Di Marco Petrelli
TERNI (nostro servizio particolare). Negli ultimi anni l’opinione pubblica è stata condizionata circa l’esperienza militare italiana nella Seconda Guerra mondiale.
La guerra 1940-1943, classificata come “fascista”, è stata sempre più messa all’angolo in favore dell’ epopea della Resistenza e, in parte, anche del Corpo Italiano di Liberazione del Regio Esercito… co-belligerante.
Dopo quasi 80 anni di silenzio, infatti, la storiografia si è ricordata di quei militari che parteciparono alla campagna d’Italia insieme agli Alleati.
L’embrione delle future Forze Armate della Repubblica italiana, forgiate in battaglia in nome dei valori inseguito espressi dalla Costituzione.
Nobile sacrificio che merita un posto d’onore accanto alla lotta partigiana seppure, per ambedue le esperienze, gli Alleati abbiano mostrato scarso riconoscimento quando al Congresso di pace del 1947, a Parigi, l’Italia fu trattata al pari di Berlino e di Tokyo, cioè una nazione sconfitta e senza diritto di replica.
L’indignazione di Benedetto Croce (“padre” dell’idea di un Esercito italiano combattente con gli anglo-americani) per la cessione alla Francia di Briga e Tenda ne è clamoroso e triste esempio.
Ma l’ingratitudine di britannici e statunitensi non fu l’unico smacco per i soldati co-belligeranti poiché anche loro, come d’altronde tutti gli eserciti coinvolti nella guerra mondiale, furono protagonisti di un fatto di sangue che ne macchiò l’onore: l’eccidio di Codevigo del 29 aprile 1945.
Allora, Mussolini era stato appena ucciso, Hitler si sarebbe suicidato il giorno seguente.
La Repubblica Sociale italiana si era dissolta mentre il Terzo Reich avrebbe firmato la resa incondizionata l’8 maggio.
Il 29 aprile l’VIII Armata britannica oltrepassava il Po con i Gruppi di combattimento del Regio Esercito, fra i quali il “giovane” “Cremona” che, costituitosi nel gennaio 1945, partecipò da subito a duri scontri contro le forze tedesche e fasciste repubblicane, partecipando altresì alla liberazione di Ravenna e di Alfonsine e poi di Mestre e di Venezia.
Al “Cremona”, inoltre, si era aggregata la Brigata garibaldina “Mario Gordini” che, insieme ai soldati, raggiunse il piccolo borgo nel Padovano dove iniziò il rastrellamento e la concentrazione degli sfollati della RSI, militari della Guardia Nazionale repubblicana e civili quasi tutti provenienti da Emilia Romagna e Veneto.
Sorte già segnata: nessun processo, nessun tentativo di stabilire eventuali delitti commessi dai singoli.
Solo giustizia sommaria che finì per investire 136 persone.
La prima vittima a cadere sotto i colpi dei “cremonini” fu una maestra elementare del luogo, sospettata di essere una spia per i tedeschi.
Con lei morirono altre due donne, entrambe ausiliarie. Neanche i corpi meritarono pietà, poiché i cadaveri furono gettati in un fiume oppure abbandonati a terra.
Inoltre, il fatto che molti dei morti fossero stati in vita membri delle federazioni fasciste di Ravenna e di Faenza, fece sì che Codevigo assumesse il carattere di una resa dei conti tra corregionali: i ricordi delle violenze del 1919-1922, della repressione del regime fascista e della guerra civile erano infatti vivi, alimentando il desiderio vendetta.
Torti raddrizzati a colpi d’arma da fuoco, passati in sordina perché perpetrati prima della fine delle ostilità e dunque considerati “atto di guerra”.
Poi, l’oblio.
Oltre al fatto di sangue, già di per sé grave, l’eccidio di Codevigo fece venire a galla la scarsa disciplina di alcune unità co-belligeranti e la prevalenza dell’attaccamento ideologico sul giuramento prestato allo Stato monarchico.
In un libello conservato nella Biblioteca comunale di Terni e realizzato nel 1975, in occasione del 30° anniversario della fine della guerra, sono raccolte testimonianze di volontari ternani del “Cremona” (furono circa 300 i ternani arruolati nel Gruppo combattimento “Cremona”) poco convinti di fare parte di un Esercito “regio”, quando non apertamente anti monarchici.
Fra le memorie, infatti, vi è anche quella di una contestazione al Luogotenente generale del Regno Umberto di Savoia in visita alla truppa, quest’ultima costituita in maggioranza da elementi provenienti dall’esperienza partigiana comunista.
Non si conosce, infine, se e come il Generale Clemente Primieri, comandante del Gruppo combattimento “Cremona”, abbia reagito all’eccidio.
Si sa solo che l’ordine non partì da lui.
In un Paese che non ha ancora fatto i conti con la sua Storia, analizzare il passato prossimo con obiettività è fondamentale per ricostruire gli eventi e per restituire una quanto più completa verità ai fatti.
Nel fare questo si rischia anche di passare per antipatici, ma apologia e ricerca storica vanno ben poco d’accordo.
Onore dunque ai combattenti per la libertà, con e senza le stellette.
Ma memoria anche alle vittime di pagine a lungo dimenticate nel tentativo di costruire il mito fondativo della Repubblica italiana nata dall’antifascismo, invece che dai lutti della guerra civile che avrebbero potuto già da tempo insegnarci l’importanza di essere Popolo e di superare, uniti, le sfide del presente e del futuro.
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