Morte di Nasrallah: Hezbollah conferma la notizia. L'”Asse della Resistenza” si compatta a livello politico ma potrà fare ben poco

Di Fabrizio Scarinci

BEIRUT. Dopo alcune ore di attesa, anche i miliziani di Hezbollah avrebbero confermato la morte del loro leader Hassan Nasrallah.

Com’è facile immaginare, si tratta di un colpo molto duro per il cosiddetto “Partito di Dio”, che aveva già perso molti dei suoi uomini chiave nel corso delle ultime settimane.

Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. La sua morte è stata confermata anche dai miliziani del suo movimento

Ciononostante, nel comunicare la morte del suo leader, il gruppo ha anche chiarito la propria intenzione di continuare a combattere; una dichiarazione d’intenti a cui avrebbero, peraltro, fatto seguito il lancio di almeno 90 razzi “a lungo raggio” in direzione sud (diretti non solo verso le regioni settentrionali di Israele ma anche verso Tel Aviv e la Cisgiordania) e l’attacco, mediante l’utilizzo di altri razzi, ai danni di una colonna israeliana in movimento sulle Alture del Golan.

Nelle ultime ore, inoltre, avrebbero espresso piena solidarietà nei confronti dei miliziani di Hezbollah anche gli altri membri del famigerato “Asse della Resistenza”, notoriamente costituito dalla Repubblica Islamica dell’Iran, che, nel raid di ieri avrebbe anche perso il generale dei Pasdaran responsabile delle operazioni in Siria e Libano, e dai suoi vari “proxies” regionali, tra cui i ribelli Houthi dello Yemen, Hamas e un certo numero di milizie presenti nell’area mediorientale.

I vertici iraniani, in particolare, si sarebbero perfino spinti a dichiarare di voler inviare truppe in Libano allo scopo di supportare il proprio alleato, anche se, a dire il vero, con i cieli controllati dall’aeronautica israeliana, una simile operazione potrebbe risultare decisamente complicata, non solo da porre in essere ma anche da gestire nel corso del tempo.

L’Ayatollah Ali Khamenei. Guida Suprema della Repubblica Islamica dell’Iran

Dal canto loro, i ribelli Houthi dello Yemen avrebbero lanciato contro il territorio israeliano un altro dei loro missili balistici, che sarebbe, tuttavia, stato intercettato prima di raggiungere lo spazio aereo dello Stato Ebraico.

Alla luce di questi fatti, nonché di un’Hamas ridotta nelle condizioni in cui è ridotta, si potrebbe benissimo concludere che, almeno sul piano “convenzionale”, il sistema di alleanze facenti capo a Teheran abbia ben poche opzioni oltre a quella di ingoiare anche questo rospo e fornire qualche simbolica forma di supporto.

Altre condanne all’indirizzo di Tel Aviv sarebbero, poi, arrivate da parte del Cremlino, che, come noto, considera di primaria importanza il mantenimento della sua partnership con Teheran, e da parte del governo Ankara, da tempo particolarmente ostile confronti di Israele soprattutto allo scopo di consolidare la propria influenza politica in Medio Oriente.

Piuttosto preoccupato anche il governo cinese, che, per bocca del suo ministro degli Esteri, Wang Yi, ha sostenuto la necessità di arrivare quanto prima ad un cessate il fuoco.

Reazioni, tutto sommato, positive si sarebbero invece avute a Washington, anche se, stando a quanto si è avuto modo di apprendere, l’Amministrazione Biden sarebbe, più che altro, preoccupata dall’eventualità di un’ulteriore inasprimento del conflitto in corso (cosa che comunque non dovrebbe limitare l’elargizione degli aiuti a Tel Aviv).

Quanto al nostro Paese, invece, al momento la principale preoccupazione sembrerebbe rimanere quella inerente la sicurezza dei circa 1.200 militari dislocati al confine tra Israele e il territorio controllato da Hezbollah nell’ambito della missione di pace UNIFIL.

Una preoccupazione che ha già spinto il governo, e, in particolar modo il ministro degli Esteri Antonio Tajani, a chiedere a Israele precise rassicurazioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore