Di Anna Calabrese
ROMA (nostro servizio particolare). “Per poter difendere lo Stato bisogna conoscere l’arte di impadronirsene” scriveva Curzio Malaparte nel suo Tecnica del colpo di Stato, ormai più di 90 anni fa.
Si tratta di un’analisi priva di giudizi morali e manuale quasi machiavellico.
Lo scritto attirò a sè numerose critiche e costituisce, ancora oggi, un’opera di ingegneria politica che fa riflettere alla luce della “pandemia dei coups d’état” che investe l’Africa Sub-sahariana.
Dal 2021 infatti i colpi di Stato militari sono tornati i protagonisti della politica internazionale in Africa.
Allarmano l’Occidente per gli interessi strategici nella regione e chiamano le Organizzazioni regionali e internazionali a porsi interrogativi di risposta e negoziazione.
Il colpo di Stato militare avvenuto in Niger il 26 luglio riconferma questa tendenza e pone l’interrogativo circa possibili effetti di contagio nella regione.
A partire dal famoso Congiure contro alla patria e congiure contro ad uno principe, capitolo VI dei Discorsi sulla I decade di Tito Livio di Niccolò Machiavelli, il tema del colpo di Stato suscita l’interesse di studiosi e strateghi.
Tra essi Huntington guardava al Continente africano come caratterizzato da un radicale ma progressista pretorianesimo dovuto al fatto che l’élite militare appartenesse alla classe media e fosse dunque capace di innescare un processo di modernizzazione della società.
Al contrario, la scuola marxista spiegò i colpi africani degli anni ‘60 come causati dall’approccio imperialista delle ex colonie, considerandoli reazionari e non appropriati ad uno sviluppo non-capitalista auspicabile.
Come suggeriva Malaparte, però, per prevenire l’espansione di questo fenomeno è essenziale analizzarne le strategie e le condizioni favorevoli in maniera pragmatica e priva di giudizi morali, al fine di tracciare una sorta di fil rouge che leghi i disordini che oggi lacerano il Sahel e preoccupano tanto l’Occidente.
Al di là delle variabili storiche ed etniche, la condizione dell’arretratezza del sistema economico risulta un elemento ricorrente: ad essa è strettamente correlata l’esclusione e la passività politica dell’uomo comune, che rende difficoltosa la messa in discussione degli ordini dell’élite e che rende il popolo tendenzialmente disposto ad accettare un cambiamento di governo al di là della sua dubbia liceità.
Un secondo fattore determinante sarebbe la sostanziale indipendenza, dovuta ad un’influenza delle potenze straniere piuttosto limitata nella vita politica del Paese.
Se una grande potenza disponesse di ingenti forze fisiche e politiche sul territorio, sarebbe essenziale il suo sostegno nell’azione, come testimoniano i diversi colpi di Stato in Centro e Sud America, dove l’influenza della diplomazia del dollaro era significativa.
La scia di golpe, riusciti o tentati, interessa infatti numerosi Paesi dal passato coloniale francese, sintomo che la ex potenza vede la sua influenza nel Continente diminuire di fronte a Cina, India e Russia: il Camerun, dilaniato da conflitti interni nelle province anglofone che chiedono l’indipendenza e dalle infiltrazioni di Boko Haram, ha firmato ad aprile 2022 un accordo di cooperazione militare con Mosca, dietro al quale aleggia l’ombra della Wagner, già impegnata in operazioni nel continente.
Il Camerun ha un’economia caratterizzata soprattutto dal settore agricolo e della silvicoltura e con il 48% della popolazione sotto la soglia di povertà assoluta.
E potrebbe candidarsi ad unirsi alla lunga lista di Paesi ribaltati per mano militare soprattutto a causa di un ulteriore fattore di tensione, quello etnico.
Culla infatti di oltre 250 etnie, il Camerun è stato interessato da rivendicazioni del potere da parte di due delle principali etnie francofone, i Bamilékè e i Bulu-Beti.
Si è cercato di distribuire le funzioni più ambite di governo e del settore pubblico equamente, senza riuscire, però, a sedare gli animi.
La situazione peggiorò durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2018 che vide protagonisti e avversari Maurice Kamto e Biya, rispettivamente di etnia bamileke e beti, e che fu terreno di forti strumentalizzazioni e retorica a sfondo etnico.
Staffan Wiking, studioso presso lo Scandinavian Institute of African Studies ha dimostrato attraverso i suoi studi comparativi che è possibile distinguere tra motivo e giustificazione che soggiacciono ai colpo di Stato: la prima è la vera motrice dell’azione, mentre la seconda è la sua razionalizzazione.
Egli spiega numerose situazioni di tensione in Africa sub-sahariana come principalmente mosse da interessi economici delle élites che, però, necessitano di una giustificazione solida che garantisca il supporto dei gruppi etnici con cui proprio le élites si identificano.
Wiking ci spiega anche che spesso il settore militare non è esente da conflitti interni alla struttura, che possono essere di natura etnica o di classe: laddove questa tensione si confronta con la società esterna e vi trova riscontro, essa può essere motivo di azione politica da parte delle Forze Armate.
E’ quel che successe in Etiopia nel 1974 quando giovani soldati si ribellarono ai loro superiori, senza tuttavia avere un progetto di presa del potere.
Sarà solo più tardi, una volta acquisita la coscienza circa le tensioni sociali esterne, che riuscirono a prendere le parti del malcontento generale contro il regime conservatore di Haile Selassié I e ribaltare l’Impero.
In Camerun, dove si manifestano interessi settoriali legati ai giacimenti di petrolio e materie prime, sembrano convivere tutte le condizioni favorevoli ad un futuro colpo di mano contro il potere centrale.
Da ormai 4 anni gli Stati Uniti sono assenti sul terreno, dopo aver ritirato ogni sostegno militare e la potenza francese perde sempre più presa, limitandosi a una timida e formale cooperazione allo sviluppo.
Il Paese si è allora voltato verso altri partner negli ultimi anni, come la Russia sopra citata.
La Wagner presente in 13 Paesi africani, tra cui il Camerun, svolge addestramenti, reprime le opposizioni, sostiene le pretese dittatoriali ed in cambio si assicura lo sfruttamento delle risorse naturali.
Ma cosa succederà adesso che la sopravvivenza della Wagner è messa a dura prova? Riuscirà Mosca a portare avanti le operazioni e sostituirsi ai mercenari, oppure dovrà fare i conti con le risorse da razionalizzare, abbandonando qualche scenario?
Questo momento di vuoto al quale stiamo andando incontro può essere cruciale, poiché le molteplici forze avverse possono insinuarsi negli spazi di manovra e ribaltare il gracile potere in uno Stato dilaniato da una molteplice crisi.
Intanto, l’Occidente sta a guardare, in attesa della prossima vittima di questa pandemia dei coups d’état.
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