Ucraina: Zelensky, droni e disperazione. Le strategie aeree e i calcoli politici di Kiev

Di Giuseppe Gagliano 

KIEV. La guerra in Ucraina, come ogni conflitto prolungato, mostra ormai il suo volto più crudo: quello della disperazione.

Un ospedale ucraino completamente devastato combattimenti

I droni ucraini, protagonisti indiscussi dell’ultimo attacco massiccio sulla Russia, raccontano di un Esercito che, stretto tra l’incudine della lentezza europea e il martello dell’imminente Donald Trump, gioca la sua partita più per la sopravvivenza politica che per la vittoria sul campo.

Droni ucraini

Un conflitto che ha superato le trincee, portando la tecnologia al centro di una guerra che, a conti fatti, non accenna a trovare una conclusione.

Uno sciame di droni, un’ondata di tensione

L’attacco ucraino di ieri, con decine di droni abbattuti e alcuni arrivati a destinazione, è forse il più imponente di questa guerra. Zelensky vanta la capacità industriale di produrre un milione di droni l’anno, ma, a conti fatti, gli impatti restano circoscritti.

Raffinerie in fiamme a Ryazan, sì, ma il petrolio russo non sembra rallentare la sua corsa sui mercati globali.

E intanto la Russia risponde colpendo Kiev e Kherson, in un loop infinito che ricorda più un ping-pong mediatico che una reale svolta strategica.

Ma qual è il vero scopo di questi attacchi? Semplice: guadagnare tempo.

Tempo per un Governo che ha visto la sua narrativa di resistenza sgretolarsi sotto il peso delle conquiste russe e delle promesse disattese dell’Occidente.

Russi nel Donbass

 

Nel Donbass, i russi avanzano lenti ma inesorabili, controllando ormai oltre il 20% del territorio ucraino. E il nome di Pokrovsk, ormai prossimo a cadere, pesa come un macigno sul morale delle forze ucraine.

La politica oltre la strategia

Zelensky, nel suo isolamento politico, sembra affidarsi sempre più a Washington e sempre meno a un’Europa che barcolla tra retorica bellica e realismo energetico.

Il Segretario Generale della NATO, Mark Rutte

 

Mentre Mark Rutte, Segretario Generale della NATO, pontifica su una “pace da posizione di forza” che appare irraggiungibile, e Andrius Kubilius, commissario UE alla Difesa, invoca il logoramento della Russia, l’Ucraina si ritrova con 6 milioni di rifugiati, un’economia in ginocchio e adolescenti mandati al fronte.

Andrius Kubilius, commissario UE alla Difesa,

E poi c’è Trump, l’ospite indesiderato alla Casa Bianca.

Zelensky sa che l’ex Presidente americano, di ritorno sulla scena, vuole chiudere la partita.

Ma come? Con un accordo che, con ogni probabilità, sacrifica ulteriormente Kiev sull’altare del pragmatismo geopolitico. È in questo contesto che Zelensky alza il tiro, ridimensionando le richieste: non più un ritorno ai confini del 1991, ma a quelli del 2022.

Un compromesso che, tradotto, significa cedere il Donbass e forse anche la Crimea, pur di uscire dal pantano.

Un futuro da fortezza

Il destino dell’Ucraina è ormai segnato. Che la guerra finisca domani o fra anni, Kiev sarà un Paese-fortezza, modellato sullo schema israeliano: un bastione americano ai confini della Russia, un avamposto strategico dell’Occidente in Europa orientale.

Il Presidente ucraino Zelensky

 

La NATO? Un dettaglio. Zelensky lo sa e gioca la carta della divisione europea, chiudendo i rubinetti del gas russo verso l’Europa occidentale e facendo infuriare Ungheria e Repubblica Ceca.

Una strategia rischiosa, ma necessaria per restare rilevanti in un conflitto che, nel frattempo, ha perso il supporto emotivo dei cittadini europei.

La resistenza di Zelensky: miracolo o agonia?

A voler essere onesti, il popolo ucraino ha già compiuto un miracolo. Ha resistito oltre ogni previsione, nonostante perdite immense e una devastazione senza precedenti.

Ma la realtà è un’altra: il conto di questa guerra sta diventando insostenibile. E mentre Zelensky si affida disperatamente agli Usa, l’Europa, lenta e titubante, rischia di perdere la sua credibilità.

Cosa resta allora? Un leader assediato, un popolo stremato e una guerra che continua a fare vittime.

Zelensky, tra droni e diplomazia, si muove su un crinale sempre più stretto.

E la domanda, a questo punto, non è se vincerà, ma per quanto tempo riuscirà a resistere prima che le sue richieste, già oggi sempre più modeste, si riducano al semplice salvare ciò che resta dell’Ucraina.

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