Organismi internazionali: il Multilateralismo è nudo. Cronaca amara di un ordine globale senza leadership

Di Cristina Di Silvio*

WASHINGTON D.C. (nostro servizio particolare). Quest’anno, mentre il mondo vive la più ampia diffusione di conflitti armati dalla fine della Seconda Guerra mondiale, ci troviamo davanti a un’amara constatazione: l’architettura multilaterale che avrebbe dovuto garantire stabilità e cooperazione globale sembra ormai priva di sostanza.

Una riunione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

 

I grandi organismi internazionali, da tempo considerati pilastri dell’ordine mondiale, si rivelano spesso come contenitori vuoti, affaticati da burocrazie autoreferenziali, veti incrociati e interessi divergenti.

Le Nazioni Unite, il simbolo per eccellenza del diritto internazionale, appaiono paralizzate nei dossier più urgenti.

Il Consiglio di Sicurezza, teoricamente cuore pulsante della governance globale, è divenuto teatro di scontro tra potenze con diritto di veto, dove la paralisi è diventata la regola e non più l’eccezione.

Dalle guerre congelate riesplose – Ucraina, Gaza, Sudan. Israele-Iran e tante altre – alle crisi climatiche e umanitarie che travolgono intere regioni, l’ONU viene spesso convocata più per legittimare decisioni già prese da altri che per esercitare una reale funzione di mediazione o prevenzione.

La popolazione civile principale vittima del conflitto interno in Sudan

 

Non se la passano meglio l’Unione Europea o la NATO, seppure con sfumature differenti.

L’Alleanza Atlantica si è ritagliata un nuovo protagonismo a partire dalla guerra in Ucraina, ma il confine tra difesa collettiva e ingerenza geopolitica si è fatto sempre più sottile.

Il Segretario Generale della NATO, Mark Rutte

 

Da deterrente si è trasformata in attore strategico globale, estendendo la propria influenza ben oltre il quadrante euro-atlantico e alimentando la percezione, in alcune aree del mondo, di essere più uno strumento di contenimento che di difesa. L’Unione Europea, dal canto suo, si sforza di parlare con una voce unica, ma resta ostaggio delle sue contraddizioni interne.

A fronte di un bilancio militare in aumento, le politiche dei 27 restano frammentate su dossier chiave come energia, migrazioni, rapporti con la Cina, presenza in Africa.

Dietro le dichiarazioni congiunte, emergono divergenze strutturali che impediscono all’UE di trasformarsi in un soggetto geopolitico coeso e incisivo.

Più che un attore globale, Bruxelles appare come una piattaforma di mediazione continua tra interessi nazionali spesso inconciliabili. Nel mondo arabo la situazione è ancora più emblematica. La Lega Araba sembra ormai incapace di articolare una posizione politica coerente.

Il Qatar attrae numerosi investimenti, così come il Paese del Golfo sparge i suoi dollari nel mondo

 

Le fratture tra monarchie del Golfo e le Repubbliche nordafricane, l’incapacità cronica di affrontare il nodo palestinese, la gestione disordinata della crisi Iran-Israele esplosa dopo l’attacco del primo aprile 2024: tutto contribuisce a consolidare l’immagine di un organismo che esiste più per rappresentare protocolli che per incidere sulle crisi reali.  In linea con l’acuta indignazione di Oriana Fallaci, “L’obiettività non esiste. La parola è un’ipocrisia che è sostenuta dalla bugia che la verità rimane nel mezzo. No, signore: a volte la verità rimane solo da un lato” e nulla descrive meglio l’inerzia diplomatica di certe istituzioni, rifugiate dietro una neutralità che è solo paura di scegliere.

Lo stesso schema si ripete altrove

ASEAN e Unione Africana non riescono a fronteggiare tensioni crescenti nelle rispettive aree di competenza.

I Paesi dell’ASEAN

 

Il Sud-Est asiatico è attraversato da una nuova competizione strategica tra USA e Cina, mentre l’Unione Africana si trova sopraffatta da colpi di stato, interferenze esterne e debolezze strutturali.

In America Latina, il Mercosur appare più come un’alleanza commerciale nominale che un progetto politico. In tutti questi casi, l’impressione è la stessa: questi organismi si muovono solo entro i limiti imposti dalle grandi potenze, quando e se queste lo consentono.

Le bandiere di alcuni Paesi del Mercosur

 

Nel frattempo, fuori dai riflettori ufficiali, prende forma una convergenza silenziosa ma devastante: l’Asse dello Sconvolgimento, composto da Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, agisce sottotraccia, ridisegnando equilibri e alleanze in assenza di un vero contrappeso multilaterale.

È in questa zona grigia della geopolitica che si consumano le svolte più decisive, lontano dalle sale dell’ONU o dai tavoli della diplomazia europea. Ecco allora che il problema non è più solo di legittimità, ma di funzione. Il multilateralismo non è morto in teoria, ma si è svuotato nella pratica.

Le agende strategiche si moltiplicano, i vertici internazionali si succedono a ritmo ossessivo, ma raramente producono soluzioni vincolanti o interventi tempestivi.

I summit risuonano di parole come “cooperazione”, “resilienza”, “governance condivisa”, ma le crisi reali – in Kashmir, nel Mar Rosso, in Sahel – si risolvono, quando va bene, con operazioni unilaterali o trattative segrete tra blocchi rivali.

A fronte di questi numeri – 110 conflitti armati nel mondo, 2 miliardi di persone che vivono in aree destabilizzate – parlare di “sistema internazionale” è diventato un esercizio retorico, più che una descrizione fedele della realtà.

Il multilateralismo, così com’è, sembra utile solo a chi deve mascherare l’inerzia con una facciata di legittimità. E allora la domanda si impone, scomoda ma inevitabile: questi organismi servono ancora così come sono?

O siamo arrivati al punto in cui solo una riforma profonda – strutturale, non procedurale – può restituire senso e credibilità alle architetture internazionali? Se nessuno decide, se nessuno riesce ad agire, se le parole pesano più dei fatti, allora resta solo la crudezza del disincanto: il multilateralismo è nudo.

E noi, come i sudditi nella favola del Re, fingiamo di non vederlo.

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