di Enrico Maria Ferrari
Chernobyl (dal nostro inviato). Tra il 26 e il 27 aprile 1986 nella centrale nucleare era programmato un test su alcune apparecchiature: vennero appositamente disabilitati alcuni sistemi di sicurezza per il test, il quale cominciò ben presto a sfuggire di mano ed essere incontrollabile. Il reattore numero 4 divenne altamente instabile ed impossibile da raffreddare, causando una violentissima esplosione con fuoriuscita di grandi quantità di materiale radioattivo: nella centrale nucleare di Chernobyl era appena successo quello che passerà alla storia come il più grave incidente nucleare di tutti i tempi, con enormi ricadute fisiche sul territorio circostante ed una ricaduta, soprattutto psicologica, a livello mondiale che avrebbe per sempre cambiato la percezione sull’energia nucleare.
L’impatto locale fu enorme, sottovalutato e soprattutto sottaciuto: la zona di Chernobyl faceva ancora parte dell’URSS e le autorità non rivelarono l’incidente fino a che la nube radioattiva non venne captata nell’Europa occidentale, rendendo impossibile nascondere l’incidente. Morirono, nei primi giorni, alcune decine di persone, soprattutto vigili del fuoco e operai che, per la prima volta nella storia, si trovarono a fronteggiare un vasto incendio di materiale radioattivo. Senza dotazioni specifiche e con un grande coraggio, le prime persone che accorsero in centrale venivano dalla piccola stazione dei vigili del fuoco di Chernobyl (dove oggi c’è un monumento ufficioso eretto in loro memoria dagli stessi colleghi Vigili del Fuoco), vennero investite da fortissime dosi di radiazioni e molte morirono entro i 15 giorni successivi.
Il peggio doveva però venire: le autorità sovietiche si resero conto che i livelli delle radiazioni erano troppo alti per la popolazione di Chernobyl (15 mila persone) e di Prypjat, una enorme città di circa 80.000 abitanti situata molto più vicino alla centrale, a differenza della cittadina di Chernobyl che dista circa 15 chilometri dalla stessa. Fu presa una drastica decisione: evacuare tutti i civili nel più breve tempo possibile. Entro 36 ore dall’esplosione vennero così convogliati in zona oltre mille autobus e alle persone fu detto di prendere solo poche cose in vista di una breve evacuazione di sicurezza. In tre ore vennero evacuate più di centomila persone fra Chernobyl, Prypjat ed i villaggi della zona: non sarebbero mai più ritornati a casa e le loro città da allora sono diventate le più famose località fantasma del mondo.
Le conseguenze dell’esplosione di Chernobyl sulla popolazione sono a tutt’oggi di difficile misurazione: oltre ai morti accertati dopo i primi tempi dall’esplosione, vanno calcolate le persone che hanno sviluppato patologie da irraggiamento e che sono morte in conseguenza di esse. Per la difficoltà di stabilire la correlazione diretta tra incidente e morte, magari dopo anni, a seguito di malattie collegate alla radioattività, non è possibile dare un numero preciso, si va da poche migliaia di persone coinvolte a centinaia di migliaia di persone che potrebbero aver sviluppato malattie collegate all’incidente.
Ma oggi qual è esattamente la situazione nell’area, e che ne è stato della centrale atomica?
Esiste una zona di alienazione dove l’ingresso è rigidamente controllato: per un raggio di circa 30 km (ma in realtà non è un cerchio ma un poligono) intorno alla centrale ogni accesso pubblico è vietato, per arrivarci bisogna chiedere l’autorizzazione al governo ucraino tramite i numerosi operatori che organizzano i tour e man mano che ci si avvicina alla centrale stessa ci sono altri due controlli di sicurezza da superare, con contatori geiger in uscita per rilevare che le persone non abbiano assorbito troppe radiazioni durante la permanenza.
Non è possibile andare nella zona di alienazione da soli: il tour operator si occupa di trasportare i visitatori da Kiev alla zona vietata, gestisce i permessi e accompagna fisicamente all’interno della zona i visitatori, che devono seguire alcune regole. Niente maniche corte, niente pantaloncini corti (per il pericolo di mettere la pelle direttamente a contatto con zone radioattive), evitare di sedersi o poggiare oggetti per terra, divieto di fumo anche all’aperto, divieto di entrare nei palazzi; viene fornito un dosimetro o contatore geiger che rileva la dose totale di radiazioni accumulate durante la visita.
Va chiarito subito che la zona non è totalmente abbandonata, e non lo è mai stata del tutto: una volta evacuata la popolazione da Chernobyl e Prypjat sono intervenute le squadre di decontaminazione e “liquidazione”, che per anni hanno ripulito appartamenti ed edifici dalla maggior parte del materiale trasportabile, che è stato poi seppellito nelle foreste della zona.
Anche la centrale, sorprendentemente, non è mai stata evacuata del tutto: a parte i vigili del fuoco e gli addetti che hanno contribuito a spegnere gli incendi della prima ora, la centrale in sé ha continuato a funzionare fino agli anni 2000. La centrale era infatti composta da 4 reattori, Il reattore 4 è quello che è esploso nel 1986, il 3, che è fisicamente collocato pochi metri accanto al 4, ha continuato a funzionare per anni. Come pure l’1; il 2 è stato fermato nel 1991 dopo un incendio. I programmati reattori 5 e 6 non sono mai stati finiti, la loro costruzione è stata sospesa dopo l’incidente ed oggi fanno parte di un enorme sito di archeologia industriale troppo radioattivo per essere utilizzato ed impossibile per lo stesso motivo da smantellare, di fatto si tratta di un’area immensa abbandonata.
