Roma. Sulla questione libica questa mattina la stampa ed i telegiornali cantavano peana nei confronti del nostro ministro degli Interni, Marco Minniti e della sua linea ferma apprezzata anche dal centro-destra. In mattinata, un altro ministro, ex inquilino del Viminale ed attuale responsabile della diplomazia, Angelino Alfano aggiungeva di “essere contrario ad ogni derby tra rigore e umanità, tra regole e solidarietà, tra sicurezza e diritti umani. Non è un derby che deve conoscere, l’Italia deve continuare a essere il Paese che ha sposato entrambi gli aspetti”.

La pacificazione in Libia potrà arrivare solo con l’intervento dell’ONU?
La questione è tutta politica, nel suo più ampio concetto. Contro il traffico di esseri umani cosa si vuole fare? Come si intende aiutare i migranti, quale sarà il loro destino una volta salvati dal naufragio? Quanto un intervento delle Nazioni Unite può essere proficuo e quanto deleterio, tanto da creare ire funeste di qualche tribù o di qualche esponente politico libico? Quanto la visita oggi a Roma dell’inviato speciale dell’ONU in Libia, Ghassan Salamè può essere considerata un incontro istituzionale e quanto operativo?
Salamè, in conferenza stampa alla Farnesina, ha detto di sapere che ci sono state discussioni in Libia ma crede che “la cooperazione e la trasparenza tra Italia e Libia siano il modo più costruttivo” per ottenere risultati.
“Siamo sulla strada giusta – ha aggiunto – in questo settore per trattare una sfida che ci coinvolge tutti quanti”. Da parte sua il capo del Governo, Paolo Gentiloni ha auspicato “la necessità di una spinta delle Nazioni Unite alla stabilizzazione del Paese”.
Dal punto di vista operativo questa frase cosa potrebbe significare; che prima o poi la missione sarà sotto i colori bianco e azzurri della bandiera ONU? E se così fosse con quali prospettive? Sarà solo umanitaria o avrà bisogno di un supporto militare, stile UNIFIL o altre missioni delle Nazioni Unite del passato?
Certo l’intervento diretto dell’ONU potrebbe far togliere qualche castagna dal fuoco di una politica internazionale dove si parla più per interesse di bandiera che per quello generale. Con Stati dentro l’Unione europea e la NATO che rincorrono questo o quel leader libico.

Ghassan Salamè
La pacificazione può e deve passare attraverso le Nazioni Unite? Se così fosse si sono calcolati i pro ed i contro della scelta?
Anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti segue la linea del premier. Nell’incontro di questa mattina con Ghassan Salamè, presenti anche il capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano, e il Consigliere militare di UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya), Generale Paolo Serra, il capo di Gabinetto, Generale Alberto Rosso ed consigliere diplomatico Nicoletta Bombardiere il ruolo delle Nazioni Unite è stato messo sul tavolo.
Pinotti e Salamè si sono detti d’accordo sul fatto che l’Italia e gli altri Paesi europei siano tutti disponibili, parlando una sola voce, a dare un effettivo apporto alla soluzione della crisi libica, costruendo al contempo un dialogo che includa anche tutte le rappresentanze sociali del Paese.
Più diretto il commento di Antonio Tajani, intervistato da Rai News 24. Per il presidente del Parlamento europeo occorre una vera strategia sull’immigrazione anche per fare fronte ad una esplosione demografica attesa dall’Africa.
“Chiamiamolo Piano Marshall – ha aggiunto – chiamiamolo come vogliamo, ma serve una strategia che coinvolga l’Europa ma direi coinvolga le Nazioni Unite nel loro complesso. L’Africa è un continente che nel 2050 avrà due miliardi e mezzo di abitanti”.
Serve quindi “una soluzione del problema migratorio – ha concluso -, della crescita economica, della stabilizzazione politica e non dobbiamo guardare con occhi coloniali, qua non si tratta di aiutare la Total o qualche altra azienda, si tratta di garantire all’Africa una situazione stabile perche’ possa essere un grande interlocutore dell’Europa”.