Israele: dopo l’operazione contro il programma nucleare iraniano il futuro va protetto

Di Cristina Di Silvio*

WASHINGTON D.C.. Ieri, Israele ha condotto un’operazione militare mirata contro il cuore del programma nucleare iraniano.

L’immagine di un attacco su Teheran

Le sortite aeree, coordinate tra unità stealth e sistemi elettronici, hanno colpito obiettivi sensibili a Fordow, Natanz e Parchin, neutralizzando anche nodi della catena di comando e controllo militare.

L’eliminazione di figure di primo piano come Hossein Salami e Mohammad Bagheri ha avuto un impatto immediato sul controllo operativo delle forze iraniane.

Il Generale iraniano Hossein Salami 

 

La risposta di Teheran, seppur massiccia in termini numerici, è stata contenuta sul piano strategico: circa 100 missili e decine di UAV sono stati lanciati verso Israele, con un tasso d’intercettazione superiore all’85% grazie ai sistemi Iron Dome, David’s Sling e Arrow 3.

Attacco iraniano su Israele

Questa dinamica segna un salto di qualità nello scontro tra Israele e Iran.

Per la prima volta, lo Stato ebraico ha esteso il teatro delle operazioni all’interno del territorio iraniano in modo diretto, adottando la linea dottrinale della cosiddetta “Octopus Doctrine”, secondo cui è necessario colpire la testa del sistema – Teheran -e non solo i suoi proxy periferici.

L’immagine dell’attacco iraniano su Tel Aviv

L’operazione evidenzia una nuova postura offensiva, calibrata per disarticolare le capacità nucleari iraniane prima che raggiungano un punto di irreversibilità.

La reazione degli Stati Uniti è stata misurata.

Washington ha preso le distanze dall’iniziativa israeliana, sottolineando di non essere stata preventivamente informata.

Tuttavia, ha riaffermato il principio della difesa legittima e avvertito Teheran che eventuali attacchi a personale o interessi statunitensi nella regione riceveranno una risposta immediata.

L’apparato militare americano ha intanto innalzato il livello di allerta: il Carrier Strike Group 10 si è posizionato nel Golfo Persico, accompagnato da unità sottomarine a propulsione nucleare, mentre il Comando Centrale (CENTCOM) ha portato il livello di prontezza al DEFCON 3 per le basi regionali.

Il Carrier Strike Group 10 si è posizionato nel Golfo Persico

Il coinvolgimento cinese e russo ha preso forma nelle ore successive all’attacco.

Pechino ha convocato d’urgenza il vice ministro iraniano degli Esteri, ribadendo la propria contrarietà all’uso della forza e rilanciando un piano in cinque punti per la stabilizzazione regionale.

Mosca ha parlato apertamente di aggressione, sostenendo che l’attacco israeliano rappresenta un rischio diretto per la sicurezza collettiva eurasiatica.

Il Presidente cinese Xi Jinping e quello russo, Vladimir Putin

In parallelo, è stato confermato l’accordo strategico trilaterale firmato a marzo tra Iran, Cina e Russia, incentrato su interoperabilità militare, sostegno tecnologico e aggiramento delle sanzioni occidentali.

L’impatto economico è stato immediato.

Il prezzo del Brent ha superato i 106 dollari al barile, con i mercati finanziari globali scossi dall’ipotesi di interruzione dei flussi nello Stretto di Hormuz, da cui transita oltre il 20% del petrolio mondiale.

Una portaerei in manovra nello stretto di Hormuz

L’OPEC si è riunita senza però produrre un piano coerente per calmierare il mercato.

La sede dell’OPEC a Vienna

L’Europa teme una nuova ondata inflattiva e rallentamenti industriali. Il sistema globale dell’energia entra così in una fase di vulnerabilità cronica.

All’interno dell’Iran, la situazione è al limite della sostenibilità.

L’economia è in stato di collasso: inflazione al 42%, disoccupazione giovanile prossima al 50%, instabilità alimentare diffusa e una classe dirigente sempre più isolata. Le proteste nelle grandi città si moltiplicano, mentre il regime intensifica le operazioni di repressione.

La pressione interna rischia di tradursi in una strategia esterna ancora più aggressiva: allargamento del conflitto su altri fronti (Iraq, Libano) o rafforzamento delle milizie alleate.

A livello strategico, si profilano tre scenari principali.

Il primo è l’escalation diretta, con il rischio concreto di coinvolgimento americano e la possibilità di un conflitto regionale aperto.

Il secondo è lo stallo armato, in cui le ostilità proseguono in modo intermittente, mantenendo alta la tensione senza sfociare in guerra conclamata.

Il terzo è una mediazione indiretta, potenzialmente promossa da attori terzi come Qatar, India o Turchia, che dispongono di canali di dialogo con tutte le parti coinvolte.

In un quadro globale già instabile, l’escalation tra Iran e Israele si innesta su una ridefinizione più ampia degli equilibri geopolitici. Il sistema internazionale si muove ormai verso una logica multipolare, in cui alleanze fluide, competizione tecnologica e instabilità localizzata si combinano per produrre scenari a geometria variabile.

L’Iran diventa così una cartina di tornasole di questo passaggio: test per la credibilità della deterrenza occidentale, banco di prova per la coesione dei blocchi revisionisti, punto critico per la tenuta del sistema energetico mondiale. Il futuro si gioca sulla capacità di prevenire una crisi fuori controllo.

Deterrenza calibrata, contenimento strategico, mediazione multilaterale.

In questo equilibrio instabile, non esiste più spazio per reazioni impulsive. Serve visione, prontezza e una capacità operativa che sappia tenere insieme potenza e responsabilità.

*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore