Repubblica Democratica del Congo: tutti i possibili scenari sulla morte dell’ambasciatore Attanasio, del carabiniere Iacovacci e dell’autista. Sullo sfondo l’indiscriminato saccheggio di importantissimi prodotti estratti dalle miniere

Di Gabriele Di Filippo*

Kinshasa. Risale al 21 febbraio la notizia dell’agguato a due convogli ONU nella zona di confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda nel quale hanno perso la vita tre persone.

Il luogo dell’attacco

Le vittime sono Mustapha Milambo, autista del convoglio, Luca Attanasio, ambasciatore italiano e Vittorio Iacovacci, appartenente all’Arma dei Carabinieri.

Cosa, e a chi è successo?
Secondo le prime notizie riportate dall’agenzia di comunicazione CAS-INFO, gli aggressori erano sei, con in mano cinque AK-47 e un machete (1) .

Alle 10.15 (le 9.15 in Italia), le due auto vengono fermate a circa 15 km da Goma, nei pressi di Nyiaragongo, nel Parco nazionale di Virunga, da un commando di 6 persone che apre il fuoco, prima sparando in aria, poi uccidendo l’autista […] gli assalitori portano il diplomatico e il carabiniere della scorta nella foresta.

Scattato l’allarme, sul posto si precipita una pattuglia di ranger dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura che si trova nelle vicinanze, seguita da forze dell’esercito locale.

Esplode un conflitto a fuoco nel quale gli aggressori uccidono Iacovacci. Anche Attanasio viene colpito dagli spari: di chi, ancora non è chiaro.

Il corpo esangue dell’ambasciatore, ferito all’addome, viene caricato su un pick-up dai primi soccorritori, per poi essere trasferito all’ospedale di Goma” (2) dove poi ha esalato l’ultimo respiro.

Attanasio, a 44 anni, era uno degli ambasciatori più giovani in Italia.

L’ambasciatore Luca Attanasio

Quella mattina era stato prelevato a bordo di un veicolo targato MONUSCO – Mission de l’Organisation des Nations unies pour la stabilisation en République démocratique du Congo (3) (così si chiama la missione dell’ONU per la stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo) e viaggiava verso Rutshuru.

Insieme al convoglio attaccato ne viaggiava un altro, con a bordo altre 4 persone: Rocco Leone, vicedirettore del World Food Programme in Congo, Fidele Zabandora, assistente al programma di alimenti scolastica del Programma alimentare mondiale, Mansour Rwagaza, addetto alla sicurezza e Claude Mukata, l’autista.

Il Carabiniere Vittorio Iacovacci

Questi ultimi, nonostante il pericolo, sono scampati all’agguato.

Il quadro, però, è tutt’altro che chiaro e gli scambi di accuse tra le parti confermano la complessità e l’instabilità dello scenario.

Le autorità locali si rimbalzano le colpe

La vicenda è accaduta nel Nord Kivu, a est del Paese, zona famosa per essere il nascondiglio di decine di gruppi armati che si contendono le risorse naturali.

La regione ospita il Parco di Virunga, habitat naturale dei gorilla di montagna, tristemente noto per le continue guerriglie tra dissidenti e ranger (4).

Inizialmente, il governo congolese ha attribuito la totalità della colpa alle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda che, dopo il genocidio in Ruanda nel 1994, “hanno fatto di quelle terre il loro fortino restando una forza di opposizione sia nei confronti dell’esecutivo di Kinshasa, che di quello di Kigali” (5)  e, in base a testimonianze locali, i rapitori comunicavano tra loro in kinyarwanda.

Si tratta di una lingua ruandese parlata al confine tra i due Paesi.

Le FDLR negano la loro partecipazione all’agguato e, da fonti interne concordanti, affermano che il convoglio sia stato attaccato “in una zona detta delle tre antenne”, vicino Goma, sulla frontiera con il Ruanda, non lontano da una postazione delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FRDC) e dei militari ruandesi delle Forze di Difesa ruandesi.

La responsabilità di questo ignobile assassinio è da ricercare nei ranghi di questi due eserciti e i loro sponsor che hanno stretto un’alleanza contro natura per prolungare all’infinito il saccheggio dell’Est della Repubblica Democratica del Congo (6).

La Farnesina chiede tatto e professionalità

Viene dalla Farnesina l’appello nei confronti di alcuni organi di stampa che stavano facendo un utilizzo strumentale dell’avviso pubblicato sul sito dell’Ambasciata d’Italia a Kinshasa della procedura di acquisto di una nuova autovettura blindata (7) .

La sede della Farnesina

Sarebbe bastata una semplice telefonata per appurare che si trattava di una sostituzione di una delle vetture blindate già in dotazione alla sede. Corre dunque nuovamente l’obbligo di appellarsi al senso di responsabilità di tutti gli organi di stampa affinché in un momento così tragico non contribuiscano a diffondere informazioni poco accurate se non addirittura fuorvianti” (8).

Altre ipotesi: ISIS o rapimento?

È stata ipotizzata anche la matrice ISIS, perché a quanto pare qualche giorno fa altre persone sono rimaste vittima di un’imboscata.

