Di Gerardo Severino*
Roma. Sulla Resistenza e sulla Guerra di Liberazione – è il caso di dire – si è scritto molto, soprattutto all’indomani del 25 aprile 1945, allorquando erano particolarmente fresche le memorie dei veri protagonisti di quelle epiche giornate.

Finanzieri di Milano rientrano dalle operazioni di liberazione della città
Moltissimi furono, già allora, i libri, i saggi ma soprattutto gli articoli che alcuni fra i principali Capi partigiani, spesso uomini politici, giornalisti e scrittori antifascisti firmarono, onde ricordare quanto era accaduto, ma soprattutto quanto era stato fatto da quel martoriato popolo italiano, durante la faticosa e sanguinosa riconquista della libertà, dopo quel tragico “ventennio” che aveva trascinato il Paese nel baratro della 2^ Guerra Mondiale.
Quella che secondo molti fu una vera e propria “Guerra Civile”, consentì di appoggiare – e in maniera tangibile, oserei aggiungere – la poderosa campagna militare che le Armate Anglo-Americane, successivamente coadiuvate, in qualità di “cobelligeranti”, da truppe scelte del Regio Esercito Italiano (e qui andrebbero ricordati anche i due Battaglioni, uno dell’Arma dei Carabinieri e uno della Regia Guardia di Finanza, che parteciparono alla liberazione di Roma, il 4 giugno 1944) iniziarono dalla Sicilia e che portò alla definitiva sconfitta di quelle “Potenze dell’Asse” che tanti lutti, disastri e perdite avevano procurato a mezzo mondo.

Truppe alleate in Piazza Venezia, a Roma, il 4 giugno 1944
La Resistenza fu, dunque, ricordata e mai dimenticata, sia da parte dei protagonisti, come si diceva prima, che dalla letteratura specializzata, dal cinema, dalla televisione e persino dal teatro.
E ciò anche recentemente, come è doveroso che sia. I valori che essa ha incarnato ed incarna tuttora sono, pur tuttavia, sentimenti che non sempre uniscono gli italiani, spesso coinvolti da bagarre politiche e morali che nulla hanno a che vedere o a che fare con quella che potremmo definire una vera e propria “Epopea”, una vera e propria “Riscossa” del popolo italiano.
La ricorrenza del 25 aprile, al di là delle sterili polemiche che inevitabilmente innesca tutti gli anni, ci ricorda – anzi è meglio dire ricorda alle giovani generazioni – ciò che è stata e ha rappresentato quella “Stagione”; ciò che fu fatto da quelle migliaia di donne e uomini italiani pur di riconquistare la libertà perduta.
A loro, soprattutto, va attribuito, infatti, il merito di aver cacciato per sempre dal suolo italiano l’odiato occupante: lo stesso che fra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945 si macchiò di indicibili nefandezze, anche contro l’inerme popolazione civile, spesso coadiuvato dalle famigerate e italianissime “Brigate Nere”, ovvero dalle odiate Polizie speciali della Repubblica Sociale Italiana.

