Di Giuseppe Gagliano
SANA’A (YEMEN). Le forze filogovernative yemenite stanno mettendo a punto un’operazione che potrebbe rappresentare un punto di svolta nel conflitto che lacera il Paese da anni.
Secondo quanto riferito da funzionari alla CNN, l’obiettivo è ambizioso: strappare Hodeidah, il Porto strategico sul Mar Rosso, dalle mani dei ribelli Houthi.

Non si tratta di un’azione isolata, ma di una mossa orchestrata con il supporto aereo e navale di due pesi massimi della coalizione: Arabia Saudita e Stati Uniti.
Dietro questa offensiva si intravede una partita più grande, che intreccia interessi regionali, controllo delle rotte marittime e un messaggio chiaro a Tehran, sponsor dei ribelli.
Hodeidah non è una preda qualunque.
È il cuore pulsante dell’accesso marittimo per il Nord dello Yemen, una porta attraverso cui transitano merci, aiuti umanitari e, non di rado, armi.
Per le forze filogovernative, riprendersela significherebbe infliggere un colpo durissimo agli Houthi, interrompendo le loro linee di rifornimento e dimostrando che la coalizione saudita-americana è ancora in grado di dettare legge sul terreno.
Ma il piano è tutt’altro che privo di rischi.
La città è un campo minato, militarmente e politicamente: i ribelli l’hanno fortificata negli anni, e un assalto su larga scala potrebbe trasformarsi in un bagno di sangue, con conseguenze devastanti per i civili già stremati da un decennio di guerra.
Dal punto di vista tattico, l’operazione sembra puntare su una combinazione di potenza di fuoco e rapidità.

Il supporto aereo saudita e statunitense – con droni, jet e probabilmente missili lanciati da unità navali al largo – dovrebbe ammorbidire le difese Houthi, colpendo depositi di armi, postazioni di comando e batterie missilistiche.
Le forze di terra, avanzando da Sud e da Est lungo la costa, cercherebbero poi di stringere la tenaglia, sfruttando la superiorità tecnologica e logistica della coalizione.
Non è un mistero che gli Houthi abbiano dimostrato una resilienza fuori dal comune, assorbendo anni di bombardamenti sauditi e mantenendo il controllo di ampie porzioni di territorio.
La loro forza sta nella guerra asimmetrica: tunnel, trappole esplosive e una rete di milizie radicate tra la popolazione locale.
Il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti aggiunge un ulteriore strato di complessità.
Washington, che negli ultimi mesi ha intensificato i raid contro i ribelli – l’ultimo dei quali, solo ieri, ha colpito un edificio a Hodeidah secondo il Ministero della Salute Houthi – sembra voler alzare la posta.
L’arrivo di una seconda portaerei americana nel Medio Oriente e l’escalation di attacchi mirati suggeriscono che l’amministrazione Trump stia cercando di mandare un segnale non solo agli Houthi, ma anche all’Iran e ai suoi alleati nella regione. Eppure, come ha riportato il New York Times pochi giorni fa, i successi militari contro i ribelli sono stati finora limitati: i loro arsenali sotterranei restano in gran parte intatti, e la loro capacità di lanciare missili balistici – come quello caduto in Arabia Saudita giovedì scorso – è ancora viva.
Sul piano strategico, il vero banco di prova sarà la tenuta della coalizione.
I sauditi, dopo anni di guerra costosa e inconcludente, hanno cercato una via d’uscita negoziale con gli Houthi, culminata in un cessate il fuoco fragile nel 2022.
Un’offensiva a Hodeidah rischia di far saltare quel tavolo, riaccendendo un conflitto su larga scala.
Per gli Stati Uniti, invece, il calcolo è più ampio: indebolire l’Asse della Resistenza iraniano, di cui gli Houthi sono un tassello, senza impantanarsi in un altro pantano mediorientale. Riuscire a coordinare un’operazione del genere senza scatenare una reazione a catena – dai missili Houthi sulle navi nel Mar Rosso agli attacchi iraniani indiretti – sarà una sfida titanica.
In sintesi, l’offensiva su Hodeidah è una scommessa ad alto rischio.
Se riesce, potrebbe ridisegnare gli equilibri nello Yemen e rafforzare la posizione della coalizione.
Ma se fallisce, o si prolunga in una guerra urbana estenuante, il costo umano e politico potrebbe essere insostenibile.
Gli Houthi, dal canto loro, non sono nuovi a trasformare le sconfitte tattiche in vittorie propagandistiche.
La storia del conflitto yemenita insegna che il controllo del terreno è una cosa, ma spezzare la volontà di combattere di un nemico così tenace è tutta un’altra storia.
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