Iran, abbiamo l’intelligenza per conoscerne le potenzialità?

Di The Hawk

Dopo gli attentati di Tehran, l’Iran ha voluto vendicare i propri morti con il lancio di missili terra terra verso le postazioni ISIS.

Se sono stati sei o dodici missili lanciati non ha importanza il punto è che il messaggio politico-militare ha avuto il suo effetto, cioè non si tocca il suolo iraniano e non si versa impunemente il sangue persiano.

L’attacco a Tehran non ha avuto la condanna mondiale che ci si aspettava, presumibilmente qualcuno avrà pure sorriso, ma ha posto alcuni stati in condizione di debolezza, quindi la ferma risposta era prevedibile.

Poco importa se i missili, tutti o meno, abbiano raggiunto il loro obiettivi. Qualche sito israeliano, citando le loro fonti governative, ha dichiarato che 5 missili hanno mancato l’obiettivo e tre sono impattati in territorio iracheno, ma ancora non è riuscito a fornire prove di tali dichiarazioni.

Di certo sembra che l’unica evidenza sia il video di un drone iraniano che registra un impatto in un centro abitato, lasciando a molteplici valutazioni.

Ma quello che deve fare riflettere è la situazione in generale.

Il missile utilizzato sarebbe stato del tipo “Zolfaqar”, un SRBM evoluzione della famiglia “Fateh”, monostadio, a propulsione solida con doppio sistema di guida e con un payload che dovrebbe aggirarsi sui 500 chili. Presentato per la prima volta nel settembre 2016, alla cerimonia della ricorrenza della “Sacra Difesa” in Bandar Abbas, sarebbe stato accreditato come capace di trasportare testate MRV (Multiple Reentry Vehicle).

I vettori sarebbero stati lanciati dalle aree di Kermanshah e Sanandaj, aree dove insistono due grosse basi missilistiche iraniane, e dopo un volo massimo di circa 600 chilometri (alcune fonti parlano di 564 chilometri) avrebbero impattato sull’abitato di Deir al-Zor, una roccaforte dell’ISIS sede di un centro di C2 e centro logistico per i combattenti impegnati in prima linea.

Quindi i vettori sarebbero giunti sull’obiettivo ad una distanza vicina alla gittata massima, in condizioni di maggior CEP, accreditato dai 70 ai 200 metri. Forse, utilizzando un altro tipo di vettore si avrebbe avuto un payload maggiore ed un CEP minore, ma sono valutazioni che il Comando Strategico Missilistico della IRGC avrà sicuramente fatto.

Inoltre, per poter effettuare il lancio, Tehran, attraverso i canali russi, ha informato con poco anticipo il Comando della Coalizione costringendolo a far spostare i velivoli presenti nell’area del sorvolo e ponendo in sicurezza le truppe a terra.

L’atto ha voluto dimostrare la determinazione della leadership persiana con il supporto incondizionato di tutto il popolo iraniano e che ha ulteriormente consolidato l’orgoglio nazionale.

Ora, un certo Tillerson, avrebbe dichiarato che gli USA stanno lavorando per un cambio di regime in Tehran. A questa affermazione si pongono naturalmente due quesiti, perché e come.

Perché? Perché l’Iran finanzia il terrorismo? E come?

Analizziamo gli stati principalmente coinvolti:

  • Nello Yemen, vi è uno scontro tra sunniti e sciiti con Al Qaeda e ISIS che si stanno consolidando su una parte del territorio. I cattivi sarebbero gli sciiti, ragion per cui l’Arabia Saudita ha inviato ingenti forze a nord del Paese per contrastare i ribelli. Solo che le forze saudite stanno avendo ingenti perdite contro i pecorari sciiti, al punto da richiedere aiuto agli USA che hanno numerose forze speciali e droni in Gibuti al di la dello stretto di Bab al-Mandab. L’Arabia ha messo in campo equipaggiamenti modernissimi, di natura USA, contro il blocco degli houti-saleh, ma non si è dimostrato sufficiente senza una adeguata preparazione per una tipologia di combattimento in zone impervie (a Napoli direbbero “a pucc…. in mano a’ creature”). Quindi è stata sbandierata la scusante degli aiuti iraniani per nascondere le lacune arabe.
  • Qatar e Bahrein, le minoranze sciite sono state represse dalle forze di sicurezza in più occasioni, ed anche qui è stato ipotizzato l’appoggio iraniano per un cambio di Governo in questi due Paesi, senza contare che invece il potere è in mano solo a poche famiglie che gestiscono il Paese a loro completo piacimento.
  • Iraq, la maggioranza sciita è quella che sta aiutando il Governo a vincere contro DAESH ed Al Qaeda nelle sue varie forme e nuove denominazioni. I sunniti sono i responsabili della crisi del Paese, dopo il deposto partito Bath non hanno più avuto ruolo attivo nel Paese ed in massa si sono schierati con le correnti dell’ISIS e AQ. Anche componenti militari importanti, sempre sunnite, hanno migrato ricoprendo ruoli di rilievo nella compagine terroristica. Basti pensare che la struttura dell’ISIS sarebbe stata ideata da due colonnelli dell’Intelligence, uno dell’Esercito iracheno ed uno dell’Aeronautica irachena. Senza l’aiuto sciita le forze regolari e speciali irachene di religione sunnita ben poco avrebbero potuto fare. Lo si è visto nella battaglia di Falluja, ove, dopo un alterco tra forze della coalizione e forze sciite, la battaglia si è potuta riprendere grazie al ritorno e all’aiuto di quest’ultime.
  • Siria, l’Iran ha sostenuto il Governo di Bashar al-Assad per un accordo siglato in passato. Vi è sempre stata una intesa tra le parti dopo il legame della religione alawita e quella sciita (Libano 1974). Il governo di Assad deve ancora la sua esistenza dall’incondizionato appoggio iraniano e ovviamente da quello russo. Numerosi i pasdaran che militano tra le file delle forze armate siriane e che combattono con loro. Numerosi sono i funerali di Ufficiali IRGC che si svolgono in Iran che dimostrano l’impegno persiano per la causa siriana. La figura più nota è il generale Solemaini, che ha la direzione ed il controllo su tutte le operazioni contro l’ISIS e AQ sia in Iraq che in Siria. In sintesi, anche qui più che terroristi gli iraniani sembrano gli attori principali nella lotta al terrorismo. Da stabilire quindi cos’è il terrorismo e mettere sul piatto della bilancia chi sono i buoni e chi i cattivi.

