Di Fabrizio Scarinci
Roma. Gli attuali conflitti appaiono sempre maggiormente caratterizzati da scenari urbanizzati che conferiscono agli attori in lotta la possibilità di sfruttare il terreno e le infrastrutture ivi presenti in modi quasi del tutto inimmaginabili fino a pochi decenni orsono.

Una parte della platea presente al convegno
Ad esempio, lo sfruttamento della verticalità di edifici di grandi dimensioni o la possibilità di utilizzare le sempre più complesse infrastrutture sotterranee che caratterizzano le grandi città pongono problemi tattici di difficile soluzione, sia per via dell’elevata presenza di civili nelle zone di combattimento, sia per via del fatto che i potenziali avversari presi in considerazione in tale tipo scenario sembrerebbero avere a disposizione strumenti sempre più sofisticati e pericolosi.
Sono questi alcuni ragionamenti emersi, nei giorni scorsi, nel corso di un convegno intitolato “Urgenza della trasformazione militare quale criticità strategica nazionale: comprensione del fenomeno e ricadute sulla sostenibilità dello Strumento Militare Terrestre”.
La giornata di studio, organizzata dal Centro Studi Esercito (CSE) alla presenza del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina, si è svolta a Roma nella sede del Segretariato Generale della Difesa e Direzione Nazionale degli Armamenti.

Il capo di SME, Generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina
Presenti anche il sottosegretario di Stato alla Difesa, Giulio Calvisi, alcuni componenti delle Commissioni del Senato e della Camera dei Deputati, Guido Crosetto, presidente dell’AIAD (Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza), il NATO’s Deputy Assistant Secretary General for Defense Investment Division, Gordon Davis, e il Generale di Corpo d’Armata Paolo Ruggiero, NATO’s Deputy Supreme Allied Commander Transformation.
I lavori sono stati aperti dal Generale della Riserva Enzo Stefanini, presidente del CSE, che ha tracciato un quadro della situazione inerente il finanziamento dello strumento terrestre, rapportandolo alle esigenze operative dell’Esercito e spiegando quanto la carenza di risorse riscontrata a riguardo influisca negativamente sulla capacità di innovare della Forza Armata, che, nel corso degli ultimi anni, è stata impiegata con sempre maggiore intensità nell’ambito di teatri particolarmente complessi e turbolenti.
A tal proposito, si è anche discusso di come anche diversi attori di tipo asimmetrico facciano ormai largo uso di veicoli e velivoli unmanned e di come, nel prossimo futuro, potrebbero raggiungere preoccupanti livelli di efficacia, sia a livello strategico che a livello tattico, nell’ambito del cyberwarfare.
Per gli intervenuti un simile quadro impone, ovviamente, la ricerca di risposte efficaci; in grado di consentire alle forze terrestri impiegate in tali contesti di operare al meglio e raggiungere i propri obiettivi limitando il più possibile le perdite.
Secondo molti di loro, buona parte di queste risposte risiederebbe nell’implementazione di tecnologie innovative derivanti dalla rapida evoluzione scientifica in settori quali nanotecnologie, intelligenza artificiale, robotica ed informatica, forieri di generare grandi cambiamenti sia riguardo ai mezzi impiegati in battaglia, sia riguardo alla loro dottrina di impiego.
La discussione, proseguita con la collaborazione di alcuni esperti del settore, tra cui rappresentati della divisione investimenti e trasformazione della NATO, dell’Università Roma 2, di Leonardo e dell’AIAD, ha quindi fornito importanti indicazioni circa lo sviluppo degli scenari futuri sino al limite temporale del 2035, ponendo particolare attenzione anche sulla necessità di acquisire ed implementare i nuovi mezzi e le nuove tecnologie in quantità e tempi ragionevoli.
Infatti, anche in considerazione del rapido avanzamento delle tecnologie militari, un’eccessiva dilatazione del processo di acquisizione di un sistema d’arma comporta il serio rischio che questo diventi obsoleto prima ancora di poter essere schierato.
Come sottolineato in apertura dal Generale Stefanini, la carenza di finanziamenti rappresenta il maggiore ostacolo alla velocizzazione di tale processo e l’Esercito, che negli ultimi anni ha potuto contare su budget decisamente insufficienti rispetto alle proprie necessità, auspica ora un deciso cambio di rotta a tale riguardo.
In caso contrario, sempre per via del rapido avanzamento della tecnologia bellica e della conseguente necessità di mantenere forze allo stato dell’arte affinché le loro capacità non decadano rispetto a quelle degli eventuali contendenti, se non si procedesse ad una programmazione pluriennale di investimenti, si potrebbe assistere, già nel corso dei prossimi 5 anni, ad una reale e progressiva erosione delle capacità operative dell’Esercito.
Oltre che favorire l’efficacia delle nostre forze terrestri, consentire all’Esercito di procedere verso un deciso programma di ammodernamento avrebbe anche delle significative ricadute a livello industriale.
Infatti, come sottolineato da Guido Crosetto, anche l’effetto moltiplicativo generato dagli investimenti nel settore della difesa appare piuttosto consistente, raggiungendo un ritorno per il sistema economico del Paese pari ad una cifra oscillante tra 2.7 e 3.5 volte la somma investita.

