Di Antonella Roberta La Fortezza
OUAGADOUGOU (BURKINA FASO) – nostro servizio particolare. Nelle scorse settimane, il ministro burkinabè delle Miniere, Simon-Pierre Boussim, ha firmato l’Arrêté N°2023-042 con il quale si è prevista la requisizione di 200 chilogrammi d’oro prodotti nella miniera di Mana, la terza più grande del Paese, situata nella parte centro-occidentale del Burkina Faso.
La miniera di Mana, operativa dal 2008, risulta attualmente assegnata alla società di estrazione dell’oro canadese SEMAFO, la quale dal luglio 2020 è ufficialmente una controllata del Gruppo britannico Endeavour Mining.
Il provvedimento emesso dal ministro Boussim sarebbe in linea con la legislazione nazionale burkinabé: ai sensi dell’art. 16 del Codice minerario del Burkina Faso (Legge n.036-2015/CNT del 26 giugno 2015), infatti, gli impianti minerari o di cava e le sostanze estratte possono essere requisiti o espropriati dallo Stato esclusivamente per motivi di pubblica necessità e con equo e preventivo indennizzo fissato di comune accordo tra le parti o da un tribunale arbitrale o di diritto comune.
Come si legge nello stesso decreto n. 42 del 14 febbraio, la requisizione è stata infatti perseguita per motivi di pubblica necessità, confermando quindi gli obblighi previsti dall’art. 16 della Legge n. 036; inoltre l’art. 3 del decreto del 14 febbraio prevede esplicitamente che la compagnia mineraria espropriata riceva un compenso corrispondente al valore dell’oro requisito.
Su questo secondo punto, cioè sull’obbligo di legge di garantire un equo e preventivo indennizzo, tuttavia, non sono stati forniti ulteriori dettagli nel decreto n. 42 e al contrario, dal testo, sembrerebbe che quantomeno il criterio dell’indennizzo preventivo potrebbe non essere stato rispettato dalle autorità burkinabé.
Con un comunicato stampa il portavoce del Governo di Ouagadougou, Jean-Emmanuel Ouedraogo, ha, da un lato, voluto rassicurare gli investitori stranieri in Burkina Faso, precisando che la decisione di requisizione è stata dettata da un contesto eccezionale di pubblica necessità, e dall’altro ha precisato che i 200 chilogrammi d’oro sarebbero stati acquistati a prezzo di mercato (pari cioè a circa 11 milioni di euro) e l’operazione commerciale tra lo Stato del Burkina Faso e la SEMAFO sarebbe stata oggetto di un contratto in buona e debita forma..
Secondo alcune fonti, tuttavia, la società espropriata non sarebbe stata ancora pagata per la requisizione subita e soprattutto non avrebbe ottenuto alcun dettaglio sulle condizioni del pagamento.
Tale circostanza, a prescindere dalle dichiarazioni ufficiali delle autorità burkinabé, non rassicura gli investitori e anzi farebbe ipotizzare una nuova modalità di azione da parte del governo per monopolizzare l’oro prodotto a discapito degli interessi di business di società private.
A queste preoccupazioni si aggiungono quelle derivanti dalla notizia secondo la quale, il 16 febbraio, due giorni dopo l’adozione del decreto n.042, alti funzionari del Ministero delle Miniere avrebbero convocato rappresentanti delle società minerarie operative nel Paese per comunicare la possibilità che il governo richieda a tali società di pagare allo Stato l’1% del proprio fatturato.
Al momento, fermo restando la doverosa formula “per motivi di pubblica necessità” riportata nel decreto n. 42, non sono stati forniti dalle autorità burkinabé ulteriori dettagli sulle ragioni della requisizione e soprattutto sull’uso che verrà fatto di questo oro.
La tesi più accredita è che questo oro, una volta venduto sui mercati internazionali consentirà allo Stato burkinabè di ottenere valuta estera immediatamente spendibile: con 70 tonnellate l’anno, l’oro è infatti il principale prodotto di esportazione del Burkina Faso, avendo superano ormai da anni anche il cotone.
Occorre, infatti, sottolineare che complessivamente le riserve valutarie nei Paesi dell’Union Economique et Monétaire Ouest Africaine (UEMOA), tra cui dunque il Burkina Faso, sono diminuite del 19% nel 2022 a causa dell’aumento dei costi delle importazioni derivante dall’inflazione registrata a livello globale nel mercato dei prodotti alimentari e in quello degli idrocarburi.
La valuta estera ottenuta dalla vendita dell’oro sul mercato internazionale ed eventualmente dalla tassazione dei fatturati societari, potrebbe verosimilmente essere impiegata per finanziare soprattutto l’equipaggiamento in armi e gli stipendi dei circa 60 mila Volontaires pour la Défense de la Patrie (VDP), una milizia di volontari formata a dicembre 2019 per affiancare l’Esercito burkinabé nella lotta contro i gruppi jihadisti nel Paese, ma potenzialmente potrebbe andare a finanziare anche la presenza e il supporto dei mercenari del russo Wagner Group nonché la fornitura di armi da parte di Mosca.
Ancora con riferimento all’ordine di espropriazione, si segnala che il quotidiano “Economiste du Faso” nel pubblicare la notizia relativa al provvedimento del 14 febbraio scorso n. 42 ha anche aggiunto che, contestualmente, sarebbe stato adottato un altro decreto, l’Arrêté N°2023-041, con il quale si sarebbe prevista una seconda requisizione, questa volta di 300 chilogrammi di oro, a danno della Bissa Gold, una società mineraria gestita dal gruppo russo Nordgold (il gruppo risulta attualmente sottoposto a sanzioni USA e anche il suo principale azionista, Alexsei Mordashov, è sottoposto a sanzioni individuali statunitensi).
