Festa della Repubblica, la salvaguardia delle libere Istituzioni e le Forze Armate

Di Alexandre Berthier

Roma. L’approssimarsi della data del 2 Giugno ed i preparativi per la Festa della Repubblica hanno messo in luce gravi situazioni di disagio nel mondo militare che, dall’entrata in funzione del così detto Governo giallo-verde, ha dovuto registrare posizioni inconsuete e decisioni incomprensibili, quando non del tutto penalizzanti, per le Forze Armate.

I Corazzieri all’Altare della Patria

Di recente, poi, dichiarazioni incongrue dello stesso Presidente del Consiglio, gravi contrasti tra un sottosegretario e il ministro della Difesa, la decisione di dedicare equivocamente questa edizione della ricorrenza al tema dell’ ”inclusione”, le critiche da tempo rivolte ai più alti gradi militari considerati rei di percepire “pensioni d’oro” e l’annunciata assenza alla festa di quattro ex Capi di Stato Maggiore mettono in serio dubbio la possibilità di protrarre una situazione da tutti considerata al limite.

In definitiva, si denuncia una azione di progressiva delegittimazione delle Forze Armate, che si vorrebbe relegare a funzioni sempre meno militari, un depauperamento vistoso delle risorse, che ne riducono gravemente la operatività e ne pregiudicano l’ammodernamento ed il mantenimento futuro.

Eppure, sappiamo bene che uno Stato è costituito da un popolo su un territorio retto dalla sovranità, che poggia sempre sull’irrinunciabile strumento militare, che garantisce appunto l’esercizio della sovranità, sia sul piano interno che esterno.

E’ stato ed è così ovunque, per tutti i Paesi, a partire da quelli che come Israele, la Confederazione Elvetica e la Repubblica di San Marino adottano il modello della “nazione permanentemente armata”, o come l’Italia che affida il sacro dovere della difesa della Patria a tutti i cittadini (art. 54 della Costituzione), attraverso lo strumento della leva obbligatoria, ora sospesa e sostituita da militari professionisti.

Una delle donne in divisa impegnate per la sicurezza nelle nostre città

Ai nostri militari è richiesto di prestare giuramento, che li vincola per tutta la vita, non venendo mai meno lo status di militare una volta acquisito.

L’art. 2 della legge 17 luglio 1978 “Norme di principio sulla Disciplina Militare” stabilisce la relativa formula che recita: “Giuro d’essere fedele alla Repubblica Italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore a tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni“.

Una formula che si differenzia notevolmente da quella prevista dall’art. 9/II° comma del previgente Regolamento (indipendente) di Disciplina Militare promulgato con DPR 31 ottobre 1964 che recitava: ”Giuro di essere fedele alla Repubblica ed al suo Capo, di osservare lealmente le leggi e di adempiere a tutti i doveri del mio stato al solo scopo del bene della Patria”.

Quindi la formula del 1978 elimina, ovvero affievolisce, l’obbligo di fedeltà al Capo dello Stato – che resta pur sempre il Capo delle Forze Armate – ma introduce una nuova importantissima previsione che consiste nel dovere della “salvaguardia delle libere istituzioni”, dovere sul quale la dottrina non ha mai fatto approfondimenti, lasciandola quasi in un angolo morto.

Eppure essa è di facile lettura e non necessiterebbe di complesse interpretazioni. Essa attribuisce alle Forze Armate una funzione di fondamentale garanzia a fronte di gravi violazioni della Costituzione e dell’ esercizio dei diritti fondamentali – primo fra essi la sovranità popolare, che si esprime naturalmente con le elezioni – allorquando gli organi di garanzia (Parlamento, Governo, Corte Costituzionale, Presidente della Repubblica) dovessero rimanere inerti o addirittura fossero essi stessi protagonisti di violazione della Costituzione o della sovranità popolare.

In questi casi compete alle Forze Armate, ovvero al suo vertice militare, adottare i provvedimenti necessitati per ripristinare con la forza la legalità dello “Stato di diritto” non altrimenti attuabile.

Compete infatti all’autorità militare stabilire quando di fatto viene meno il rispetto delle regole democratiche e quando l’operato di uno o più organi costituzionali trascina il Paese in situazione di pericolo interno od esterno.

Al giorno d’oggi parrebbe singolare pensare che questo sia quanto prevede la legge, tanto siamo abituati e rassegnati a vedere i magistrati intervenire su tutto, ma è stato il legislatore del 1978 che ha introdotto questa previsione, svincolando i militari dal rapporto di fedeltà al Capo dello Stato.

Non possiamo dimenticare che solo un anno fa, a fronte di difficoltà e ritardi pressoché inspiegabili nella formazione del nuovo Governo, con un Capo dello Stato che per quasi tre mesi non si determinava a conferire l’incarico di formare il Governo, il capo politico del Movimento “5stelle”, seguito dal segretario del partito “Fratelli d’Italia”, dichiarò il suo intendimento di porre in stato di accusa il Presidente della Repubblica per “attentato alla Costituzione”.

Una procedura legittima e doverosa secondo chi scrive, che però essendo cosa seria venne immediatamente e italianamente fatta subito rientrare e altrettanto rapidamente dimenticata e pure perdonata, anzi fece guadagnare al primo proponente l’incarico di “vice premier” (termine ridicolo, giornalistico, non esistendo in Italia un Capo del Governo ma solo un Presidente del Consiglio dei Ministri, che è molto, ma molto meno di un premier) e ben due importanti ministeri!

