Iran, Israele e la minaccia nucleare: strategia, ambiguità e confronto nell’ordine regionale mediorientale

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. Il programma nucleare iraniano e le reiterate minacce rivolte da Teheran contro Israele non rappresentano episodi isolati né semplici manifestazioni di retorica aggressiva.

Al contrario, si collocano all’interno di una strategia articolata, coerente e marcatamente asimmetrica perseguita dalla Repubblica Islamica, volta a ridefinire l’architettura di potere in Medio Oriente e a delegittimare la presenza israeliana quale attore sovrano e riconosciuto nel Levante.

La Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei

Fin dal 2002, con la rivelazione dei siti nucleari clandestini di Natanz e Arak, l’Iran ha mostrato un disegno chiaro: sfidare apertamente l’Occidente e Israele, sfruttando le leve del nucleare come strumento di pressione politica e proiezione strategica.

La firma del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) nel 2015 aveva aperto uno spiraglio per il contenimento dell’arricchimento nucleare e per una distensione nei rapporti internazionali.

Tuttavia, il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo nel 2018 ha innescato una nuova fase di escalation, rilanciando le ambizioni atomiche iraniane e acuendo le tensioni con Israele.

L’approccio iraniano al nucleare non è lineare né trasparente.

Teheran impiega una strategia di ambiguità strategica, non dissimile da quella israeliana: non afferma esplicitamente di voler acquisire l’arma atomica, ma nemmeno esclude questa possibilità. In questo modo, sfrutta le pieghe giuridiche del Trattato di Non Proliferazione e mantiene un margine negoziale utile per esercitare pressioni su attori regionali e internazionali.

Le periodiche sospensioni o rallentamenti del programma nucleare, spesso annunciate con grande enfasi ma raramente accompagnate da verifiche concrete e indipendenti, sono funzionali a logiche tattiche: ottenere allentamenti delle sanzioni, guadagnare tempo nei negoziati o disorientare l’opinione pubblica internazionale.

Parallelamente, il linguaggio politico e religioso utilizzato dai vertici iraniani – in primis dalla Guida Suprema Ali Khamenei – continua a connotarsi per l’estrema ostilità verso Israele, definito come “entità sionista da cancellare”.

La minaccia a Israele ha anche una valenza politica interna e simbolica.

Ponendosi come baluardo della causa palestinese e come leader della “resistenza” anti-occidentale, l’Iran cerca di rafforzare la propria legittimità tanto a livello domestico quanto nel mondo musulmano, in particolare nell’ambito della cosiddetta mezzaluna sciita.

Quest’area di influenza, che si estende dal Libano con Hezbollah alla Siria e all’Iraq, rappresenta un asse geostrategico di primaria importanza per la proiezione iraniana e il contenimento dell’influenza saudita e israeliana nella regione.

Molto importante dal punto di vista strategico la questione del nucleare iraniano

Le forme della minaccia iraniana a Israele sono molteplici e coordinate: attacchi cibernetici, supporto a milizie armate come Hezbollah e Hamas, e una costante retorica destabilizzante.

Tutti elementi riconducibili a una concezione moderna della guerra ibrida, in cui strumenti convenzionali e non convenzionali si fondono per erodere l’equilibrio regionale e mettere sotto pressione le democrazie occidentali.

Il pericolo più immediato e concreto non è tanto il possesso conclamato dell’arma nucleare da parte dell’Iran, quanto il conseguimento di una capacità nucleare latente, ovvero la possibilità tecnica e industriale di dotarsi dell’arma in tempi molto rapidi.

Questa “arma del ricatto” garantirebbe a Teheran un formidabile strumento di pressione politica, capace di alterare gli equilibri di potere e scoraggiare interventi esterni.

In assenza di una risposta coordinata da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e delle potenze sunnite della regione – come l’Arabia Saudita e gli Emirati – l’Iran potrebbe continuare ad avanzare in questa direzione, rafforzando il proprio status e condizionando le dinamiche diplomatiche e militari del Medio Oriente.

Il dossier iraniano non può essere letto solo attraverso la lente del non-proliferazione: esso incarna una sfida complessa e multidimensionale.

Dietro ogni centrifuga di uranio e ogni discorso incendiario, si cela una strategia più ampia, che mira a sovvertire l’ordine regionale consolidato e a costruire un nuovo equilibrio imperniato sul ruolo guida della Repubblica Islamica.

La partita, in definitiva, si gioca sul tempo: chi saprà sfruttarlo meglio, tra Teheran e i suoi avversari, ne determinerà gli esiti.

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