Di Giuseppe Gagliano*
RIGA. Nella capitale lettone, tra le strade acciottolate di una città che sembra sospesa tra il Baltico e l’ombra lunga della Storia sovietica, si è consumato l’ennesimo atto della guerra che non si combatte con i carri armati, ma con algoritmi, narrazioni e server.
Il Riga, Stratcom Dialogue 2025, ospitato nei giorni scorsi dal Centro di Eccellenza per le Comunicazioni Strategiche della NATO, è stato il palcoscenico di un corteggiamento tanto discreto quanto spietato: quello di aziende ucraine e statunitensi, maestre nell’arte di contrastare la manipolazione dell’informazione, che hanno cercato di sedurre l’Alleanza Atlantica con le loro tecnologie e il loro know-how.

Obiettivo? Diventare i campioni di una battaglia che, nell’era dei deepfake e della propaganda digitale, vale quanto un’intera divisione corazzata.
Non è un caso che tutto questo si svolga a Riga.
La Lettonia, con il suo confine che sfiora la Russia e una popolazione russofona che rappresenta un terzo del totale, è da anni un laboratorio vivente della guerra ibrida.
Qui, dove le fake news si mescolano alle tensioni etniche e la memoria dell’occupazione sovietica è ancora viva, il Centro NATO Stratcom opera dal 2014 come un avamposto contro la disinformazione, studiando propaganda, operazioni psicologiche e le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale.
E il Forum di quest’anno, l’11° della serie, ha visto convergere oltre 800 tra diplomatici, militari, accademici e, soprattutto, rappresentanti di quelle aziende che fanno della lotta alla manipolazione il loro core business.
Tra i protagonisti, le delegazioni ucraine hanno portato un peso specifico che va oltre il loro ruolo formale.

Kiev, da anni sotto il fuoco incrociato delle campagne di disinformazione del Cremlino, è un caso di studio unico: un Paese che ha imparato a sue spese come si combatte una guerra dell’informazione.
Le aziende ucraine presenti, molte delle quali nate o cresciute nel crogiolo del conflitto con la Russia, hanno messo in mostra strumenti capaci di smascherare deepfake, tracciare botnet e neutralizzare narrazioni ostili in tempo reale. La loro esperienza sul campo, unita a una retorica che sa toccare le corde della solidarietà occidentale, le rende partner ideali per un’Alleanza che cerca soluzioni concrete contro le minacce ibride.
Ma non sono sole.
Le società statunitensi, con il loro arsenale tecnologico e il peso politico di Washington, giocano una partita altrettanto aggressiva.
Giganti della Silicon Valley e startup specializzate in cybersecurity hanno sfoderato piattaforme di monitoraggio avanzate, algoritmi di analisi predittiva e sistemi di difesa digitale che promettono di blindare l’ecosistema informativo della NATO.
Il messaggio è chiaro: in un mondo dove l’informazione è un’arma, chi controlla la tecnologia controlla il campo di battaglia.
E gli Stati Uniti, con la loro lunga tradizione di soft power digitale, non intendono lasciare spazio a concorrenti.
Eppure, dietro la vetrina di innovazione e cooperazione, si intravede un gioco più complesso.
Le aziende, ucraine o americane che siano, non sono solo fornitori di tecnologia: sono attori di un mercato globale della sicurezza che muove miliardi.
Corteggiare la NATO significa non solo ottenere contratti lucrosi, ma anche legittimarsi come riferimenti imprescindibili in un settore strategico.
E la Lettonia, con la sua posizione di frontiera e il suo ruolo di hub per la riflessione strategica dell’Alleanza, è il luogo perfetto per tessere queste alleanze.
Ma c’è un’ombra che aleggia sul Riga Stratcom Dialogue.
La guerra dell’informazione, per sua natura, è un terreno ambiguo.
Gli strumenti sviluppati per contrastare la propaganda russa – dall’IA che smaschera i falsi video ai software che mappano le reti di disinformazione – possono essere usati, con un semplice cambio di bersaglio, per controllare narrazioni interne, silenziare dissenso o manipolare l’opinione pubblica anche nelle democrazie.
I diplomatici presenti, provenienti da vari Paesi membri della NATO, hanno insistito sulla necessità di “regole etiche” per l’uso di queste tecnologie, ma le parole suonano fragili di fronte alla corsa agli armamenti digitali.
E poi c’è la Russia, il grande assente che domina ogni conversazione.
Il Cremlino, con le sue campagne di disinformazione che hanno preso di mira l’Ucraina e i Paesi baltici, è il catalizzatore di questo fermento.
Ma è anche un monito: la guerra dell’informazione non si vince solo con la tecnologia.
Serve una narrazione credibile, una capacità di parlare ai cuori e alle menti che nessuna IA può replicare. E su questo, forse, l’Occidente ha ancora molto da imparare.
A Riga, tra i panel di esperti e i cocktail di networking, si è dunque giocata una partita che va oltre la Lettonia e la NATO.
È la partita per il controllo dell’informazione in un mondo dove la verità è un’arma e la manipolazione una strategia. Le aziende ucraine e statunitensi, con le loro tecnologie scintillanti, hanno fatto la loro mossa.
Ma in questa scacchiera, ogni vittoria porta con sé il rischio di una nuova, insidiosa minaccia.
*Presidente Centro Studi Cestudec
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