Non è stato finora possibile, tuttavia, avere ufficiale conferma di questo provvedimento diretto contro la società russa Bissa Gold: il solo decreto che risulta, infatti, verificabile e disponibile è il n. 42, cioè quello che riguarda la Società SEMAFO.
D’altro canto, neanche le autorità di Ouagadougou hanno al momento confermato tale secondo provvedimento.
Sebbene controintuitiva, una eventuale requisizione anche ai danni della Nordgold si potrebbe spiegare con uno scambio tra la società russa e il Governo burkinabé relativo al pagamento dei diritti di sfruttamento della miniera.
Secondo alcune informazioni diffuse già a gennaio scorso, infatti, il Gruppo russo Nordgold, sotto pressione nel Paese in ragione degli alti costi necessari per assicurare il funzionamento e la protezione delle miniere di cui detiene l’utilizzo (ad aprile 2022, ad esempio, la Nordgold ha annunciato la chiusura della miniera di Taparko proprio per motivi di sicurezza), avrebbe cercato di raggiungere con le autorità del Burkina Faso un accordo per poter pagare parte delle sue royalties proprio in consegne in oro.
Non è possibile escludere, inoltre, che l’eventuale requisizione ai danni della Bissa Gold, qualora confermata, possa essere anche un provvedimento esclusivamente di facciata tramite il quale nascondere una deliberata strategia di colpire le società occidentali.
Ed infatti, questo primo esproprio ai danni di una società occidentale, potrebbe far presagire ulteriori provvedimenti di questo tipo e dunque delineare un contesto di business maggiormente difficoltoso per le società che operano nel settore estrattivo dell’oro nel Paese.
In questo modo il Governo di Ouagadougou potrebbe anche spingere le società occidentali già presenti verso un’uscita dal mercato per favorire eventualmente nuove società russe.
Tali considerazioni devono leggersi anche in combinato disposto con alcune indiscrezioni riguardanti il vicino Mali.
Secondo alcune fonti, esperti tecnici della Wagner avrebbero evidenziato, a settembre 2022, presso il Governo di Bamako, in difficoltà nel pagare i Servizi russi anche in ragione delle sanzioni della Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest (CEDEAO), l’interesse per tre giacimenti d’oro nel Sud del Paese attualmente già sfruttati da due società canadesi e da una società australiana.
Rappresentanti russi potrebbero aver chiesto, dunque, alle autorità del Mali di rivedere i permessi operativi di tre miniere d’oro a favore della Wagner: si tratta nel dettaglio della miniera di Fekola, attualmente gestita dal minatore canadese B2Gold, quella di Loulo-Gounkoto, la cui licenza è detenuta dal un altro minatore canadese, Barrick Gold, e della miniera di Syama, assegnata all’australiana Resolute Mining.
La questione si inserisce nel più complesso rapporto tra la giunta militare al potere in Burkina Faso e gli uomini della Wagner.
Sebbene le autorità burkinabé abbiano negato di aver concluso accordi con i russi dando loro diritti minerari come contropartita per servizi di altro tipo, ci sono già evidenze della presenza di uomini della compagnia russa nel Paese guidato da Ibrahim Traoré.
Proprio la giunta maliana avrebbe facilitato alla fine del 2022 due incontri tra funzionari burkinabé e russi, tra cui una visita segreta del primo ministro burkinabé, Apollinaire Joachim Kiel de Tambela, a Mosca.
Sarebbero stati questi i prodromi dell’iniziale penetrazione di elementi riconducibili alla Wagner in Burkina Faso: così come mostrato recentemente da alcuni video comparsi sui social membri del stesso personale sarebbero, infatti, arrivati in Burkina Faso alla fine di dicembre proprio nel tentativo di finalizzare un dispiegamento più ampio con la giunta burkinabè.
Inoltre, l’8 dicembre 2022, il Governo del Burkina Faso ha deciso di concedere il permesso operativo per una nuova miniera d’oro, il sito di Yimiougou (Centro-Nord), proprio alla società russa Nordgold.
La strategia che la compagnia di Yevgeny Prigozhin starebbe tentando di portare avanti in Burkina Faso, il quarto produttore di oro nel continente, non sarebbe molto dissimile da quanto fatto già in Paesi come la Repubblica Centroafricana (RCA), il Mali e il Sudan.
In RCA e in Sudan il Gruppo Wagner si è già inserito prepotentemente nel redditizio mercato dell’estrazione dell’oro e dei diamanti.
In Mali, sebbene sembrerebbero esserci state delle mosse in tal senso da parte del Gruppo Wagner, non si sarebbe ancora registrato alcun contratto formale tra Bamako e la Wagner (o società russe a essa riconducibili) per lo sfruttamento delle miniere d’oro.
Oro e diamanti sono beni “rifugio” per gli Stati isolati internazionalmente e sottoposti a regimi sanzionatori poiché possono essere venduti e scambiati evitando il settore bancario regolamentato.
Tramite la vendita delle materie prime acquisite in suolo africano, pertanto, Mosca riesce a bypassare anche le sanzioni internazionali cui è attualmente sottoposta.
In un simile contesto non può essere del tutto esclusa l’ipotesi che la decisione già presa di requisire oro alla società SEMAFO possa essere stata concordata con gli stessi rappresentanti russi, né che a questa decisione non possano farne seguito altre della medesima portata a danno di ulteriori società occidentali.
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