Russia: Michail Gorbačëv l’uomo della glasnost e della perestroika. Riforme che hanno fallito

MOSCA. La morte di Michail Gorbačëv, ex Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, avvenuta lo scorso 30 agosto ha riportato alla memoria la sue linea politica nazionale  e internazionale.

Michail Gorbačëv, ex Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica

Ha fatto ricordare parole tanto in voga negli anni ’80 quali glasnost e perestrojka.

La prima fu, infatti, utilizzata a partire dal 1986, per identificare una nuova attitudine a non celare le difficoltà, a discuterne liberamente “in modo trasparente” e criticamente.

L’insieme delle riforme poste in essere nel modo di selezionare i quadri del PCUS, al fine di combattere la corruzione e i privilegi dell’apparato politico prese invece il nome di perestrojka (“ricostruzione”).

Con Alessandro Fanetti, Analista di Geopolitica e Relazioni Internazionali e profondo conoscitore della politica russa, Report Difesa ha voluto analizzare la figura di Gorbačëv.

Fanetti, cosa ha veramente rappresentato Michail Gorbačëv, per l’Unione Sovietica?

Ha rappresentato la rottura definitiva con ciò che l’Unione Sovietica era stata fino a quel momento.

Un sistema certamente plasmato dai vari leader che si erano succeduti fin dal 1922 ma mai arrivato a punte di cambiamenti così epocali.

Cambiamenti che sono iniziati sin dal 1985 (anno della sua ascesa a Segretario Generale del PCUS) e che hanno visto nella glasnost e nella perestroika i punti più significativi.

Punti che, di fatto, hanno portato alla dissoluzione della “creatura” sorta dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917.

L’assalto al Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo

Se “allunghiamo” la questione e arriviamo a chiederci cosa ha rappresentato (e rappresenta) Gorbačëv, per la Federazione Russa, possiamo vedere che la sua eredità ha diviso la popolazione del Paese e la divide ancora oggi (anche dopo la sua dipartita fisica) fra sostenitori e detrattori.

I primi convinti che egli abbia almeno rappresentato il tentativo di portare il blocco sovietico verso una maggiore libertà individuale ed economica mentre i secondi sicuri che da lui in poi si è assistito al deterioramento della situazione interna ed internazionale.

Lo stesso trattamento riservato dall’élite politica russa al momento della sua morte conferma tali considerazioni: un “mezzo” funerale di Stato chiaramente dovuto da un lato alla sua figura oggettivamente ingombrante per la storia russa e dall’altro al sentimento non eccezionalmente benevolo da parte di ampi strati della popolazione.

Perché si è arrivò alla glasnost e alla perestroika?

L’Unione Sovietica arrivata agli anni ’80 del Novecento aveva dentro di sé, in primis all’interno della sua élite politico-economico-militare, posizioni non univoche e talvolta diametralmente opposte.

Uno dei punti fondamentali di discussione era proprio quello inerente il prosieguo di una certa gestione collettivistica della società e dell’economia o, al contrario, un’apertura verso posizioni più liberali.

Una discussione che, in realtà, si sviluppava da molto tempo e che evidentemente ha trovato proprio in quel periodo una soluzione più vicina alla seconda opzione.

Una soluzione che ha portato alla dissoluzione dell’URSS (cosa auspicata da vari leader come Boris El’cin).

La mappa illustra come era l’URSS

Certamente è indubbio che l’Unione Sovietica arrivata nella seconda metà degli anni ’80 non viveva il suo migliore momento (la guerra in Afghanistan che non andava benissimo, le spese militari erano ingenti, c’era stagnazione economica, si registrava uno sviluppo di focolai di proteste in vari Paesi facenti parte dell’URSS), ma da lì a sviluppare politiche che, in pochissimi anni, l’hanno portata al collasso definitivo non sono sicuro che sia stata proprio nemmeno l’ambizione dell’allora leader sovietico.

Nel tentativo di dare uno slancio all’Unione, il leader e i suoi collaboratori hanno finito per dissolverla.

Dunque, la glasnost e la perestroika furono un tentativo di riforme molto ambizioso e radicale di un gigante che per decenni aveva preso una determinata direzione e che in pochissimo tempo gli veniva chiesto di fare una inversione ad U.

Un’inversione che ha miseramente fallito almeno nei suoi intenti pubblici, portando la seconda potenza globale al collasso e allo smembramento, nonché a tensioni internazionali delle quali viviamo anche oggi determinate conseguenze.

Come ben sottolineato da Pierluigi Franco nel suo libro “Gorbačëv il furbo ingenuo”, infatti: “La disgregazione dell’antico impero russo-sovietico si è dimostrato il vero danno per il mondo, come Thatcher e Bush avevano temuto. Un danno di cui anche l’Occidente sta pagando le pesanti conseguenze e continuerà a pagarle. I rischi aperti dall’era Gorbačëv sono sfociati in invasioni e conflitti che l’Europa aveva dimenticato finché ha vissuto all’ombra protettiva della stabilità di Yalta”.

