Egitto-Israele, Al-Sisi chiarisce: “Non blocchiamo Gaza e non entreremo in guerra”. Camp David e dialogo con Trump

Di Chiara Cavalieri*

IL CAIRO. Per la prima volta, in un’intervista definita da lui stesso “franca e calma”, il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha affrontato direttamente le accuse che circolano sul ruolo de Il Cairo nella crisi di Gaza, respingendo le narrazioni secondo cui l’Egitto parteciperebbe al blocco o sarebbe pronto a entrare in guerra contro Israele.

Il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi durante la visita all’Accademia militare

Durante una visita all’Accademia militare, al-Sisi ha spiegato che la Striscia di Gaza, 365 km² di territorio, confina con l’Egitto per soli 14 km.

Ha ribadito che il valico di Rafah è destinato al passaggio di persone e che la presenza delle forze israeliane nel Corridoio di Filadelfia blocca di fatto la possibilità di transito, in violazione del trattato bilaterale.

“Se vogliamo portare aiuti a Gaza dal territorio egiziano, dobbiamo farli transitare dall’altra parte, ma lì ci sono le forze israeliane”, ha dichiarato, ricordando che l’Egitto ha ripristinato il valico quattro volte dopo le distruzioni causate da Israele, ma che l’ingresso degli aiuti non può avvenire con la forza.

Rispondendo alle richieste di un assalto al valico, il presidente ha chiarito che ciò implicherebbe un’azione militare: “L’Egitto è forse obbligato a entrare in guerra a seguito degli sviluppi a Gaza? Io sono responsabile degli egiziani, della loro sicurezza e della loro incolumità. Non prenderò decisioni che possano danneggiare lo Stato, a meno che non ci vengano imposte”.

Al-Sisi ha sottolineato che l’Egitto non attacca nessuno ma si difende, e che il valico di Rafah resta soggetto a regole precise.

Un miliziano di Hamas entra in un Kibbutz il 7 ottobre 2023

Prima dell’attacco del 7 ottobre 2023, infatti, l’accordo del 2005 prevedeva una gestione congiunta tra Autorità Palestinese, UE ed Egitto; successivamente, con il controllo di Hamas, si è instaurata una nuova prassi, oggi sostituita dalla presenza israeliana.

Ha quindi accusato chi diffonde l’idea di un Egitto corresponsabile dell’assedio di Gaza di voler trasmettere “un messaggio falso” e ha invitato gli egiziani a prestare attenzione a queste manipolazioni.

“Siamo solidali e addolorati per ciò che accade a Gaza – ha concluso – ma non ci lasceremo trascinare in una guerra che non serve né agli egiziani né ai palestinesi”.

Israele e la narrativa del “collasso economico

Un recente rapporto diffuso dal sito israeliano Newsev Net (N12) ha generato polemiche sostenendo che “qualsiasi avventura militare egiziana contro Israele porterebbe al collasso dell’economia egiziana”.

Una tesi che, secondo diversi analisti egiziani, rientra in una precisa strategia di guerra psicologica mirata a destabilizzare il fronte interno de Il Cairo in un momento di forte tensione regionale.

L’economista Ahmed Saeed ha spiegato che i dati diffusi dal media israeliano non rappresentano l’intera realtà.

Pur riconoscendo l’alto volume delle importazioni egiziane (95 miliardi di dollari contro esportazioni pari a 43 miliardi), Saeed ha sottolineato la presenza di molteplici fonti di valuta estera: turismo (atteso a 20 miliardi di dollari nel 2024), rimesse degli egiziani all’estero, entrate del Canale di Suez e investimenti diretti esteri.

A conferma della solidità del sistema, Saeed ha citato l’aumento delle riserve valutarie della Banca Centrale a 49 miliardi di dollari e il rafforzamento della sterlina egiziana, fattori che smentiscono la tesi di un imminente collasso.

La stessa linea è stata ribadita dall’economista Fatima Ali, che ha definito l’operazione mediatica israeliana parte delle “guerre atipiche” attraverso cui Israele cerca di colpire la coesione interna degli Stati ostili.

Ali’ ha ricordato che nel 2024 le esportazioni egiziane hanno raggiunto 45,3 miliardi di dollari, con un aumento del 77% per l’oro, e che lo Stato continua ad attrarre investimenti industriali e a sviluppare il settore delle energie rinnovabili.

“L’Egitto – ha sottolineato – non è un Paese qualunque, ma un attore fondamentale nell’equilibrio mediorientale, capace di gestire le proprie risorse con consapevolezza strategica”.

Gaza e il messaggio a Trump: Camp David come linea guida

Parallelamente al fronte economico, l’Egitto ha voluto riaffermare con forza il proprio impegno politico per la stabilità regionale.

Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, il primo ministro Mostafa Madbouly ha trasmesso un messaggio chiaro a Donald Trump: l’Egitto resta fedele agli accordi di Camp David come “opzione strategica e modello da emulare”.

Menachem Begin, Jimmy Carter e Anwar al-Sadat, protagonsiti degli Accordi di Camp David

Il vertice ha visto Trump ribadire l’intenzione degli Stati Uniti di fermare la guerra a Gaza, in corso da quasi un anno e già costata la vita a oltre 65 mila persone, soprattutto civili.

Washington ha proposto una roadmap per un cessate il fuoco immediato e per la ricostruzione della Striscia senza sfollare la popolazione.

Il Presidente Abdel Fattah al-Sisi ha accolto con favore l’iniziativa, ribadendo che “la pace è una scelta strategica dell’Egitto” e che il Cairo non accetterà in alcun caso lo sfollamento dei palestinesi, considerato una “linea rossa invalicabile”.

La posizione egiziana: rifiuto dello sfollamento e soluzione a due Stati

Il discorso egiziano a New York ha riaffermato i principi storici della diplomazia del Cairo: sostegno alla creazione di uno Stato palestinese sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale, e netto rifiuto di ogni tentativo di annessione territoriale da parte di Israele.

Secondo Madbouly, il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di numerose potenze mondiali durante la Conferenza sulla Soluzione dei Due Stati rappresenta un evento storico che rafforza la legittimità della causa palestinese e isola Israele nella sua strategia di fatto compiuto.

Pressione economica e leadership diplomatica

La coincidenza tra il rapporto israeliano e il messaggio egiziano a Trump non appare casuale.

Da un lato Israele tenta di screditare l’economia egiziana, dall’altro l’Egitto rafforza la propria centralità politica, presentandosi come interlocutore indispensabile nella ricerca della pace.

La leadership egiziana punta così a smontare la narrativa israeliana, mostrando che la propria resilienza economica è parte integrante della sicurezza nazionale e che la diplomazia di pace, ancorata a Camp David, resta l’unico orizzonte sostenibile per il Medio Oriente.

In questo intreccio di guerra dell’informazione e diplomazia internazionale, l’Egitto riafferma il suo ruolo: non solo difensore dei propri interessi economici, ma anche garante della stabilità regionale e voce ferma contro lo sfollamento dei palestinesi.

*L’autrice è presidente dell’Associazione Eridanus
Vicepresidente UCOI e UCOIM

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