Di Giuseppe Gagliano
DAMASCO,. La decisione della nuova amministrazione siriana di annullare il contratto con la società russa STG Stroytransgaz per la gestione del Porto di Tartus rappresenta un cambiamento significativo negli equilibri geopolitici della regione.
Firmato nel 2019 sotto la presidenza di Bashar al-Assad, l’accordo prevedeva un investimento russo di oltre 500 milioni di dollari per modernizzare le infrastrutture del Porto, con un profitto diviso tra il 65% destinato alla società russa e il 35% al Governo siriano.

L’ex Presidente siriano, Bashar Al Assad.
Tuttavia, il mancato rispetto delle condizioni contrattuali ha spinto le nuove autorità siriane a rescindere l’intesa, evidenziando un progressivo distacco da Mosca.
Questo evento non è isolato, ma si inserisce in un contesto di radicale trasformazione della politica siriana dopo la destituzione di Assad avvenuta lo scorso dicembre.
L’arrivo al potere di un nuovo governo, in parte sostenuto da gruppi ribelli come Hayat Tahrir al-Sham, sta ridefinendo i rapporti di forza sia all’interno del Paese sia nei legami con le potenze straniere.
La Russia, che dal 2015 ha investito pesantemente nel supporto militare e logistico al regime di Assad, si trova ora a dover rinegoziare la propria presenza nel Paese.
L’annullamento del contratto di Tartus si distingue per il suo valore strategico.
Il porto, separato dalla base navale militare russa, rappresentava un asset commerciale fondamentale per Mosca, non solo per garantire un corridoio economico nel Mediterraneo orientale ma anche per consolidare il proprio soft power nella regione.
La sua perdita evidenzia un indebolimento della proiezione di influenza russa in Medio Oriente, in un momento in cui il Cremlino deve affrontare pressioni crescenti sul fronte interno ed esterno.
Le nuove autorità siriane, con il divieto imposto il 21 gennaio sulle importazioni da Russia, Iran e Israele, sembrano voler adottare una politica di maggiore indipendenza dai tradizionali sponsor stranieri. Questa mossa potrebbe indicare una strategia mirata a diversificare i partner economici e politici, in un tentativo di uscire dall’isolamento internazionale e attrarre investimenti occidentali o di altri attori regionali come Turchia e Stati del Golfo.
L’impatto di queste decisioni sul Medio Oriente è potenzialmente di vasta portata.
Da un lato, la Russia rischia di perdere una posizione di primo piano in un’area che considerava strategica per il proprio ruolo globale. Dall’altro, questa riorganizzazione potrebbe aprire la strada a nuove alleanze, con potenze regionali come la Turchia o l’Arabia Saudita pronte a colmare il vuoto lasciato da Mosca.

Il Presidente russo, Vladimir Putin
Il trasferimento di equipaggiamenti russi verso altre basi in Medio Oriente, come in Libia, suggerisce che il Cremlino sta cercando di riorientare la propria presenza verso contesti dove il controllo operativo e politico è più saldo.
Dal punto di vista geopolitico, la Russia si trova ora di fronte a un bivio.
La sua capacità di mantenere influenza in Siria dipenderà dalla volontà e dalla capacità delle nuove autorità siriane di accettare un compromesso che garantisca la permanenza delle basi militari russe, in particolare quella di Khmeimim. Il contatto diretto tra Mosca e il nuovo governo siriano dimostra che il Cremlino è consapevole della posta in gioco.
Tuttavia, il rischio di ulteriori contraccolpi diplomatici e operativi non può essere sottovalutato.
L’annullamento del contratto del Porto di Tartus, sebbene possa sembrare un episodio limitato, è in realtà un simbolo di un più ampio mutamento degli equilibri di potere in Medio Oriente. Per la Siria, rappresenta l’inizio di un percorso verso una maggiore autonomia politica, anche se accompagnato da sfide significative.
Per la Russia, è un campanello d’allarme su come il dinamismo politico della regione possa rapidamente minare anni di investimenti strategici.
In questo contesto, il Medio Oriente si conferma ancora una volta come il palcoscenico di un confronto costante tra vecchie e nuove potenze globali.
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