Quanto il Partito Comunista Sovietico dell’epoca lo ha sostenuto e quanto lo hanno fatto quelli europei?

Per rispondere a questa domanda e per dimostrare le divisioni laceranti che si svilupparono all’interno dell’élite sovietica proprio in quei drammatici momenti, credo sia più che sufficiente descrivere il tentato (e fallito) colpo di Stato ai danni di Gorbačëv (e sostanzialmente anche di Boris El’cin) , vero e più spietato “carnefice” dell’URSS) nel convulso mese di agosto del 1991.

Alcune immagini del colpo di Stato dell’agosto 1991

Infatti, il 17 marzo dello stesso anno si svolse un referendum che chiedeva ai cittadini se essi fossero favorevoli o meno al mantenimento di una sorta di URSS 2.0.

La grande maggioranza di loro si espresse favorevolmente.

Ma mentre la parte di élite sovietica favorevole alla “restaurazione” si sentì tranquillizzata e per un momento sembrò quasi che potesse mettere all’angolo i fautori del “cambiamento”.

Questi ultimi compresero, invece, che il voto era in primis una richiesta di stabilità, tranquillità e benessere da parte della popolazione e si adoperarono subito per dare una risposta positiva (almeno a parole) a questo sentimento.

Il cambiamento infatti non si arrestò nemmeno per un attimo, con El’cin che andava dritto per la sua strada con l’obiettivo di dissolvere l’URSS e con Gorbačëv che sembrava incapace di reagire a ciò e portare avanti il suo obiettivo di “riforma senza distruzione”.

El’cin riuscì a presentarsi come l’uomo che poteva riportare stabilità e benessere, nel solco della Costituzione e addossando tutti i mali del momento all’establishment che lo osteggiava.

Fu così che dopo le elezioni vinte da El’cin con il 57% dei voti per la carica di Presidente della RSFSR (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) e l’inizio della disgregazione dell’URSS in barba al referendum di pochi mesi prima (ad esempio con lo scioglimento del Patto di Varsavia il 1° luglio), una parte dell’élite sovietica fedele ai principi “di sempre” (come il ministro della Difesa Jazov e il Capo del KGB Krjučkov) decise di tentare un colpo di Stato.

Gorbačëv venne sequestrato nella sua dacia in Crimea e i rivoltosi cercarono di impadronirsi dei vari centri di potere e informazione.

Nonostante le sue titubanze iniziali, El’cin si fece coraggio e scese in piazza raggiungendo la Casa Bianca sostenuto da persone che si fidavano di lui e che aspettavano con ansia le sue parole.

Boris El’cin

Egli colse la palla al balzo per arringare la folla e garantirsi il sostegno necessario a far fallire il tentativo di golpe e a ipotecare il suo ruolo di “capo della Russia” per gli anni a venire: “Abbiamo a che fare con un putsch reazionario e anti costituzionale. Vogliono che l’Unione Sovietica torni alla Guerra Fredda e all’isolamento. Ci appelliamo ai russi perché respingano questa minaccia in modo adeguato”.

Il golpe fallì nel giro di 72 ore e la Russia (e l’URSS tutta) prese la strada che noi tutti conosciamo.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, alcuni partiti comunisti europei facenti però parte dell’URSS erano più a favore delle riforme promosse da Gorbačëv, mentre altri le combattevano decisamente.

La stessa cosa è possibile affermarla per i partiti comunisti dell’Europa occidentale.

Ovviamente, è necessario sottolineare che all’interno degli stessi partiti comunisti, non tutte le varie anime che li componevano erano concordi con le analisi ufficiali e che uscivano dagli organi decisionali quasi sempre a maggioranza.

Basti pensare alle lacerazioni che il Partito Comunista Italiano ha vissuto durante il suo scioglimento avvenuto con la cosiddetta “Svolta della Bolognina” e che ha visto una scissione drammatica al suo interno fra chi ha dato vita al PDS e chi a Rifondazione Comunista.

Achille Occhetto e la svolta della Bolognina

È necessario comunque sottolineare che mentre nei Partiti comunisti europei facenti parte del blocco sovietico il dibattito è stato decisivo anche per la stessa sorte dell’URSS (basti pensare all’ “Accordo di Belaveža” firmato dai Presidenti “comunisti” di Russia, Ucraina e Bielorussia), appare meno decisivo invece quello sviluppatosi nei e fra i vari Partiti comunisti europei del blocco occidentale.

Ovviamente meno decisivo nella sorte che l’URSS ha avuto, ma fondamentale per ciò che è accaduto a livello di ricostruzione del sistema internazionale post 1989 -1991.

Facciamo una breve analisi “tecnica” degli accordi che furono sottoscritti da Gorbačëv con gli Stati Uniti. Una sua opinione?