Due civili sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco e diverse persone sono rimaste ferite in un’altra imboscata nel Nord di Kivu.

Lo ha riferito il sito di notizie locale “Actualite“, secondo il quale l’attacco è stato attribuito alle Allied Democratic Forces, un gruppo di origine ugandese attivo da decenni nella regione e che da due anni sarebbe affiliato all’ISIS.

Potrebbe essere anche stato un rapimento andato a male, considerando la disuguaglianza della ricchezza elevatissima in quella zona della Repubblica Democratica del Congo.

Anche il Congo segnala casi di infiltrazioni jihadiste

Infatti, l’Adn Kronos riporta la notizia di un testimone che è riuscito a mettersi in salvo a un agguato avvenuto lungo la strada Beni-Kasindi.

La fonte ha spiegato che gli aggressori hanno sparato per fermare un convoglio – che poi è stato saccheggiato – sul quale viaggiavano diversi “commercianti”.

Le vittime sono uno degli autisti e un suo passeggero (9).

Il caso diventa un giallo. Incongruenze profonde

Oltre a non avere chiaro il quadro degli attentatori, delle loro motivazioni e addirittura da quale arma siano stati sparati i proiettili fatali ai tre, si indaga anche il motivo per il quale il primo convoglio viaggiasse senza una scorta armata, al di fuori del carabiniere rimasto ucciso, senza giubbotti antiproiettile e senza un veicolo blindato.

Un altro dubbio è come mai ci sia stata dell’incertezza nel decretare, quella strada nel Governatorato Nord Kivu, sicura.

Poche ore dopo la notizia dell’uccisione dell’ambasciatore, del carabiniere e del loro autista, il World Food Programme in una nota ha dichiarato che era stato autorizzato il viaggio su quella strada senza una scorta di sicurezza, specificando che il percorso era già stato pattugliato in precedenza proprio per poter fornire una valutazione del rischio.

La versione è confermata anche da fonti d’intelligence che hanno poi specificato che il via libera è arrivato dal governo locale, ma proprio da Goma arriva la smentita.

La polizia congolese – sostengono le forze di sicurezza locali – non era stata informata della visita dell’ambasciatore italiano ha dichiarato il generale della polizia nazionale Abba Van. Era addirittura sorpreso del fatto che il diplomatico si fosse recato nella regione senza un convoglio della polizia.

Una fonte interna all’ONU ha poi precisato che la strada è convalidata senza scorta ma con l’obbligo di un convoglio di almeno due auto (10).

Resta il fatto che il governo congolese si continua a chiedere quali siano stati i motivi che hanno spinto l’ambasciatore ad addentrarsi in un’area così instabile.

Monta l’irritazione della Farnesina verso il World Food Program che aveva organizzato la visita invitando l’ambasciatore, trascinato in un’avventura tragica, senza scorta, in una zona pericolosissima del Paese.

“Quella è una strada infida, non so come sia stato possibile che l’ambasciatore non viaggiasse su un mezzo blindato. Questa zona è tra le più altamente pericolose del Paese – rivela un missionario comboniano al Secolo d’Italia – Ma è la prima volta che viene colpito un ambasciatore, questo apre un caso diplomatico. Ed è anche vero che ogni giorno avvengono fatti tragici e massacri nel Nord Kivu” (11).

La missione ONU non gode di consenso tra la popolazione

Gli aggressori sarebbero però stati raggiunti subito dopo da una pattuglia dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura la cui sede è poco distante dal luogo del rapimento.

Alcuni assetti della MONUSCO

Nel conflitto a fuoco che ne è seguito l’ambasciatore e il carabiniere di scorta sarebbero quindi deceduti.

“La missione delle Nazioni Unite Monusco che ha preso l’eredità della precedente Monuc non sembra godesse di grande consenso tra la popolazione locale per alcuni casi di violenza e abusi perpretati proprio da alcuni caschi blu” (12).

Rocco Leone è salvo perché zoppicava

All’inizio hanno chiesto i telefonini e i soldi e tutto quello che potevano rubare, e successivamente hanno obbligato tutti a scendere dai due veicoli e a seguirli verso l’interno“. Questa è la testimonianza, raccolta e riportata a AGI/InfoAfrica del vicedirettore del WFP, Rocco Leone, sopravvissuto all’agguato.

La camminata  è durata una quindicina di minuti. Leone era più lento degli altri, aveva un passo zoppicante, ed è rimasto indietro rispetto al resto del gruppo. Così, a un certo punto, si è ritrovato isolato ed è potuto scappare. È tornato indietro, riuscendo a chiamare i soccorsi (13).

La situazione geopolitica nella zona interessata

Il Congo non vive un periodo di pace dalla sua indipendenza dal Belgio, nel 1960.

Diventa quindi difficilissimo stabilire con esattezza, momentaneamente, le responsabilità.

Questa particolare area è sempre stata depredata di ogni ricchezza.

Dai coloni francesi, dalle forze ruandesi, dai congolesi.

Tutti hanno avuto la loro parte nella devastazione e nel continuo saccheggio ai danni di questo territorio.