L’Italia non è nuova al tentativo di mettere in stato di accusa i Capi dello Stato. Lo fece Beppe Grillo quattro anni or sono nei confronti di Napolitano, nel 1991 e nel 1992 i partiti di sinistra contro Cossiga per la vicenda della “Gladio” che ne determinò le dimissioni due mesi prima della fine del mandato, evitando così il voto del Parlamento, ed infine nel 1978 quando il PCI minacciò il Presidente Leone per lo scandalo Lockheed, ottenendone immediate dimissioni.

Il Presidente della Repubblica in una visita istituzionale

Ciò premesso, si pone un interrogativo? Qual è il momento in cui le Forze Armate possono legittimamente intervenire ed in che modo? Bene, questo non è stabilito.

La legge determina l’obbligo di intervenire per “salvaguardare le libere istituzioni democratiche” quando queste sono in pericolo o sono pregiudicate, pertanto se e quando si dovesse intervenire, l’autorità militare opererà in conseguenza e secondo emergenza.

Orbene, le tensioni registratesi, in un innaturale crescendo giornaliero, nel nostro Paese, durante la campagna elettorale e nei giorni successivi alle votazioni per il rinnovo del Parlamento europeo, hanno evidenziato situazioni di grave incertezza negli apparati di governo dello Stato, con ripetuti comportamenti irrazionali, incomprensibili, incongrui e quasi sempre inaccettabili di esponenti del Governo, del Parlamento e della Magistratura, amplificati sul piano nazionale ed internazionale da una informazione aggressiva, scandalistica ed assolutamente incontrollata, con danni gravissimi per la dignità della Repubblica e per la credibilità internazionale dello Stato.

Uno Stato sbeffeggiato spudoratamente anche da pseudo organizzazioni volontarie che con ridicoli e pretestuosi ricatti violano ripetutamente, ormai da lungo tempo, la sovranità dell’Italia, costringendoci ad accogliere masse di derelitti, che ormai invadono illegalmente il territorio nazionale, accampando diritti assoluti di ingresso e permanenza senza titolo nel Paese – assolutamente incapace, o meglio impotente, nel difendere i propri confini nazionali ed i confini esterni dell’Unione Europea di competenza – ove di fatto sono liberi di scorrazzare incontrollati ed impuniti pure se delinquono.

Una cosa è certa, ora più che in passato è diventato difficilissimo in Italia scindere ciò che sarebbe normale e ciò che pur essendo surreale viene fatto passare per normale, con una disinvoltura sciagurata e spesso criminale. Le vicissitudini economiche e finanziarie del Paese, poi, sono oggetto di contrasti e di decisioni assurde che possono portarci in qualsiasi momento al default, con conseguenze che sarebbero inaudite.

Ormai non sfugge più a nessuno il ricorso sfacciato da parte del Governo alle risorse cospicue custodite dalla Cassa Depositi e Prestiti: il forziere che dovrebbe custodire i risparmi degli italiani, sempre più vuoto da quando il Governo Renzi decise per primo di violarne la sacralità, imitato poi senza ritegno dai governi che si sono susseguiti, in particolare modo da quello attuale, palesemente inadeguato e comunque non disposto ad affrontare gli incombenti ed enormi problemi economici e finanziari.

Unico monito, a rivedere le proprie decisioni dissennate, giunge periodicamente, puntualmente inascoltato, dalla Commissione dell’Unione Europea, da organismi internazionali di settore e dal timido e più volte dileggiato Governatore della Banca d’Italia. Eppure, per renderci conto dei pericoli che corriamo – cioè del pericolo gravissimo che corrono i nostri stipendi, pensioni, conti correnti e libretti di risparmio – non abbiamo bisogno di evocare i default dell’Argentina o lo sfascio del Venezuela, che appaiono lontani, ma basta rifarci alle recenti vicissitudini della vicina Grecia, che dovremmo conoscere bene ma ai cui tragici effetti evidentemente non vogliamo pensare, limitandoci forse a fare i consueti scongiuri.

Un quadro di situazione aggravato da un Parlamento, questo Parlamento, di fatto assente, inutilizzato e evidentemente non utilizzabile, improduttivo e privo di ogni ruolo; da un Governo incapace persino di riunire il Consiglio dei Ministri, da una Magistratura che si rende protagonista di azioni talora inconcepibili – che arriva persino ad indagare un ministro dell’Interno che tenta nella sua insindacabile competenza di far applicare leggi, che vengono inesorabilmente applicate ovunque dagli altri Paesi europei – e continuamente tese a interferire con l’attività amministrativa pubblica, spesso paralizzata per anni e anni, per non parlare del ricorrente e plateale condizionamento diretto dell’attività politica.

Una seduta della Camera dei Deputati

In tutto questo, lo stesso Presidente della Repubblica, a differenza del predecessore che ha violato, anzi ignorato sistematicamente la sovranità popolare, tace, astenendosi dall’intervenire pure sui comportamenti spesso sopra le righe, quando non paradossali, di alcune procure, affiancato in ciò da un ministro della Giustizia colpevolmente lontano dalle macroscopiche disfunzioni della giustizia, che proprio in questi giorni hanno raggiunto livelli inimmaginabili ed intollerabili.

Evidentemente, la politica deve avere una coscienza molto sporca ed una lunghissima “coda di paglia” se tollera comportamenti così gravi, temerari e sempre minacciosi.

E’ facile dedurre che ormai, anzi da tempo, anche l’uomo della strada abbia chiaro il concetto che le “libere istituzioni” siano ormai qualcosa che non esiste più da tempo e allora forse fanno bene il Presidente del Consiglio e il ministro della Difesa ad invitare le Forze Armate a dedicarsi a “peace and love”!

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