Di Emanuele Lorenzetti
Bruxelles. La decisione, presa in questi giorni dal Consiglio dell’Unione Europea, di prorogare la missione EUCAP Sahel Niger (European Union Capacity Building Mission; https://eeas.europa.eu/csdp-missions-operations/eucap-sahel-niger_en) per altri due anni, fino al 30 settembre 2020, con un bilancio di 63,4 milioni di euro per il periodo 1° ottobre 2018 – 30 settembre 2020, è dunque un segnale positivo, che può dare speranza a quanti ancora credono in una soluzione alternativa al conflitto armato. Infatti, se da un lato, tale decisione, esprime la volontà dell’Ue di mantenere alta l’attenzione verso il Paese africano, dall’altro sottolinea la presa di consapevolezza del rischio che la crisi in corso può provocare.
Appare, dunque, urgente la necessità di continuare a lavorare in supporto al debole apparato statale. Questa è la finalità della missione EUCAP Sahel Niger che, dal suo avvio nel 2012, è impegnata a fornire consulenza e formazione agli operatori nigerini per rafforzare le proprie capacità di sicurezza.
Con l’aggiornamento del mandato, approvato il 18 settembre 2018, il Consiglio Ue ha inteso orientare la missione su tre principali versanti: lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata ed elaborazione di procedure per un migliore contrasto alla migrazione irregolare. Il capo della missione è Frank Van der Mueren che continuerà a lavorare dal quartier generale a Niamey.
È, pertanto, chiaro che il Niger sta diventando sempre più una zona cruciale per la stabilizzazione o, per inverso, per la de-stabilizzazione dell’intera area del Sahel, ma non solo. In questi giorni abbiamo assistito ad una brutale escalation di violenza e attentati che hanno generato disordine ed instabilità generale sia all’interno sia all’esterno dei confini nigerini, creando tensioni anche nei rapporti con i suoi Paesi confinanti: Burkina Faso, Chad, Mali e Nigeria.
Per non parlare, infine, della Libia che, con tutti i suoi rebus, dal 2011 rende ulteriormente difficile la gestione di questioni urgenti per il sistema securitario internazionale, come il contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di droga e di armi e la tratta di esseri umani. Di fronte a tutto ciò è palese l’incapacità delle autorità nigerine di esercitare con efficacia il controllo del territorio.
Ciò è dovuto, com’è noto, alla presenza in loco di numerosi gruppi ribelli, affiliati spesso alle reti di Boko Haram, principale e storica aggregazione terroristica che ha compiuto molti attentati nel Paese. Ma, a rendere ancora più complicato lo scenario è l’attivismo di altri movimenti islamisti militanti quali: Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQUIM) – con il crescente sospetto nelle ultime ore che, dietro al rapimento di padre Maccalli, vi sia la regia di Al-Qaida – e di Islamic State (IS), quest’ultimo sempre più prepotentemente presente in queste aree, a seguito della sconfitta militare in Siria e in Iraq. Va da sé che la compresenza di questi attori non statali genera fra loro diatribe per il controllo di parte del territorio e il dominio di un movimento rispetto ad un altro.
Il Niger, pertanto, non può più rimanere in queste condizioni. È necessaria un’azione corale politico-diplomatica di medio-lungo periodo.
Un ruolo importante di coordinamento degli attori statali deve essere giocato dal G5 Sahel Joint Force che, con il supporto dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite, può aprire la strada al processo di stabilizzazione regionale.
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