Il reattore esploso, con l’iconica ciminiera che tutti hanno visto in foto, è attualmente sepolto da un vecchio sarcofago cadente costruito inf retta negli scorsi ann e incluso a sua volta da pochi mesi in “the arch”, un gigantesco contenitore a forma di arco da 1 miliardo di dollari che dovrebbe resistere cento anni. In realtà nessuno sa bene cosa fare nel frattempo e cosa ci sia lì sotto, dove il reattore è esploso e c’è ancora un magma radioattivo.
La città di Prypjat, come detto, è stata totalmente evacuata e non c’è assolutamente alcuna attività né presenza umana: per anni, dopo che i liquidatori hanno eliminato il materiale che poteva essere trasportabile, sono avvenuti saccheggi e furti soprattutto di materiale ferroso (altamente radioattivo) rivenduto come scarto in tutta l’ex Urss. Sarà l’oggetto di un nostro successivo articolo esclusivo.
La cittadina di Chernobyl vede oggi risiedere, su turnazioni di 15 giorni, circa 1.500 persone, tutte impegnate direttamente o indirettamente nel “decommissionamento” della centrale: a Chernobyl è presente un ufficio postale, alcuni monumenti commemorativi, un albergo che è più che altro un ostello molto spartano, due mense e due negozi che vendono un po’ di cibo e bottiglie di birra. I pochi residenti spesso utilizzano gli appartamenti abbandonati dagli originali residenti evacuati in tutta fretta dopo l’incidente.
Sempre nella zona di alienazione è presente l’ex installazione militare sovietica “Duga”, una enorme antenna di 150 metri di altezza per quasi 800 di lunghezza, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo che si può leggere cliccando qui.
Chiunque, visitando la zona, si chiede quale sia il livello di pericolosità della zona e le radiazioni presenti. Il problema della radioattività e di quanto sia pericolosa per chi va o vive in questi posti è molto complesso: tutto dipende dall’intensità e dalla durata delle esposizioni. Ma la radioattività in zona non è mai costante, varia tantissimo anche spostandosi di poco; il nostro pulmino correndo su un tratto di strada particolare è passato dall’avere, al contatore geiger, una lettura normale ad una lettura altissima cento metri dopo, tanto alta che gli altoparlanti del mezzo hanno cominciato a picchiettare come se ci fossero tutti i cellulari accesi. Stessa cosa quando si cammina sul sito, da valori accettabili si può passare a valori pazzeschi spostando il dosimetro sopra un “hot spot”, che può essere un metallo radioattivo di pochi cm o un enorme campo. L’importante è rimanere in zona poco, chi lavora nella zona lo fa in turni di due settimane e si sottopone a visite costanti: ma più che altro ha preso la faccenda con rassegnazione, tutti dicono di non curarsi più del dosimetro, dopo un po’ che sei lì, e gli stipendi molto alti per chi lavora nella zona di alienazione fanno comunque gola in un paese sostanzialmente povero come l’Ucraina.
Foreste e campi della zona possono essere sicuri o con elevate dose di radiazioni, anche qui dipende da punto a punto. Edifici e costruzioni non possono più essere recuperati: nei primi anni le autorità hanno portato avanti un tentativo di decontaminazione degli edifici e delle strutture militari, rinunciando in seguito per l’enormità della cosa e i costi connessi.
Non è possibile abbattere gli edifici in quanto le polveri sollevate nella demolizione sarebbero sicuramente tossiche e viaggerebbero incontrollate col vento, restaurare o comunque recuperare strutture vecchie di almeno trent’anni è un compito oramai impossibile, anche a causa del deterioramento causato dal un clima con freddi e caldi estremi e con la foresta che sta letteralmente riprendendosi le zone urbanizzate: è facile vedere sui tetti dei vecchi palazzi alberi anche grossi, che con le loro radici stanno spaccando il cemento. Il destino di molti palazzi è segnato, e crolleranno comunque da soli, come già in parte sta accadendo: una delle proposte prevede di mettere la zona sotto protezione, e finanziamento, dell’UNESCO, come una Pompei moderna, ma ad oggi nessuna proposta concreta è stata ancora fatta.
Una attrazione locale sono i pesce gatto del fiume che alimentava gli impianti di raffreddamento: pesci di decine di chili perfettamente normali come peso, anche se è ovviamente vietatissima la pesca e fare il bagno. La scala del sito è immensa, il corpo della centrale che ospita i 4 reattori principali è lungo quasi un chilometro, l’arco che contiene il reattore 4 è alto cento metri, le abitazioni abbandonate sono decine di migliaia, centinaia i piccoli villaggi evacuati: migliaia di tonnellate di terreno e detriti radioattivi, come pure di materiale e mezzi usati dopo l’incidente e non più recuperabili perché radioattivi, sono stati sepolti o spostati in aree periferiche vietate alle visite.
Nei piani, quella di Chernobyl doveva diventare la centrale nucleare più grande e gloriosa dell’Urss, oggi tutta l’area di alienazione è un gigantesco buco nero che ha inghiottito tutto e del quale nessuno, tranne ladri e turisti estremi, vuole più occuparsene.