UNIFIL. Maggiore Romina Farina (Comando Multinazionale di Naqoura): “La Risoluzione 1325 del 2000 descrive il paradigma delle 3 P. Un sistema di obiettivi a garanzia di prevenzione, partecipazione e protezione delle donne”

NAQOURA (LIBANO DEL SUD) – dal nostro inviato. Le canzoni dei militari del contingente italiani, i balli di quelli della Tanzania, il suono delle cornamuse, l’esibizione di taekwondo di quelli sud coreani e di tantissimi altri Paesi che fanno parte della missione UNIFIL, qui nel Libano del Sud, hanno segnato, nei giorni scorsi, la Giornata internazionale della Donna.

Soldatesse sud coreane

Report Difesa ha intervistato il Maggiore Romina Farina. L’Ufficiale è uno dei 18 Staff Officers italiani che
lavorano presso il Comando Multinazionale di UNIFIL, a Naqoura, nella Branch J1 come  Force Management Officer.

Maggiore Romina Farina, uno dei 18 Staff Officers italiani che lavorano presso il Comando Multinazionale di UNIFIL

Maggiore, come vedono, le Nazioni Unite, la partecipazione femminile?

Le Nazioni Unite, a partire dalla Risoluzione 1325 del 2000 che descrive il paradigma delle 3 “P”, ovvero un sistema di obiettivi a garanzia della prevenzione, partecipazione e protezione delle donne, hanno intrapreso una serie di campagne mirate all’aumento dell’inclusione femminile in tutte le missioni, non solo per la parte di aiuto e assistenza garantite alle popolazioni locali ma anche in termini di partecipazione attiva nel ruole di peacekeeper.

Con la risoluzione 2242 del 2015 l’ONU hanno incoraggiato tutti i Paesi contributori ad aumentare la presenza femminile.

L’obiettivo è quello di  arrivare al 25% degli Staff Officers (il personale impiegato nei Comandi Missione) e al 15% delle unità presenti nei contingenti.

È dimostrato che tale impegno diretto sul campo riesce per se a ridurre i conflitti. Questo grazie alla diffusissima esitazione a voler innescare ogni escalation di violenza in presenza di donne.

Parliamo un po’ di cifre: qual è la situazione delle donne in UNIFIL. Come è percepita?

UNIFIL, coerentemente con la direzione intrapresa dalle Nazioni Unite, e per il tramite del Dipartimento delle Operazioni per il mantenimento della Pace (DPKO), pone molta attenzione alla partecipazione delle donne nella missione, accogliendo con favore alte percentuali femminili e ricambiando con visibilità e considerazione.

La missione è costituita da 48 Paesi contributori, 26 dei quali schierano una componente femminile.

La percentuale femminile è cresciuta nell’ultimo biennio, passando da poco più del 6% del 31 gennaio 2021 a quasi l’8% del 6 marzo di quest’anno,

Su poco più di 10 mla unità, le donne sono circa 800.

L’Italia contribuisce con 64 donne, il 6% della presenza italiana in Teatro. Mentre è il Ghana ad avere la componente maggiore con 168 donne (il 19% del loro contingente).

UNIFIL ha visto, quindi, negli anni, aumentare progressivamente la presenza femminile.

Ad oggi, nessuno mette in discussione l’apporto positivo dato dalle donne e, benchè percentualmente lontana dal 15%, la loro partecipazione alla missione è ormai normale ed indissolubile parte dell’ambiente lavorativo, in cui si affrontano giornate concitate e attività serrate con la massima collaborazione.

Come viene affrontata la prospettiva di genere per la partecipazione italiana in UNIFIL?

Seguendo i principi delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su “Donne, pace e sicurezza”, la Difesa italiana continua a favorire la candidatura di personale femminile.

Infatti, in ogni contesto in cui le donne sono particolarmente esposte a violazioni dei diritti umani ma anche qui in Libano, per la peculiarità della cultura e della tradizione dei luoghi, la presenza femminile rappresenta uno strumento importante, a volte determinante, per lo sviluppo della missione.

