Di Annalisa Triggiano*
Roma. La Corte Costituzionale, con sentenza 120 del 13 giugno scorso, si è pronunciata sull’ annosa questione dell’ammissibilità, per gli appartenenti alle Forze Armate, di aderire ad un sindacato, libertà peraltro già ammessa, come è noto, per le forze di Polizia ad ordinamento civile, alle quali è riconosciuto un diritto di associazione sindacale.

I giudici della Consulta
Tentiamo di ricostruire in modo obiettivo l’andamento dei fatti processuali.
Con ordinanza del 4 maggio 2017 il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione sia agli artt. 11 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e alle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo la contro Francia1; sia all’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.
In particolare, con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio un brigadiere della Guardia di finanza ed un’Associazione avevano impugnato la nota con cui il Comando generale della Guardia di finanza aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere “l’autorizzazione a costituire un’associazione a carattere sindacale fra il personale dipendente del Ministero della difesa e/o del Ministero dell’economia e delle finanze o, in ogni caso, ad aderire ad altre associazioni sindacali già esistenti”, in ragione del divieto sancito dal comma 2 dell’art. 1475 del d.lgs. n. 66 del 2010, a tenore del quale «i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali».
I ricorrenti avevano lamentato la contrarietà di tale disposizione con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 11 e 14 della CEDU.
Il giudice amministrativo di primo grado aveva escluso la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti in relazione al citato art. 1475, comma 2, cod. ordinamento militare, e aveva rigettato il ricorso richiamando come precedente in argomento la sentenza n. 449 del 1999 della Corte costituzionale2.
Il Consiglio di Stato rimettente osservava che la norma denunciata aveva il fine di assicurare la coesione interna, la neutralità e la prontezza delle Forze armate, presupposti strumentali necessari ed imprescindibili per assicurare l’efficacia della relativa azione, preposta a tutela di un valore dell’ordinamento di carattere supremo e per così dire primario, quale è la difesa militare dello Stato. Tuttavia – ad avviso del Consiglio di Stato – tali finalità non possono giungere, a prevedere l’esclusione del diritto di associazione sindacale.
Per quello che riguarda i profili di compatibilità dell’art. 1475 con l’art. 11 della CEDU, la Corte Costituzionale non manca di ricordare – nel considerato in diritto – che l’art. 11, paragrafo 1, delinea la libertà di associazione sindacale come una forma o un aspetto speciale della libertà di associazione e che su tale norma si sono già discussi, innanzi alla Corte di Strasburgo, i casi Metelly e ADefDroMil, in cui veniva in rilievo la costituzione di un’associazione professionale a carattere sindacale fra militari, associazione dichiarata incompatibile dalle autorità francesi con l’allora vigente articolo L.4121-4 del Code de la Défense.
Ma il punto giuridico più stringente e di più attuale interesse di cui è stata investita la Corte riguarda, naturalmente, la conformità a Costituzione dell’art. 1475, comma 1, del Codice di Ordinamento Militare. L’eccezione di costituzionalità è stata accolta in quanto la norma prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» invece di prevedere che “i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali».
A mio avviso, i punti di rilievo della pronuncia sono sostanzialmente due:
1) si riconosce ai militari un diritto a costituire associazioni a carattere sindacale, ferme restando le competenze legislative per quanto riguarda i limiti e le condizioni entro i quali tali associazioni possano esercitare la loro attività;
2) si esclude che i militari aderiscano ad ALTRE associazioni sindacali. Non si può, insomma, aderire a QUALSIASI sindacato. La libertà sindacale non può giungere fino a tanto, anche secondo la Corte, stante la specificità della professione militare. Diritto, dunque, di formazione – entro limiti normativi –, sì, così come diritto di partecipazione (tendenzialmente limitato in maniera più rigida). E’, insomma, il divieto assoluto ad essere censurato dalla Corte, proprio come è accaduto innanzi alla CEDU che ha condannato la Francia.
La Corte Costituzionale – mi sembra importante rimarcarlo – auspica infine esplicitamente un intervento del legislatore, tentando di fissare, medio tempore e in attesa delle mosse del Parlamento, nuovi limiti alla libertà sindacale dei militari: “questa Corte ritiene che, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del d.lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza ‘le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale’”. Tali disposizioni infatti costituiscono, allo stato attuale, ad avviso della Corte, una adeguata garanzia dei valori di democraticità dell’ordinamento delle Forze Armate3.
