Di Antonio Bellizzi di San Lorenzo*
Firenze. Notoriamente, alla sconfitta bellica della II° Guerra mondiale – incancrenitasi nell’8 settembre 1943, definita dal giurista S. Satta (1) la “Morte della Patria”- e alla occupazione straniera, si sovrappose in Italia, stremata dai bombardamenti aerei, una lacerante guerra civile, che vide spesso vittime innocenti di ogni ceto ed età (donne, minori, carabinieri, preti etc.) da parte delle diverse fazioni politiche in campo.

Il 10 settembre 1943 piovono bombe su Cassino
Purtroppo questo vichianamente si ripete nella tragicità della Storia che si dice Magistra vitae ma,come diceva Gramsci, “non ha scolari”.
E spesso la violenza politica, già tragica di per se’, si sovrappone alla delinquenza comune per sadismo, lucro etc.
Il riferimento espresso alla “guerra civile” è peraltro fatto da Piero Calamandrei nel discorso agli studenti milanesi, del 26 gennaio 1955, contenente la famosa frase: “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare“.
Per inciso, va pure detto che se il contributo determinante alla liberazione non fosse stato dato dalla V Armata americana, al comando del Generale Clark, sbarcata presso Salerno il mattino del 9 settembre 1943 – preceduta dallo sbarco alleato in Sicilia del 9 luglio e seguita da quello americano ad Anzio del 22 gennaio 1944 – e se in Italia non vi fosse stato il Vaticano,è ipotizzabile che, dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista, almeno l’Italia del Nord potesse cadere in una nuova orbita totalitaria sovietica.

Lo sbarco di Anzio
Occorre ricordare che la prima grande città europea ad insorgere contro l’occupazione nazista fu Napoli – immune da profili odiosi di vendetta civile – che fu trovata dagli Americani già liberata, con apporto di militari del Regno del Sud, il 1° ottobre 1943.
Roma invece fu liberata dagli Americani il 4 giugno 1944 dopo essere stata traumatizzata dal primo bombardamento di San Lorenzo (19 luglio 1943), dal vile rastrellamento tedesco del ghetto ebraico (16 ottobre 1943), dalle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944) e dalle torture della banda Koch, etc..

La Guerra di Liberazione vide in prima linea soprattutto i militari
Firenze, non immune da lotte fratricide (omicidio del filosofo del regime Giovanni Gentile, le torture banda fascista Carità) si liberò pure da sola l’11 agosto 1944.
La dimensione di guerra civile riguardò tendenzialmente il territorio nord italiano – coincidente con la Repubblica sociale – con un odioso protrarsi di vendette e crimini, pure dopo il 25 aprile 1945, di frange di partigiani comunisti anche verso esponenti della resistenza, socialisti, liberali, cattolici e monarchici o verso civili non politicamente attivi (come, ad esempio il cosiddetto “triangolo rosso” dell’Emilia).
Mentre il cono d’ombra delle truppe “liberatrici” al Sud fu quello delle inaudite violenze verso civili da parte delle truppe marocchine al comando del francese Generale Juin (violentate e uccise donne di ogni età, fanciulli, giovani preti, etc.).

