Hong Kong: pugno di ferro cinese sulla libertà di manifestare. Pechino vuole sovvertire la sua autonomia

Di Pierpaolo Piras

Hong Kong. Ci risiamo. Dopo un lungo periodo di serenità, da alcuni giorni, il popolo di Hong Kong, in gran parte giovani, è tornato in piazza con la solita eroica determinazione per protestare contro il nuovo tentativo di sottomissione da parte di Pechino.

Studenti contro poliziotti ad Hong Kong

La Polizia locale è intervenuta con la consueta durezza utilizzando gas lacrimogeni, spray al peperoncino e cannoni d’acqua. Numerosi i manifestanti ricoverati in ospedale e circa 150 arrestati.

Il pretesto è stato comunicato da John Lee, già alto funzionario di Polizia, attuale Segretario della Sicurezza dal 2017, il quale ha dichiarato che il territorio di Hong Kong, circa 7 milioni di abitanti, è “avvolto dall’ombra della violenza” e dal pericolo del terrorismo.

Il filocinese Lee si rifà alla presentazione, giovedì scorso, al Parlamento comunista cinese, nella sua seduta annuale, di una legge relativa alle regole di sicurezza di Hong Kong, che vieterebbe il “tradimento, secessione, sedizione e sovversione”.

Con l’ulteriore specificazione e raccomandazione da parte di Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, di vederla approvata nei tempi più rapidi.

Secondo la Costituzione di Hong Kong, entrata in vigore nel 1997 quando è cessata la giurisdizione britannica ed è tornata quella cinese, la città ha la quasi totale responsabilità giuridica e gestionale delle problematiche inerenti a tutti gli affari interni, compresi quelli della sicurezza.

In particolare, c’è un passaggio (art. 23) di tale legge al Parlamento cinese la quale dice che Hong Kong “deve migliorare “la sicurezza nazionale” (quasi che adesso non lo facesse) e aggiunge un punto cruciale “Quando necessario, gli organi della sicurezza nazionale del Governo del Popolo centrale (ovvero Pechino) istituiranno agenzie locali per adempiere ai pertinenti doveri di salvaguardia in conformità della legge”.

Il Presidente cinese, Xi Jinping

Insomma, siamo ad una completa sovversione del dettato costituzionale autonomo di Hong Kong e la possibilità di instaurare caserme di polizia del Governo di Pechino in aggiunta a quelle della città.

La gran parte dei cittadini ha timore giustificato che questa nuova legislazione sia finalizzata a porre il bavaglio (censura) alla stampa, ai media in generale e alla libera creatività individuale.

Il suono è quello di una campana a morte per le libertà di un popolo nato e cresciuto sotto i codici della evoluta civiltà britannica.

In realtà, fin dal 2003, il Governo comunista di Pechino sta tentando la spoliazione lenta e continua di Hong Kong e del suo Stato di Diritto. In quello stesso anno sono state presentate regole giuridiche analoghe, successivamente abrogate a seguito delle violente proteste nella città.

Il Governo comunista del Paese manifesta sempre maggiore insofferenza verso le manifestazioni di milioni di persone le quali chiedono il serio rispetto verso i loro diritti civili e maggiore democrazia.

Accade invece il contrario. Non in ultimo gli oppositori attendono la composizione di una commissione d’inchiesta con la verifica ufficiale sulle violenze e abusi della polizia verso i manifestanti verificatisi negli scontri di piazza dell’anno scorso.

Carrie Lam, capo del Governo di Hong Kong, pur in imbarazzo e del tutto invisa agli abitanti, si è totalmente allineata con Pechino e afferma solo frasi di circostanza.

Carrie Lam, capo del Governo di Hong Kong

Le reazioni internazionali non hanno tardato a comparire. Mike Pompeo, Segretario di Stato americano, ha subito chiarito che qualsiasi tentativo di limitare l’autonomia di Hong Kong sarebbe incompatibile con gli interessi americani nel territorio autonomo.

Il Segretario di Stato USA, Mike Pompeo

Il leader studentesco Joshua Wong, uno dei maggiori rappresentanti dell’opposizione democratica, non desiste e comunica nuove e massicce proteste future.

 

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