Di Paola Ducci*
WASHINGTON D.C. Durante la Guerra Fredda, la CIA sviluppò un’arma che sembrava uscita direttamente da un thriller di spionaggio: una pistola in grado di uccidere senza lasciare traccia poiché non sparava proiettili.

Pistole da avvelenamento sovietiche
Incredibile ma vero.
Nel 1975, durante le audizioni della Commissione Church (il Comitato ristretto del Senato per lo studio delle operazioni governative rispetto alle attività di intelligence) sulle attività illegali della CIA, il senatore dell’Idaho Frank Church, che guidava la Commissione, tenne in mano una piccola pistola dall’aspetto strano.
Era silenziosa, non aveva rigature, sembrava quasi un giocattolo.

Un’immagine della pistola della CIA
Ma poteva sparare un minuscolo dardo congelato che conteneva una dose letale di tossina, una sostanza così potente da provocare un arresto cardiaco quasi istantaneo.
L’arma somigliava a una pistola Colt M1911 con mirino ma non sparava proiettili calibro .45 piuttosto un dardo delle dimensioni di una capocchia di spillo che veniva congelato e lanciato con gas compresso.
La sostanza velenosa era la saxitossina, derivata da un tipo particolare di crostacei che si nutrono di alghe tossiche.
Una volta colpito il bersaglio penetrava nella pelle e si scioglieva, senza lasciare alcuna ferita visibile, nessun punto d’ingresso e nessuna prova balistica.
La vittima sembrava aver subito un attacco cardiaco improvviso e la tossina si sarebbe dissolta rapidamente nel corpo quindi quasi impossibile da rilevare in un’autopsia, soprattutto negli anni Settanta.
L’esistenza di quest’arma è stata confermata sotto giuramento durante le audizioni del Comitato Church, quando gli Stati Uniti stavano appena iniziando a confrontarsi con le attività più oscure delle proprie agenzie di intelligence.
L’arma era una delle tante recuperate dai laboratori della CIA durante le indagini su MK-Ultra, programmi di assassinio e altre operazioni segrete.
La cosa più inquietante è che nessuno sa con certezza se sia mai stata usata.
Ci sono delle teorie: alcuni ritengono che sia stato utilizzato per gli omicidi politici all’estero negli anni ’60 e ’70, altri suggeriscono che possa aver fatto parte di un programma di assassinii, altri ancora che possa aver fatto parte di programmi di sorveglianza e controllo domestico, anche se non sono mai emerse prove che lo dimostrino.
Tuttavia la sola esistenza dell’arma l’ha resa un simbolo di quanto l’intelligence statunitense fosse disposta a spingersi in nome della sicurezza nazionale.
Le conclusioni del Comitato Church portarono infine il Presidente Gerald Ford a firmare un ordine esecutivo che vietava ai dipendenti del Governo degli Stati Uniti di “impegnarsi o cospirare per un assassinio politico”. Alla fine la CIA avrebbe dovuto solo capire come eliminare i suoi avversari stranieri senza contribuire direttamente alla loro soppressione.
A tutt’oggi la cosiddetta “pistola per infarti” rimane uno degli artefatti più agghiaccianti della Guerra Fredda.
È conservata nel Museo della CIA (che non è aperto al pubblico) e viene occasionalmente citata in documentari, teorie cospirative e fiction spionistiche.
Che sia mai stata usata o che sia solo un prototipo destinato a intimidire, l’idea che un’agenzia governativa abbia costruito un’arma per uccidere senza lasciare traccia rende chiara una cosa: nella Guerra Fredda, la paranoia non era solo un sintomo, ma anche una strategia.
La pistola per infarto non era un’invenzione unicamente americana: il KGB, l’intelligence dell’Unione Sovietica e la forza di sicurezza interna, aveva un’arma simile. Bohdan Stashinsky, uno dei sicari del KGB, era noto per aver ucciso due attivisti antisovietici ucraini, Lev Rebet e Stepan Bandera, negli anni ’50 con una pistola che spruzzava cianuro in faccia procurando la morte in pochi minuti. Le cause della morte sembravano entrambe attacchi di cuore.
La CIA scoprì le vere cause dei decessi solo quando Stashinsky alla fine disertò in Occidente nel 1961.
*Editor per l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa
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