*Assegnista di Ricerca Università degli Studi di Salerno, ex Ricercatrice CEMISS
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1 La CEDU, con sentenza del 2 ottobre 2014, ha concluso che, mentre l’esercizio da parte del personale militare della libertà di associazione potrebbe essere soggetto a restrizioni legittime, un divieto generale sulla formazione o partecipazione ad un sindacato è una compressione dei diritti dell’uomo e, come tale, vietata dalla Convenzione. La sentenza della Corte sostiene che un divieto assoluto su tale materia non può essere imposto alle forze armate. Tuttavia, si precisa, le restrizioni (anche significative) possono essere legittime, ma non devono giungere a privare il personale militare del diritto generale di associazione in difesa dei loro interessi professionali e non pecuniari: queste restrizioni possono riguardare i metodi di azione e di espressione utilizzati da un’associazione professionale, ma non l’essenza del diritto stesso, che include il diritto di costituire e aderire a tale associazione. A seguito della Condanna CEDU la Francia si è poi adeguata e il Parlamento francese ha discusso un disegno di legge, che ha poi portato alla legge del 28 luglio 2015. In base nuova normativa i militari francesi potevano da quel momento creare e aderire ad associazioni militari professionali, conosciute anche con l’acronimo APNM (Associations Professionnelles Nationales Militaires). La sentenza della CEDU è reperibile, per chi avesse interesse, all’indirizzo internet https://www.grnet.it/images/stories/Allegati/Sentenze-CEDU-sindacato-militari.pdf.
2 Tale ultima pronuncia, a sua volta, trova la sua occasio iuris dall’eccezione di non costituzionalità – sempre sollevata dal Consiglio di Stato – dell’art. 8, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), che vietava agli appartenenti alle Forze armate di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e, comunque, di aderire ad altre associazioni sindacali. Vi sarebbe stata lesione degli artt. 39 e 52, terzo comma, della Costituzione, nonché del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, dal momento che nella Polizia di Stato – la quale svolge anch’essa un servizio essenziale – sono ammessi i sindacati, sebbene in forme circoscritte dal legislatore.
Il dubbio di legittimità costituzionale verteva, quindi sul mancato riconoscimento della libertà sindacale in seno alle Forze armate: questione che il Consiglio di Stato riteneva prioritaria, e preliminare, rispetto a ulteriori specifici profili concernenti la composizione e il funzionamento degli organi di rappresentanza istituiti dalla legge del 1978. Secondo l’ordinanza di rimessione, l’art. 39 della Costituzione si imporrebbe anche per gli appartenenti alle Forze armate, attesa la sua valenza generale. Nel rigettare la questione, la Corte Costituzionale aveva rilevato che il legislatore, laddove ha riconosciuto una circoscritta libertà sindacale, lo ha disposto contestualmente alla smilitarizzazione del Corpo di polizia, il quale ha, oggi, caratteristiche che lo differenziano nettamente dalle Forze armate e dal Corpo della Guardia di Finanza. Mi sembra interessante segnalare che in realtà vi è un precedente ancora più remoto, in argomento, poichè già con la sentenza n. 126 del 1985 si era affermato che la legge n. 382 del 1978, prevedendo che spettano ai militari i diritti dei cittadini e stabilendo che, ex lege, possono essere imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di tali diritti e l’osservanza di particolari doveri al (solo) fine di garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate, «rispecchia l’esigenza, la quale promana dalla Costituzione, che la democraticità dell’ordinamento delle Forze armate sia attuata nella massima misura compatibile col perseguimento da parte di queste dei propri fini istituzionali».
3 Per chi volesse interessarsi agli aspetti giuridici e dottrinali della questione, segnalo che la letteratura specialistica in argomento non è molto recente. Per un primo approccio, rinvio a un contributo del Prof. P. Lambertucci, all’indirizzo internet http://www.osservatoriodiscriminazioni.org/index.php/articoli/. Un commento sintetico alla vicenda specifica può leggersi anche a cura di S. Vespa, La Consulta: sì ai sindacati militari ma i limiti vanno fissati per legge, su http://formiche.net/2018/04/consulta-sindacati-militari-limiti-legge/.