Nucleare iraniano: Francia, Germania e Gran Bretagna attivano il meccanismo di risoluzione delle controversie

Di Matteo Frigoli

Washington. Il 14 gennaio 2020 è una data che si potrà ricordare come la rinascita dell’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action – JCPOA) o come quella dell’inizio della sua fine? Ma che cos’è il meccanismo di risoluzione delle controversie?

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Si tratta di una modalità con cui i firmatari dell’accordo sul nucleare iraniano intendono affrontare formalmente le controversie relative alle sospette violazioni della stessa intesa.

Molto importante dal punto di vista strategico la questione del nucleare iraniano

Che cosa comporta tale meccanismo?

Innanzitutto, l’attivazione del meccanismo innesca una serie di step: entro 30 giorni i firmatari, ossia Iran, Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia, UE nella figura dell’Alto Rappresentante per gli Affari esteri, devono incontrarsi e tentare di risolvere le questioni sulle eventuali violazioni dell’accordo sul nucleare iraniano.

Da sinistra a destra: Boris Johnson (Gran Bretagna), Angela Merkel (Germania), Emmanuel Macron (Francia)

Il termine di 30 giorni può essere esteso con il consenso delle parti.

Successivamente, se le parti, nel termine stabilito, non trovano un accordo, i firmatari possono sia sospendere in tutto o in parte la loro adesione agli obblighi previsti dal JCPOA sia notificare la questione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questi, entro 30 giorni, potrebbe adottare una risoluzione che mantenga l’abolizione delle sanzioni delle Nazioni Unite. Cosa divenuta francamente complessa, data la posizione degli Stati Uniti.

Quali sono le sanzioni? Si tratta di due tipologie di sanzioni già contenute nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottate dal 2006 al 2010.

Il JCPOA prevedeva che una prima tipologia di sanzioni, quelle sullo sviluppo civile del programma nucleare iraniano, sul commercio di vari beni e sulle transazioni finanziarie con l’Iran, venissero annullate, come effettivamente venne fatto, immediatamente dal giorno dell’implementazione dell’accordo. Parliamo del 2015.

La seconda tipologia di sanzioni, invece, ossia quelle riguardanti il divieto di export verso l’Iran sia di armi convenzionali sia di tecnologie per lo sviluppo di sistemi missilistici, era previsto che rimanesse in vigore per un determinato lasso temporale, rispettivamente per 5 anni e 8 anni dalla firma del trattato, con scadenze quindi al 2020 e al 2023.

Tutto questo percorso virtuoso, che avrebbe portato l’Iran ad essere sollevato da tutte le sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, viene ora messo in discussione dall’attivazione del meccanismo di risoluzione delle controversie.

A questo punto, un brevissimo background della parte più recente di questa storia appare necessario.

Nel 2018 gli Stati Uniti sono usciti dall’accordo adottando una politica di “maximum pressure” sull’Iran, consistente in ulteriori sanzioni unilaterali, di tipo economico, le quali si aggiungono a quelle ancora in vigore, sia contro le industrie strategiche iraniane sia contro agenzie/imprese che commerciano con l’Iran, con l’obiettivo di costringere Teheran a sedersi ad un tavolo per rinegoziare.

Una riunione sul piano tra USA e Iran

L’Iran ha reagito all’uscita dall’accordo degli Stati Uniti e all’imposizione delle sanzioni attuando, attraverso delle “fasi”, un graduale disimpegno dagli obblighi derivanti dalla firma del JCPOA. L’ultima di queste fasi, ossia la quinta fase, è stata annunciata il 5 gennaio, due giorni dopo l’uccisione del Generale Qassem Soleimani.

Con essa, l’Iran ha formalmente annunciato la fine del suo impegno ad aderire alle limitazioni previste dall’accordo dichiarando che “… the Islamic Republic of Iran will end its final limitations in the nuclear deal … Therefore Iran’s nuclear program will have no limitations in production including enrichment capacity and percentage and number of enriched uranium and research and expansion …”.(1)

Ora, come accennato, il 14 gennaio, Francia, Germania e Regno Unito hanno attivato il meccanismo di risoluzione delle controversie, come previsto dall’accordo. La mossa degli europei è evidentemente tesa a forzare l’Iran a tornare al tavolo delle negoziazioni come ultimo tentativo in extremis per salvare il JCPOA.

La domanda più ovvia è: perché non hanno mai attivato prima il meccanismo se l’Iran ha iniziato a violare gli accordi già a partire dall’uscita degli Stati Uniti nel 2018? Già nel novembre scorso, infatti, Teheran aveva annunciato che avrebbe ripreso l’arricchimento dell’uranio oltre i termini stabiliti. Perché quindi non attivarlo allora? É lecito pensare che gli europei abbiano tentato di ristabilizzare la situazione con uno sforzo diplomatico e di dialogo, in primis con Macron, ma evidentemente senza successo, dato il muro sollevato dalla Casa Bianca.

E, dopo l’uccisione di Soleimani, con l’annuncio del governo iraniano del 5 gennaio, era divenuto chiaro che tale sforzo non avrebbe portato da nessuna parte.

Ecco quindi che gli europei attivano il meccanismo di risoluzione.

Una sorta di pulsante nucleare che porta l’accordo su un punto decisionale cruciale: se i firmatari non riusciranno a convincere Teheran, la questione potrà essere notificata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e portare all’applicazione di tutte le sanzioni che, secondo il meccanismo, torneranno in vigore automaticamente, senza un possibile veto da parte di russi e cinesi. Gli europei avranno così formalizzato la fine dell’accordo.

Se i firmatari riuscissero invece a stabilizzare la situazione, riportando l’Iran sulla via del rispetto dell’accordo, questo sarebbe salvo. Ne siamo convinti? No di certo.

Gli europei dovranno infatti fare i conti con gli Stati Uniti. Accordo “salvo” è cosa possibile, ma francamente improbabile. Lo abbiamo accennato. Pertanto, non è da escludere che il vero obiettivo del fronte europeo sia quello di normalizzare la situazione accomodando il tutto secondo le regole più restrittive volute dalla Casa Bianca. E, ancora, laddove persino questo passaggio fallisse, nel senso che Teheran non dovesse piegarsi a regole più ferree, non si può escludere da parte americana o persino israeliana l’uso della forza. Non facciamoci illusioni.

Allo stato attuale, comunque, il fronte europeo ha già convenuto di estendere il termine di 30 giorni concessi per risolvere la controversia. Con tutta probabilità, ciò si spiega con la volontà di aspettare l’esito del processo di impeachment che coinvolge Trump e, forse, si potrebbe persino malignare, anche di attendere l’esito delle presidenziali statunitensi, previste per il novembre 2020, sperando in un’amministrazione più morbida.

Potrebbe essere. Tuttavia, l’attuale presidente statunitense ha già dimostrato il suo approccio imprenditoriale, volto a ottenere subito dei risultati, anche quelli che anche solo all’apparenza gli diano ragione, e consenso.

Peraltro, c’è anche da dire che, dopo gli eventi recenti del Medio Oriente, e, soprattutto, con l’evidente e pericolosa espansione sciita, a guida iraniana, in quella regione, non è detto che una diversa amministrazione statunitense, cioè di stampo democratico, sarebbe più favorevole e faccia proprio un approccio più morbido, della medesima tonalità di quella seguita da Obama.

Siamone convinti, è un argomento su cui si dovrà tornare a ragionare.

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