Benito Mussolini e Alessandro Pavolini
Ebbene, sia nei libri, nei saggi che negli articoli dedicati alla Resistenza vengono raccontate anche le singole vicende personali dei tanti giovani partigiani, che spesso pagarono con la loro stessa vita l’aver scelto da che parte stare dopo l’8 settembre 1943.
Di loro si racconta ogni minimo particolare – e questa è una cosa giusta – soprattutto per il significato intrinseco che ci perviene da quella “Cultura della Memoria”, la quale, anche grazie all’istituzione, nel 2000, del “Giorno della Memoria” delle Vittime della Shoah e delle persecuzione nazifascista, ha il dovere di mantenere viva la coscienza dei contemporanei riguardo agli stessi rischi che possono nascere dall’odio raziale e dalla sete di potere.
Molto spesso, però, il ricordo dei singoli partigiani è limitato solo a talune categorie di protagonisti di quel glorioso momento della nostra Storia, preferendo ricostruire le vicende di coloro che affrontarono la battaglia da semplici civili, piuttosto che parlare anche dei tantissimi appartenenti alle Forze Armate e ai Corpi di Polizia che pure si distinsero e morirono per la stessa nobile causa.
In effetti, si sa quasi tutto delle varie organizzazioni resistenziali e delle numerose bande partigiane, le quali sono state scrutate in ogni loro più intimo particolare, mentre si sa ancora molto poco riguardo al contributo offerto alla Resistenza (e non alla Guerra di Liberazione, per la quale sono stati prodotti molti testi da parte degli Uffici Storici) dai singoli militari italiani, spesso individualmente schieratesi con questa o quella banda e talvolta, come accadde a Roma durante l’occupazione tedesca, dando vita a vere e proprie formazioni partigiane autonome, come lo fu la gloriosa “Banda Fiamme Gialle”, capeggiata dal Generale Filippo Crimi, ovvero la “Banda Buratti”, capeggiata dal Brigadiere di Finanza Mariano Buratti, finito ammazzato a Forte Bravetta, dopo aver subito le più orribili torture in Via Tasso, Medaglia d’oro al Valor Militare.
Ed è proprio riguardo al contributo offerto alla causa resistenziale da parte della Guardia di Finanza, la cui Bandiera di Guerra fu decorata di Medaglia d’oro al Valor Militare, ovvero dai singoli Finanzieri che la letteratura storica italiana è ancora oggi deficitaria.
A parte qualche libro “di nicchia” e qualche saggio o articolo apparso sporadicamente su qualche rivista, quasi nulla conosce il popolo italiano riguardo al ruolo sostenuto da migliaia di Fiamme Gialle nell’ambito della Resistenza italiana.
Grandissimo merito va, in verità, rivolto a due importanti storici del Corpo, i compianti Generali Giuliano Oliva e Pierpaolo Meccariello, che tale contributo ebbero modo di analizzare compiutamente, regalandoci due veri e propri capolavori editoriali, che purtroppo, però, essendo stati stampati dal Corpo stesso, non ebbero la possibilità di poter essere diffusi al cosiddetto “grande pubblico”.
Mi riferisco ai libri “La Guardia di Finanza nella Resistenza e per la Liberazione“, che il Generale Oliva pubblicò nel 1985 e “La Guardia di Finanza nella Resistenza” che invece il Generale Meccariello pubblicò nel 2005, in occasione di un interessantissimo convegno istituzionale che si tenne a Milano in occasione del 25 aprile di quell’anno.
Agli “storici prodotti in casa” non si è, poi, aggiunta – anche questo va detto – nessuna “penna famosa”, intendendo per tale chi appartiene a quel mondo della letteratura storica (scrittori e giornalisti prezzolati e superpagati) che amano scrivere riguardo a questioni ovvie e già conosciute, piuttosto che analizzare aspetti ancora poco noti e, soprattutto, scarsamente investigati.
Il 2 giugno del 2017, tanto per citare un esempio calzante, durante un suo intervento a margine della Festa della Repubblica, il noto giornalista Aldo Cazzullo ricordò che la Resistenza fu fatta dai partigiani, dai soldati ma soprattutto dai Carabinieri, dimenticando, purtroppo (ma forse è meglio dire non sapendo), che anche la Guardia di Finanza aveva avuto in quel contesto storico un ruolo incredibilmente importante.
Appare, quindi, evidente che, a parte i due testi prima ricordati e le mie monografie dedicate ad alcuni Finanzieri partigiani (fra i quali mi piace ricordare le biografie di Mariano Buratti, Salvatore Corrias, Gavino Tolis e Bachisio Mastinu) i fatti, le circostanze e le storie personali delle tantissime Fiamme Gialle che presero parte – e che spesso morirono – alla Resistenza e alla Guerra di Liberazione sono ancora oggi sconosciute ai più.
L’apporto personale, generosamente offerto dai tantissimi Finanzieri fra il settembre 1943 e l’aprile 1945, andrebbe attentamente studiato e fatto conoscere al Paese.
Ma ciò – credetemi – è cosa molto ardua, anche se non impossibile. Andrebbe, in effetti, svolta un’attenta ricerca archivistica, la quale, partendo magari dalle pratiche riguardanti i riconoscimenti delle qualifiche di “Partigiano Combattente”, ovvero di “Patriota”, possa consentire al ricercatore di avere una chiave di lettura più omogenea ed esaustiva in considerazione del fatto che tale apporto ebbe nel quadro generale della stessa lotta partigiana.
I Finanzieri antinazisti furono veramente molti, così come molti furono coloro che pagarono con la vita: morti in battaglia, condannati a morte, ma soprattutto periti di stenti e sevizie nei lager tedeschi.
Dalle Fiamme Gialle del 1° Battaglione mobilitato immolatesi a Cefalonia e Corfù all’indomani della proclamazione dell’Armistizio (Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Bandiera del Corpo), al Maresciallo Maggiore Vincenzo Giudice, fucilato a Bergiola Foscalina nel tentativo di evitare l’ennesima strage teutonica; dal Tenente Attilio Corrubia, impiccato dai tedeschi per la sua attività partigiana (Medaglia d’Oro al V.M. come il Giudice), ai tantissimi Eroi che seguirono la stessa sorte nel Nord Italia, ovvero che finirono ammazzati nei campi di sterminio tedeschi sarebbe veramente impossibile ricordare tutti, tenendo presente che, alcuni di loro scrissero pagine sublimi anche nell’ambito degli aiuti ai profughi ebrei e dei perseguitati dal nazifascismo, per il quale andrebbe aperto un capitolo a parte.
Che dire, infine, del ruolo avuto dalle Fiamme Gialle nelle epiche giornate della Liberazione, ricordando l’incredibile opera svolta a Milano dal Reggimento di formazione al comando del Colonnello Alfredo Malgeri, di ciò che fecero i loro colleghi a Venezia ma anche a Trieste, prima che la città cadesse in mano titina.

Il Colonnello Malgeri sfila con i suoi finanzieri a Milano nel 1945
Di queste storie vi sono riscontri anche nelle pagine che il Museo Storico del Corpo ha pubblicato negli anni sul proprio sito, così come in altri testi specifici (www.museostoricogdf@gfd.it).
Concludo questa lunga testimonianza con la speranza che il tributo di valore e coraggio espresso dalla Guardia di Finanza in quel contesto storico serva da monito a tutti i cittadini italiani, ma soprattutto alle future generazioni, consapevole che, al di là del loro personale attaccamento al Dovere, anche i Finanzieri – e quindi non solo i soliti protagonisti del 25 aprile – seppero dimostrare, in quel triste periodo della nostra Storia, di essere “italiani fra gli italiani”, amando la propria Patria spesso fino all’estremo sacrificio.
*Maggiore, Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza
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