” e comunque Israele, secondo il Ministro della Giustizia, Ayelet Shaked, “non può diventare l’ufficio di collocamento del continente africano”.
Ma la decisione del Governo, che comunque deve fare i conti con una opposizione progressista, è stata bloccata dalla Corte Suprema. Da qui, la incredibile notizia che il Governo avrebbe poi raggiunto una intesa con l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati grazie alla quale 16.250 migranti, contro i circa 40 mila iniziali, nel termine di 5 anni sarebbero stati comunque estradati verso Paesi occidentali, tra i quali sarebbe stata annoverata incredibilmente anche l’Italia! E’ di questi ultimi giorni la notizia che il premier Benjamin Netanyahu ha annullato il programmato trasferimento dei migranti verso il Ruanda e l’Uganda, perché questi due paesi avrebbero rivisto la loro iniziale disponibilità ad accogliere i migranti in questione.
Rimane un dubbio. Perché un premier attento come Netanyahu, a capo di un Governo di uno Stato confessionale come Israele, si sia messo in una situazione così aggrovigliata?
Un Paese, Israele, dove è ben conosciuto il passo del Levitico che recita: “Lo straniero che risiede tra voi, lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore Dio tuo “. Beh! E’ evidente, che è stato costretto per tentare di risolvere un problema di carattere interno, esponendosi però inevitabilmente a livello internazionale. D’altronde, su ben altro fronte combatte con medesime difficoltà la stessa difficile battaglia Donald Trump.
Sta di fatto che all’opinione pubblica israliana non interessa molto il pensiero degli altri e lo stesso premier ha chiarito che “ricorreremo a tutte le possibilità a disposizione per far uscire gli infiltrati”! E la determinazione degli israeliani la conosciamo bene: prima assicurare la propria sicurezza e sopravvivenza poi si vedrà se si può dare assistenza umanitaria . . .
Questa vicenda israeliana impone una riflessione su quanto potrebbe avvenire in Italia se il nuovo Governo dovesse veramente affrontare il problema del rimpatrio di centinaia di migliaia di migranti, molti dei quali senza un nome . . .
In Israele nessuno ha il diritto o la possibilità di sottrarsi ai controlli di polizia e se si devono internare 16 mila o 40 mila persone si fa.
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