Di Antonio Li Gobbi*
Roma. Dieci anni fa, il 14 luglio 2009, in Afghanistan, a Ganjabad, circa 50 chilometri a nord-est di Farah (la zona più insidiosa dell’area di responsabilità del contingente italiano) una formazione dell’8° Reggimento Guastatori Paracadutisti e del 1° Reggimento Bersaglieri veniva investita dalla deflagrazione di un ordigno improvvisato (IED) posizionato lungo la strada. L’esplosione coinvolgeva il primo mezzo, quello dei guastatori che apriva la strada.

L’arrivo della bara di Alessandro Di Lisio in Italia
Tre guastatori paracadutisti (Giacomo Bruno, Simone Careddu e Andrea Cammarata) rimanevano feriti in maniera grave, mentre il venticinquenne Alessandro Di Lisio, che era “in ralla” (la posizione più esposta sul mezzo), decedeva a causa delle ferite riportate subito dopo essere stato trasportato all’ospedale militare di Farah.
Alessandro Di Lisio era un Soldato con la “S” maiuscola, che amava l’Esercito e il suo Reggimento.

Sopra in ralla, Alessandro Di Lisio e iil suo team
Leggo con piacere e commozione che la sua città, Campobasso, nel decennale della scomparsa abbia inteso dedicargli un parco cittadino. Non è una decisione comune in un’Italia che sembra dimenticarsi troppo spesso del sacrificio dei propri cittadini con le stellette!
Nel parco è stato trasportato dall’Afghanistan un monumento realizzato in ricordo di Di Lisio dai suoi commilitoni. Una pagina toccante! Commovente e pieno di dignità anche l’intervento della madre di Di Lisio.

Un particolare del monumento dedicato al Paracadutista Di Lisio (Foto di Luigi Calabrese)
Per l’istituzione ha parlato (benissimo) il comandante dell’8° Reggimento Genio Guastatori Paracadutisti “Folgore”, Antonio d’Agostino, un Comandante attento a propri uomini e un Soldato animato da ideali ormai rari anche tra i migliori.
Presenti, anche i tre commilitoni di De Lisio feriti dieci anni fa, di cui uno (Simone Careddu) in carrozzina. L’8° Reggimento Guastatori Paracadutisti non ha mai fatto mancare il suo sostegno alla famiglia del SUO “caduto”.

Un gruppo di Paracadutisti alla cerimonia a Campobasso (Foto di Luigi Calabrese)
Mi ha fatto enormemente piacere che fosse presente la ministra della Difesa Trenta. Una ministra di cui non condivido molte scelte, ma di cui apprezzo sinceramente la vicinanza che riesce ad esprimere al personale militare, vicinanza che mi pare sentita. Purtroppo, la ministra, per motivi che non mi permetto di valutare, non ha ritenuto opportuno un suo intervento in ambito cerimonia.
Mi si dice comunque che fosse molto cordiale con familiari del Caduto e militari presenti. Me ne complimento sinceramente, perché intervenendo ha testimoniato una sensibilità che molti altri politici non avrebbero mostrato.
Ciò detto, mi è rimasto l’amaro in bocca nel leggere le dichiarazioni rilasciate dalla titolare del dicastero della Difesa a margine della cerimonia. Infatti, l’ANSA riporta, tra le altre, le seguenti dichiarazioni attribuite alla ministra: “L’impegno delle missioni internazionali va rinnovato per il valore che ha, perché la pace si porta in Italia trasportandola in tutto il mondo, non si chiudono i confini. Se fuori c’è l’instabilità, l’instabilità prima o poi arriva. Noi abbiamo l’obbligo attraverso le missioni internazionali di contribuire alla stabilizzazione dei Paesi che non ancora vivono la pace e questo serve a garantire la pace anche nel nostro Paese”.
Concordo, per il poco che possa valere il mio parere, sul fatto che la nostra sicurezza e i nostri interessi nazionali si debbano difendere intervenendo (in anticipo) per neutralizzare eventuali situazioni che, evolvendo, potrebbero danneggiarci, e facendolo il più lontano possibile dai confini nazionali.
Guardiamo agli esempi statunitense e britannico, maestri in questo settore, anche se non avremo mai la capacità e la spregiudicatezza di comportarci in maniera analoga. L’intervento militare ideale dovrebbe essere preventivo, expeditionary e breve! Ottimo.
Però, cosa c‘entra il riferimento alla “chiusura dei confini”? Mi pare che proprio i Paesi che sono più expeditionary e preventivi nei loro interventi (non solo USA e GB, ma anche Russia e Francia) siano anche estremamente gelosi dell’inviolabilità dei propri confini.
Non vi è alcuna antitesi tra la capacità (che deve essere politica prima ancora che militare) di intervenire il prima possibile e il più lontano possibile per salvaguardare gli interessi nazionali e quella di garantire il doveroso controllo dei confini nazionali. Non si stratta di alternative tra cui i cittadini debbano scegliere, l’una o l’altra, ma di due componenti inscindibili della sicurezza che una Nazione deve saper garantire ai propri cittadini.
Personalmente ritengo che il “controllo” dei confini (non si può parlare di “difesa” dei confini non essendoci un’aggressione armata) sia un problema di ordine legislativo, di politica interna e di polizia più che di politica di difesa.
Ciò detto, penso che svariate capacità della difesa potrebbero essere proficuamente messe a disposizione del Ministero degli Interni per far fronte a tale esigenza (esigenza che credo sia percepita dai cittadini come più urgente dell’impiego per “strade sicure” o per asfaltare le buche di Roma).
Peraltro, il punto non è questo! Mi chiedo, invece, Signora ministra, in una bellissima giornata dedicata al ricordo di un SOLDATO venticinquenne caduto per l’Italia a migliaia di chilometri da casa, giornata animata dal calore di una Città che a dieci anni di distanza dalla scomparsa gli tributa un importante riconoscimento e di un Reggimento d’elite che “non lascia mai nessuno indietro”, perché gettare un’ombra in merito alla Sua importante presenza lì con familiari e commilitoni, solo per il gusto di una frecciatina “partitica” rubata al “teatrino” della politica italiana?
* Generale di Corpo d’Armata (Ris)
FOTO COPERTINA DI LUIGI CALABRESE
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