L’intervento del presidente AIAD, Guido Crosetto
Il presidente AIAD ha poi continuato sottolineando come la possibilità di disporre di valide capacità militari ed industriali sia un qualcosa di assolutamente fondamentale per lo status del Paese, il quale, disponendo di tecnologie particolarmente appetibili, avrebbe tutte le carte in regola per consolidare la sua posizione a livello internazionale, sia attraverso la vendita di sistemi d’arma, sia attraverso la possibilità di cooperare con maggiore facilità con altri Paesi alla realizzazione di sistemi dall’elevato valore strategico.
Quest’ultimo punto rappresenta però una nota dolente per le forze terrestri, le quali, diversamente da quanto accade per le forze aeree e navali, non hanno mai beneficiato di un gran numero di programmi internazionali per lo sviluppo e l’acquisizione di sistemi d’arma.
A tal proposito Gordon Davis e il Generale Paolo Ruggiero hanno giustamente sottolineato l’importanza di favorire una maggiore collaborazione tra i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica, nondimeno la strada da percorrere sembrerebbe essere ancora piuttosto lunga.
In ragione di ciò, appare, dunque, necessario un intervento atto a riequilibrare gli investimenti, che orienti gli acquisti verso mezzi e sistemi di produzione nazionale.
Tale modus operandi, infatti, oltre a generare un impatto positivo sull’economia, favorirebbe anche l’export e la partecipazione a progetti multinazionali, dato che la maggior parte dei clienti esteri, cosi come dei potenziali partner industriali (questi ultimi soprattutto al fine di valutare la possibilità di combinare le loro tecnologie con le nostre allo scopo di sviluppare nuovi progetti), tende a preferire prodotti già acquistati e sperimentati dalle forze armate nazionali.
Alla luce di tali considerazioni è stato giudicato necessario l’accesso a risorse aggiuntive di circa 1 miliardo di euro all’anno per i prossimi 15 anni, che dovrebbero consentire all’Esercito di ammodernare e rinnovare i propri mezzi e le proprie capacità.
E’ stata inoltre proposta l’adozione di una vera e propria “legge terrestre”, simile a quella che nel 1977 consentì alla Forza Armata di intraprendere, nel pieno della Guerra Fredda, una vasta opera di modernizzazione sulla base dei requisiti dell’epoca, che dovevano tenere conto della possibilità che il Paese fosse coinvolto in uno scontro ad alta intensità con le forze del Patto di Varsavia.
I requisiti odierni appaiono parzialmente diversi; una minaccia di tipo simile a quella portata dai sovietici all’epoca del confronto bipolare sembrerebbe infatti essere quasi del tutto assente. Nondimeno, se fino allo scorso decennio le principali minacce alla stabilità delle aree di nostro interesse erano causate soprattutto da attori di tipo asimmetrico, gli ultimi anni hanno visto una progressiva ripresa della competizione geopolitica tra potenze.
Qualora questo livello di conflittualità continuasse ad aumentare è molto probabile che l’Esercito, constatando la possibilità di dover tornare a proteggere gli interessi del Paese rispetto a minacce di tipo “tradizionale”, torni ad assumere una postura maggiormente incentrata sulle forze pesanti, sensibilmente ridotte negli ultimi tempi. In ogni caso, però, qualsiasi pianificazione dovrà basarsi su una dettagliata analisi degli scenari operativi, tenendo anche conto dei continui mutamenti tecnologici.
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