L’Italia, quindi, è sempre attenta a garantire una certa percentuale di donne tra gli staff officers e nei contingenti.

Molto d’aiuto per l’inclusione della prospettiva di genere è stata l’istituzione e l’alimentazione anche in Libano della figura del Gender Advisor, una professionalità che aiuta i Comandanti a tenere conto delle Risoluzioni delle Nazioni Unite sul tema, allo scopo di renderle operative, e che viene formata con degli specifici corsi che si tengono in Patria ma anche in Teatro Operativo.

Una donna soldato in ralla su un Lince lungo la Blue Line

La partecipazione femminile quali benefici garantisce allo sviluppo della missione? 

La presenza delle donne nelle Forze Armate garantisce la continuazione di quel cambiamento culturale che la società chiedeva, cominciato più di 20 anni fa, nel 2000, e necessario per la piena integrazione femminile in ogni ambito professionale.

Le Forze Armate italiane, e il nostro Paese in generale, non possono permettersi di trascurare questo aspetto anche se ci sono ancora molte sfide da vincere, dal contesto sociale ai meccanismi di welfare.

La partecipazione di donne alle attività operative ha un forte impatto positivo per tutta una serie di situazioni che negli anni, e con l’esperienza nei Teatri Operativi, si sono sperimentate.

Un soldato di sesso femminile in una pattuglia o ad un posto di blocco, sono esempi in cui è direttamente e praticamente individuato il valore aggiunto ad esempio per una perquisizione o semplicemente per far sentire rassicurata la gente.

Non è solo per fornire un modello, in area di operazioni può rappresentare la via migliore per stringere legami con i destinatari di collaborazioni ed aiuti.

Le attività delle squadre di collegamento con le autorità locali e con altri attori del posto sono agevolate dalla composizione mista, che implicitamente suggerisce di voler ascoltare tutti i bisogni e le criticità, direttamente da chi le sperimenta siano essi uomini o donne.

L’obiettivo comune è la crescita sociale (ed anche economica) che la piena partecipazione delle donne può garantire alla società. Una peacekeeper, accessibile ad essere avvicinata dalla popolazione, è veicolo dei valori di inclusione, ed incoraggia a rivalutare il ruolo della donna come attivo e partecipe. In contesti delicati, inoltre, tale presenza femminile aiuta altra donne a sentirsi sicure nel denunciare eventuali abusi.

Ci può raccontare la sua esperienza, come Ufficiale donna, in un contesto ad alta percentuale maschile?

L’ingresso delle donne, a partire dal mio arruolamento nel 2000, è stato il fattore di novità che ha migliorato l’intera linea di comando che ha affrontato, dalle attività quotidiane più elementari fino a quelle più peculiari del militare, i necessari cambiamenti lavorativi derivanti dalla presenza femminile.

L’aver frequentato il primo corso di Accademia Militare di Modena, aperto alle donne, mi ha permesso di capire i meccanismi di un contesto di lavoro ad alta percentuale maschile, in cui le donne sono adesso integrate e che svolgono gli stessi incarichi degli uomini, avendo rappresentato il momento di rottura con il passato.

L’impatto iniziale, qui in Libano nell’ambito dell’UNIFIL Head Quarter, è stato agevolato dall’elevata presenza femminile dovuta anche alla coesistenza, nell’ambito della stessa missione, della componente civile sia locale che internazionale.

Questa è la mia prima esperienza in teatro operativo ma ho saputo adattarmi velocemente al differente metodo di lavoro.

Anche all’estero l’ambiente lavorativo vive di relazioni e saperle coltivare è fondamentale per svolgere il proprio incarico.

Il contesto multinazionale del Comando Missione UNIFIL, inoltre, mi ha consentito di entrare in contatto con una varietà di culture non europee con cui interagire ed è fondamentale sapersi relazionare con sensibilità.

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