Russia-Sahel: l’asse della nuova resistenza africana. Con la benedizione di Mosca è nata Confederazione degli Stati del Sahel (Mali, Burkina Faso e Niger)

Di Giuseppe Gagliano

MOSCA. Dietro le strette di mano e i comunicati ufficiali, il vertice di Mosca tra la Russia e la neonata Confederazione degli Stati del Sahel – Mali, Burkina Faso e Niger – è molto più di un gesto simbolico.

Il Presidente russo Vladimir Putin

 

È il segnale, potente e inequivocabile, che il mondo multipolare non è più una prospettiva ma un dato di fatto.

La Russia, primo Stato a riconoscere ufficialmente la Confederazione, entra a pieno titolo nel cuore geopolitico dell’Africa occidentale, là dove l’Occidente ha fallito o, peggio, ha generato instabilità con decenni di interferenze, interventi armati, colonizzazione economica e sostegno a regimi clientelari.

La presenza di Sergej Lavrov, figura esperta e centrale nella diplomazia russa, sottolinea l’importanza strategica dell’iniziativa.

Il ministro degli Esteri russo Lavrov

 

I dossier sul tavolo non sono generici: si parla di sicurezza, di lotta al terrorismo, di formazione delle Forze Armate unificate dell’alleanza.

Temi concreti, urgenti, esistenziali per tre Paesi che, negli ultimi anni, hanno deciso di rompere i legami con Parigi e con l’architettura militare occidentale (Barkhane, G5 Sahel, base USA di Agadez) per cercare altrove sovranità e stabilità.

Ecco il cuore geopolitico della questione: Mosca si presenta come alternativa, non solo come partner economico o militare.

Propone un modello di cooperazione fondato sull’equilibrio sovrano, sul rispetto delle identità statali, e – nella sua retorica – sulla decolonizzazione delle relazioni internazionali.

È un messaggio potente in un continente dove il ricordo del colonialismo non è storia ma cronaca, e dove la presenza francese è vissuta sempre più come una forma di neocolonialismo blindato da basi militari, CFA franc e condizionalità economiche.

Una mappa dell’Africa

Dal punto di vista geoeconomico, l’alleanza con Mosca ha un valore molteplice.

I tre Paesi del Sahel sono ricchissimi di risorse naturali: uranio, oro, ferro, fosfati, litio.

Ma finora queste ricchezze sono servite più a finanziare élite corrotte e multinazionali straniere che a costruire sviluppo locale.

La Russia, a differenza di Europa e Stati Uniti, propone partnership energetiche e minerarie in cambio di accesso politico e militare, rompendo i vecchi monopoli francesi e cinesi.

Se l’accordo evolve, potremmo assistere a una trasformazione radicale delle rotte commerciali e dei flussi d’investimento nella regione.

Ma c’è un altro elemento da considerare: l’effetto domino. Mali, Burkina Faso e Niger sono il nucleo, ma non l’intero corpo. Il malcontento verso l’Occidente attraversa anche il Ciad, la Guinea, il Sudan, e persino il Maghreb.

Il riconoscimento della confederazione da parte di Mosca potrebbe fungere da catalizzatore per altre adesioni, creando una cintura saheliana alternativa alla CEDEAO, che ormai viene percepita da molti governi militari africani come un mero strumento della NATO in Africa.

In definitiva, ciò che si delinea non è solo un nuovo asse Mosca-Bamako-Ouagadougou-Niamey, ma la possibile nascita di un blocco panafricano sovrano, che guarda a Est e che potrebbe aprire nuovi canali con i BRICS, con la Cina, con l’Iran e con la Turchia.

La sfida è colossale: logistica, militare, istituzionale.

Ma il messaggio è chiaro. L’Africa non vuole più essere spettatrice.

E la Russia, nella sua lunga battaglia contro l’ordine unipolare, ha trovato nuovi alleati disposti a camminare con lei. Anche nel deserto.

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