Di Giuseppe Gagliano
ANKARA. La Turchia entra nel cuore dell’industria della Difesa italiana.

Un UAV Baykar Bayraktar TB3
La collaborazione tra Leonardo e Baykar, la più importante azienda turca nel settore dei droni militari, non è ancora ufficiale, ma ormai è nei fatti.
Il Gruppo guidato dall’amministratore delegato Roberto Cingolani e l’azienda turca della famiglia Bayraktar stanno limando i dettagli di un’intesa che potrebbe ridisegnare il mercato europeo dei velivoli senza pilota.

L’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani
Un’intesa che, con buona pace delle dichiarazioni prudenti, è molto più di un semplice Memorandum of Understanding.
UN PARTNER POLITICO, NON SOLO INDUSTRIALE
Baykar non è una semplice azienda aerospaziale.
È un pezzo della strategia di potenza turca.
Fondata dalla famiglia Bayraktar, ha il suo baricentro nel legame personale con il Presidente Recep Tayyip Erdogan: il capo delle tecnologie, Selçuk Bayraktar, è suo genero; l’amministratore delegato, Haluk, è il fratello.

Il Presidente turco, Erdogan
La Compagnia è l’emblema dell’espansionismo industriale e militare di Ankara.
I suoi droni, a partire dai famosi Bayraktar TB-2, sono stati utilizzati in Libia, Siria, Azerbaigian e Ucraina.
Una carta fondamentale nella politica estera turca, che Erdogan gioca con grande abilità: fornire tecnologia militare a Stati amici, creare dipendenza strategica e rafforzare l’influenza di Ankara.
L’Europa e l’Italia, dal canto loro, hanno bisogno di droni.
L’Esercito italiano prevede di acquistarne 1.300 nei prossimi anni.
Leonardo, che in passato aveva un certo peso nel settore con i droni Falco, è rimasta indietro rispetto a competitor americani, israeliani e cinesi.
Per recuperare il tempo perso, la soluzione è un’alleanza industriale. Con chi? Con un partner europeo sarebbe stato complicato, gli americani non avrebbero concesso molta autonomia, e così la scelta è caduta sulla Turchia.
IL COLPO DI MANO SU PIAGGIO AERO
L’accordo tra Leonardo e Baykar ha radici profonde. Una di queste passa per la Liguria, dove il 27 dicembre scorso l’azienda turca si è aggiudicata Piaggio Aero, storica compagnia italiana finita in amministrazione straordinaria da oltre sei anni.
Il Governo italiano, dopo lunghi tentennamenti, ha dato il via libera alla cessione. Ufficialmente, si è trattato di un’operazione per salvare l’azienda e i suoi 1.200 lavoratori.
In realtà, dietro l’acquisto di Piaggio Aero si muove qualcosa di più grande: un patto che lega sempre più strettamente l’industria italiana della Difesa alla Turchia.
Lo schema è chiaro: Baykar porta la sua esperienza sui droni, Leonardo mette il know-how industriale e le relazioni con i Governi europei. Il risultato? Una joint venture che avrà accesso ai programmi di Difesa italiani e dell’UE.
AFFARI E REALPOLITIK
La vicenda ha un lato industriale e uno politico.
Il lato industriale è evidente: la produzione di droni è un business in espansione, con miliardi di euro in ballo.
Il lato politico è più complesso. L’Italia, come tutta l’UE, ha rapporti difficili con la Turchia. Erdogan è un leader con cui tutti devono fare i conti, ma nessuno vuole legarsi troppo.
Il suo comportamento negli ultimi anni è stato una montagna russa: da un lato il braccio di ferro con la Grecia, le minacce alla NATO, le interferenze in Libia e nel Caucaso; dall’altro, il ruolo da mediatore nella guerra in Ucraina e la capacità di mantenere relazioni con tutti, da Mosca a Washington.
La memoria, però, è corta. Nel 2021 Mario Draghi definì Erdogan un “dittatore di cui però si ha bisogno”.

Mario Draghi
Oggi il Governo italiano si appresta a stringere un’alleanza strategica con un’azienda che è, di fatto, un braccio armato della sua politica di potenza. L’industria della Difesa segue la realpolitik, e se per riempire il gap tecnologico sui droni bisogna bussare alla porta di Ankara, così sia.
Ma il punto è un altro: chi avrà il controllo?
L’Europa e l’Italia stanno davvero costruendo un polo autonomo nel settore dei droni o stanno solo diventando il mercato di sbocco per l’industria turca? Perché Baykar esporta già i suoi UAV in 34 Paesi, e con un partner italiano avrà un accesso privilegiato alle commesse europee.
Alla fine, il rischio è che Leonardo faccia da “garante” per i prodotti turchi e che l’industria italiana non guadagni un reale vantaggio competitivo.
UNA SCOMMESSA RISCHIOSA
Per ora, l’operazione è vista come un’opportunità per entrambe le parti.
Per Baykar, un’entrata trionfale nel mercato europeo. Per Leonardo, un’occasione per tornare competitiva in un settore che ha lasciato sfuggire.
Per il Governo italiano, un modo per garantire una produzione di droni “nazionale”, senza dover dipendere dagli Stati Uniti.
Ma restano molte domande.
A chi apparterrà la tecnologia sviluppata nella joint venture? Chi avrà l’ultima parola sull’export? E soprattutto: questo accordo rafforza davvero l’industria italiana o rischia di farla diventare una filiale della Turchia nel settore dei droni?
La risposta arriverà nei prossimi mesi, quando i dettagli dell’accordo saranno definiti.
Ma una cosa è certa: nel mondo della Difesa, nulla è mai solo business. E gli affari, come sempre, hanno un prezzo.
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