E come intenderebbe cambiare il regime in Tehran?

Con la forza? Impossibile, sarebbe un’ecatombe. Nessun Esercito può entrare in un Paese senza l’appoggio della popolazione locale e gli USA ed eventuale coalizione araba qui non lo hanno di certo. Quindi un uso di armi contro l’Iran sarebbe un disastro mondiale.

Con la destabilizzazione interna? Altra soluzione impossibile, significa non conoscere l’animo ed il senso di patria dei persiani. Possono non essere d’accordo con le decisioni del regime, possono non essere legati al presidente, ma il Leader religioso non si tocca, come è pure inviolabile il diritto dato dalla rivoluzione. Lo stile di vita raggiunto porta il popolo persiano a migliorare, a raggiungere nuovi traguardi, non a distruggere tutto e ricominciare daccapo. Questa è la chiave che gli occidentali non vogliono capire. Analizzare tale concetto per capire cosa poter fare e dove poter agire.

Con le sanzioni? Le hanno avute per oltre trent’anni ed hanno avuto minimi impatti, le principali criticità sono state sulla salute pubblica con le restrizioni sulle importazioni delle medicine e dei trattamenti chemio. Ed in tale periodo di sanzioni le industrie si sono sviluppate lo stesso, il mercato è fiorito e la tecnologia è avanzata ad altissimi livelli, vedasi il lancio di vettori per la messa in orbita di satelliti. Quindi ripristinare le sanzioni non sortirebbe alcun effetto immediato.

Insomma, difficile pensare ad una destabilizzazione o ad una “transizione pacifica” dell’Iran, avendo anche poche idee e ben confuse. Meglio considerare a gestire il ruolo degli USA nel Medio Oriente, curare i rapporti con i paesi arabi e indirizzarli in decisioni che possano avere un disegno costruttivo comune.

Per poter ideare e attuare piani con questi popoli bisogna conoscerli, e bene, e forse ancora non basta. Spesso in Occidente si sottovaluta il Medio Oriente perché lo si considera inferiore, ma spesso la scarsità di cultura genera errori irreversibili.

Viene in mente quella candidata alle presidenziali USA nel 2012 in cui un punto del programma era la chiusura dell’ambasciata USA a Tehran, forse se studiava di più avrebbe saputo che l’ambasciata fu occupata nel 1980 e mai più riaperta (ora è un centro di cultura pasdaran con un museo denominato “nido di spie”). E voleva fare il Presidente degli USA!

In sintesi, la partita che presumibilmente Tillerson vorrebbe fare con Tehran nasce nei peggiori auspici. I recenti contratti in armamenti stipulati con l’Arabia Saudita devono avere un fine, devono essere giustificati, ecco perché il diavolo Iran ha una ragione di esistere. Però Sun Tzu, duemila anni fa diceva “se non puoi sconfiggere il nemico, fattelo amico”.

Ora se si vuole in qualche modo entrare nel mondo persiano per poter influenzare le scelte, forse sarebbe il caso di conglobarlo nella sfera personale e successivamente farlo dipendere così da poterlo controllare. Lo si deve vedere come in Europa, ove gli Stati cominciano ad essere legati da un filo invisibile e le decisioni per uno Stato interferiscono sugli altri, quindi esiste una interdipendenza tale da influire su ogni tipo di scelta.

Ma è un gioco intelligente e lungo, e questi due fattori difficili da trovare in questo momento.

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