Il sottosuolo del Congo è ricco fra l’altro anche di petrolio, oro, argento e uranio.

Nella Repubblica Democratica del Congo c’è una densità demografica molto alta: è la quarta più grande in Africa, con quasi 90 mila persone, ma la cattiva economia va di pari passo con la debolezza delle infrastrutture e della corruzione dilagante.

Hanno un sistema sanitario e scolastico per lo più obsoleto, se si esclude la capitale.

Molto critica anche la situazione scolastica

C’è così tanta mala gestione che l’industria mineraria che in passato fruttava il 25% del PIL, dal 2000 ha segnato solo il 6%.

Essendo un territorio fertilissimo e avendo un sottosuolo ancora più ricco di risorse non rinnovabili, è facile che questo territorio sia vulnerabile ai conflitti (14) – scrive Impakter – anche se credo che sia una visione piuttosto colonialista dei Paesi.

I primi sfruttatori sono stati sempre gli uomini bianchi, con la promessa di civilizzare le genti.

Più del 30% dei bambini nel 2000 ha abbandonato la scuola per raccogliere coltan. Non so quanti di loro in maniera totalmente volontaria.

Il coltan, la tecnologia e il rapporto con gli acquirenti mondiali

Oltre ai diamanti, questa zona al confine col Ruanda è ricca dei due materiali che ultimamente sono diventati indispensabili alla tecnologia: il cobalto e il coltan.

Il primo, di cui quest’area produce il 60% del fabbisogno mondiale è sempre più richiesto per l’impiego nella costruzione di telefonini e batterie di auto elettriche.

Il coltan invece è minerale da cui si ottiene il tantalio, metallo raro che – da ingrediente essenziale per la produzione missilistica e nucleare e per il settore aerospaziale – è diventato di recente ambitissimo dai produttori di telefonia mobile è con l’aumento della richiesta mondiale di tantalio che si è fatta più accesa la lotta fra gruppi para-militari e guerriglieri per il controllo dei territori congolesi di estrazione.

Un’area particolarmente interessata è proprio la regione del Kivu dove è avvenuto l’attacco. Ed è da un ventennio che rapporti ONU denunciano come i proventi del commercio semilegale di coltan, il nuovo oro, e di altre risorse naturali pregiate abbiano alimentato la guerra civile fatta di vari conflitti regionali che tra il 1996 e il 2003, proprio nell’Est del Paese dove si trova il Kivu, causò la morte di milioni di persone, soprattutto di fame e malattie (15).

Da questo materiale vengono estratti il niobo e il tantalio.

Quest’ultimo è il componente fondamentale nell’industria elettronica per quanto riguarda i sensori audio, gli schermi touch screen, i driver esterni per pc, le luci a led e molto altro.

La prima estrazione di tantalite è avvenuta nel 1910 e, ad oggi, i processi estrattivi sono gli stessi di un secolo fa: in modo primitivo, scavando grandi crateri nei letti dei fiumi e setacciando ogni volta la parte erosa.

Un uomo adulto riesce a raccogliere 1 chilogramo di coltan al giorno.

L’estrazione esplose agli inizi 2000, facendo lievitare vertiginosamente i prezzi.

Solo un anno dopo, però, i prezzi crollarono e i minatori artigianali lasciarono il passo non potendo più sostenere le spese.

A questo punto le miniere vennero rilevate dai gruppi armati che sotto uno spietato sfruttamento della manodopera riuscirono a incassare 1 milione di dollari al mese, a discapito dei bambini obbligati anch’essi a lavorare sette giorni su sette (con un guadagno di 21 dollari settimanali).

Uno sfruttamento del sottosuolo di cui fanno le spese anche un elevato numero di bambini-minatori, spinti o costretti ad esempio ad estrarre in condizioni disumane e dannose per la salute il cobalto utilizzato almeno da una trentina più noti marchi tecnologici e automobilistici, come denunciò a due riprese Amnesty International nel 2015 e nel 2017.

“I bambini sono anche a rischio che i loro datori di lavoro facciano loro avance sessuali, oltre a lavorare all’interno di stretti tunnel artificiali che possono potenzialmente causare danni permanenti ai polmoni (16)- spiega Michael Nest, esperto di anticorruzione e autore nel 2011 di Coltan (17) – Quando viene trovato un giacimento di coltan, i minatori si precipitano a sfruttare il sito, indipendentemente dal fatto che si trovi su un terreno agricolo o in un Parco nazionale, e l’estrazione distrugge il potenziale per la terra da utilizzare per il pascolo o la coltivazione, o come riserva biologica per la fauna e la flora”.

Un altro problema importante con questo tipo di commercio è che il processo, dall’estrazione alla raffinazione e per finire alla vendita, è così lungo che rende difficile individuare la provenienza.

A causa di ciò, i produttori di apparecchiature originali vanno incontro alla cieca a pratiche minerarie legittime e ribelli; tant’è che sempre Amnesty International nel 2016 ha accusato Apple, Sony e Samsung di non aver effettuato controlli di base sulla provenienza del materiale.

D’altronde si fa tutto per il “progresso”, anche devastare un’intera area geografica.

NOTE

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