Soldati marocchini impiegati con le truppe alleate sul fronte italiano nel 1943
Se è vero dunque che, da sempre la Storia, è scritta dai vincitori ma col sangue dei vinti (Vae victis – Damnatio memoriae, etc.), la “guerra civile” (bellum intestinum) esercita una forza maieutica vero i più feroci istinti umani:la delazione corrompe, il condomino coglie l’occasione per vendicarsi del vicino antipatico, il delinquente sadico si arruola nella prima fila che gli consente di torturare impunemente, lo stupratore alberga dove può far il peggio.
Alla fine un popolo plaudente di Piazza Venezia si può trasformare nella massa inferocita di Piazzale Loreto e nella lotta sanguinosa tra vincitori e vinti che macina tanti innocenti, emergono poi i furbi e i trasformisti, abili nel passare, rispettivamente, dagli indifferenti e dalla fazione dei vinti a quella dei vincitori: come si diceva nella Milano post-risorgimentale, i famosi eroi della “Sesta giornata” (con riferimento alle note 5 Giornate di Milano del 1848)!
Mentre sono sempre pochi i giusti, “ Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”(Alessandro Manzoni): si pensi, senza esaustività, a Benedetto Croce (2), Giorgio La Pira, Ferruccio Parri, Edgardo Sogno, don Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini, Arturo Toscanini nonchè i soli 18 (s.e.) docenti universitari (3) che non avevano giurato fedeltà al fascismo dal 1931.
E’ anche questo il senso della fede che”il legno storto dell’umanità”(4) possa essere raddirizzato da una Giustizia divina – fuori della Storia – perché, nella ‘lagrimarum valle’ della Storia spesso non vi è – pure nei Tribunali, come nei Libri di Storia – la “vera Giustizia”: questo è un aspetto del significato profondo della Croce come possibilità di riscatto nella Resurrezione per l’innocente crocifisso, destinato altrimenti alla “pattumiera della Storia” (Trotski, 25 ottobre 1917 verso i menscevichi).
Tuttavia l’Anniversario della liberazione, se correttamente inteso in modo non divisivo per perpetuare antiche ferite ma come rinnovata occasione di grande Pacificazione nazionale, pur nella democratica condivisione di tragiche memorie storiche, può avere un senso istituzionale, di cui dunque non vi può essere appropriazione da parte di qualcuna delle nuove fazioni politiche a scapito delegittimante di altre, con un uso politico contingente e strumentale della complessità della Storia.
E questo fu il senso della sua istituzione con atto legislativo adottato dal Governo di Alcide De Gasperi e promulgato dall’allora Luogotenente del Regno, poi ultimo Re Umberto II (D.Lgs.Lgt 22 aprile 1946 n.185): “Art.1. A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale“.
E con riguardo al giorno definitivo dell’insurrezione generale del 1945, proclamata a Milano dal C.L.N.-Alta Italia, via radio, per bocca di Sandro Pertini, fu poi la legge 27 maggio 1949 n. 260, art. 2 che stabilizzò “il 25 aprile, anniversario della liberazione” come “giorno festivo”.
Ecco dunque che la parola “liberazione” – indicante un processo dinamico inarrestabile – indica che le nostre Libertà costituzionali , cuore pulsante di pace e democrazia, non sono mai date una volta per sempre in modo statico ma devono essere continuamente tutelate dal diritto e “criticamente” custodite dalla consapevolezza della ragione, il cui sonno puo’ generare mostri, riducendo la “resurrezione della Patria” a folcloristici superficialismi dei “sudditi” divenuti “consumatori” (Pierpaolo Pasolini ) ed a manicheismi che non ci immunizzano affatto dalla possibilità di ripetersi di tragedie del passato sotto forme nuove ed inaspettate della biopolitica , della tecnica omnipervasiva e di quant’altro puo’ riservare il futuro, fonte non solo di speranze progressive ma anche di angosce per l’uomo post-moderno.
*Ricercatore Università di Firenze
NOTE
1 S. Satta: De profundis, Adelphi – Milano (2019) – p. 6-7
2 Redattore del Manifesto degli intellettuali antifascisti pubblicato il 1° maggio del 1925 , sul quotidiani “Il Mondo”. Fu proposto di redigerlo da Giovanni Amendola
3 A.Capitini-Filosofia; E.Bonaiuti-Teologia; G.A.Borgese-Estetica; M.Carrara-Antropologia criminale; G.De Sanctis – Storia dell’antichità; F. Del Secolo – Lettere; C. Goretti – Filosofia del diritto; G. Errera – Chimica; G. Levi Della Vida – Orientalistica; F. Luzzatto – Diritto civile, P. Martinetti – Filosofia; B. Nigrisoli – Chirurgia; E. Presutti – Diritto amministrativo; E.Ruffini -Storia del diritto; F. Ruffini – Diritto ecclesiastico; A. Viti De Marco – Scienza delle finanze; V. Volterra – Matematica; L.Venturi – Storia dell’Arte
4 Trattasi del titolo del testo di Isaiah Berlin (Adelphi – Milano 1994), tratto dall’aforisma di Kant :”Da un legno così storto come quello da cui è fatto l’uomo non si può costruire nulla di perfettamente diritto”
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