Dal punto di vista “tecnico” è indubbio e oggettivo che i vari accordi siglati prima fra Reagan e Gorbačëv e poi fra quest’ultimo e Bush senior sui missili e le armi nucleari abbiano reso il mondo un posto più sicuro.

Si tratta di un successo innegabile.

Un successo messo in crisi negli ultimi anni e che invece andrebbe implementato per garantire una sempre maggiore diminuzione degli armamenti di distruzione di massa in giro per il mondo.

Purtroppo sembra proprio che si stia andando nella direzione opposta e i vari aumenti delle spese militari delle varie potenze del globo lo stanno chiaramente dimostrando.

Dal punto di vista politico, invece, quello spirito di collaborazione e di dialogo si stanno sempre di più dissolvendo.

Un “dialogo rarefatto e complicato” non solo fra la Russia e gli USA (a quel tempo le due grandi potenze del mondo bipolare) ma fra le varie potenze del mondo occidentale e quelle che hanno in Russia e Cina le loro “teste di ponte”.

In sostanza, il dialogo fra chi sostiene la necessità di difendere l’architettura internazionale unipolare a guida liberale sorta dalle ceneri della Guerra Fredda e chi invece vuole la nascita di un mondo multipolare si sta complicando sempre di più.

L’attuale conflitto che si sta svolgendo in Ucraina dimostra proprio la quasi completa incomunicabilità che esiste fra le visioni del mondo che si fronteggiano nel nostro tempo.

Ricordiamo, Fanetti, un altro aspetto relativo a quello che è stato sempre definito come il “crollo del comunismo” in URSS e nei Paesi allora alleati. Penso alla figura del Papa San Giovanni Paolo II. Non dimentichiamo le proteste ai cantieri navali di Danzica con lo sciopero del 14 agosto 1980, in seguito al licenziamento dell’operaia Anna Walentynowicz, in quanto aderente ad un sindacato libero, con l’occupazione da parte dei lavoratori del cantiere navale Lenin. Quanto, il Vaticano ha “pilotato” la fine dell’ideologia comunista nel Vecchio Continente?

Tutti sanno che San Giovanni Paolo II, fin dall’elezione a Pontefice (ma anche prima) si è sempre impegnato per mettere in crisi l’URSS e possibilmente farla collassare.

San Giovanni Paolo II, molto importante il suo ruolo nelle relazioni internazionali dell’epoca

In primis operando nel e per il suo Paese natale, la Polonia, attraverso il sostegno alla Chiesa del posto e ai movimenti come Solidarność.

Approfittando certamente delle debolezze che già si palesavano all’interno dell’Unione Sovietica.

Sarebbe tuttavia errato (e anche un po’ ingenuo) affermare che sia stato lui e la Chiesa da lui guidata i principali artefici di ciò che accadde nel 1991, come da lui sottolineato anche poco prima di lasciare la vita terrena nel suo libro intitolato “Memoria e Identità”:“Sarebbe ridicolo ritenere che sia stato il Papa ad abbattere con le proprie mani il comunismo”.

Per quanto riguarda Gorbačëv, non credo che sia stato così influenzato da Giovanni Paolo II nelle sue azioni, anche perché mentre quest’ultimo vedeva nel comunismo un male da estirpare, il primo era più propenso a riformare radicalmente il sistema sovietico ma senza abbattere tutto.

Certamente entrambi hanno giocato un ruolo decisivo (più o meno consapevolmente) nella dissoluzione dell’URSS, ma non emergono situazioni o questioni che lascino pensare ad una visione completamente coincidente o collaborazioni “segrete” fra di loro per raggiungere ciò che accadde nel 1991.

Se dovessimo fare un paragone tra Gorbačëv e Putin che potremmo dire?

Io credo che la storia e le varie fasi di essa non si possano leggere adeguatamente senza tenere conto di tutte le sfaccettature che le compongono.

Gorbačëv e Putin in un incontro del 2001

Nello specifico della Russia e delle sue relazioni con l’esterno, va sottolineato che anche con El’cin (il Presidente probabilmente più vicino all’Occidente che la Russia abbia mai avuto) motivi serissimi di attrito fra Mosca e la NATO (in primis con Washington) si erano già palesati.

Dunque, non credo che con la semplice sostituzione di un Presidente la storia sarebbe cambiata radicalmente, in quanto si sono creati dei nodi tali (dal punto di vista russo) che le relazioni fra queste entità statuali (e non solo) si sarebbero comunque deteriorate.

Forse non sarebbe scoppiato in questo momento specifico un conflitto di questa portata, ma i grandi movimenti che guidano e formano le diverse fasi della storia dell’umanità non possono essere ascritti a una sola persona, per quanto potente essa sia.

Quest’ultima è comunque espressione di un sentimento comune, magari non sempre maggioritario ma comunque esistente in un numero non indifferente di persone.

 

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