Di Cristina Di Silvio*
TEL AVIV. Cinque Paesi occidentali – Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Norvegia – hanno annunciato sanzioni individuali contro due ministri del Governo israeliano: Itamar Ben-Gvir, responsabile della Sicurezza nazionale, e Bezalel Smotrich, titolare delle Finanze.

Il ministro israeliano Itamar Ben-Gvir, responsabile della Sicurezza nazionale
Il provvedimento, motivato dall’accusa di istigazione e supporto alla violenza dei coloni nei Territori Occupati, ha previsto il congelamento dei beni sotto giurisdizione estera e il divieto di ingresso nei Paesi firmatari.

Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano
La reazione di Tel Aviv è stata immediata, con il Governo che ha definito la misura “scandalosa”.
Ma il segnale più strategicamente rilevante è arrivato da Washington: il Dipartimento di Stato ha criticato apertamente la decisione, definendola “unilaterale e potenzialmente destabilizzante”.
Questo episodio rappresenta un passaggio delicato per l’intera architettura di sicurezza dell’Occidente.
Il blocco che ha agito è composto da Stati pienamente integrati nei circuiti di intelligence e sicurezza anglofoni (Five Eyes, con l’eccezione della Norvegia), che cooperano strettamente anche con Israele in ambiti quali sorveglianza ISR, cyber-intelligence e contrasto al terrorismo asimmetrico.
L’adozione di misure restrittive personali contro membri in carica di un Governo considerato alleato, e in particolare di un partner strategico in Medio Oriente, segna un cambiamento nel paradigma operativo occidentale: la “tolleranza funzionale” verso attori considerati illiberali ma utili sembra entrare in crisi.
Per gli apparati militari israeliani, la sanzione ha effetti indiretti ma non trascurabili.
Ben-Gvir controlla l’apparato di polizia e le unità paramilitari operative nei territori.
Smotrich ha canalizzato fondi pubblici verso insediamenti e progetti di colonizzazione considerati illegali dal diritto internazionale.
La loro esclusione da circuiti internazionali può ridurre l’agibilità politica interna e rallentare operazioni coordinate in ambito multinazionale.
Inoltre, se questa prassi dovesse essere adottata anche da Bruxelles o da altri attori multilaterali, potrebbe innescare una marginalizzazione funzionale del Governo israeliano negli ambiti critici della sicurezza integrata.
Le sanzioni rischiano di compromettere la cooperazione ISR e cyber nei Teatri Levante-Sahel, rallentando l’interscambio operativo tra Israele e partner NATO, soprattutto in scenari asimmetrici e di guerra ibrida. Il governo statunitense ha manifestato un’irritazione evidente.
Dietro una retorica diplomatica, il Pentagono e il National Security Council temono un indebolimento della postura occidentale complessiva in Medio Oriente.

La sede del Pentagono
Gli USA restano l’unico garante pienamente operativo della sicurezza israeliana, e ogni segnale che suggerisca una frattura interna al campo occidentale viene percepito come un’opportunità per attori revisionisti:
Teheran in primis, ma anche Mosca e Pechino, che osservano la crisi con attenzione.
In particolare, Washington teme che le misure “etiche” adottate da partner minori si traducano in vincoli operativi su Israele, compromettendo l’elasticità strategica necessaria per contenere minacce a geometria variabile come Hezbollah, le milizie sciite irachene o l’espansione iraniana via proxy.
Il Regno Unito, pur consapevole di queste implicazioni, ha optato per un’iniziativa autonoma in risposta al deterioramento della situazione nei territori.
A pesare sono stati sia fattori interni – la crescente pressione di settori politici e dell’opinione pubblica contraria all’impunità dei coloni – sia il mutato contesto normativo internazionale, che dal post-Gaza in avanti ha prodotto un aumento della documentazione ufficiale su abusi e crimini.
Le sanzioni si configurano così come un’azione a basso impatto militare immediato, ma ad alto valore simbolico, destinata a riorientare la narrazione occidentale in chiave di responsabilità individuale anche all’interno di governi amici. L’iniziativa non è priva di rischi.
L’approccio che “separa” Israele dai suoi ministri radicali mira a preservare la cooperazione militare generale senza apparire complice degli abusi documentati.
Tuttavia, dal punto di vista israeliano, colpire membri del gabinetto significa ledere la sovranità decisionale e compromettere la fiducia politica.
Non è da escludere una reazione a catena: riduzione della cooperazione bilaterale, blocco temporaneo di flussi informativi, rallentamento di programmi congiunti nel campo della difesa elettronica e dell’intelligenza artificiale militare.
L’isolamento di figure-chiave israeliane crea frizioni nei circuiti SIGINT e HUMINT Five Eyes-Israele, riducendo l’efficacia del flusso informativo in scenari critici come Siria, Libano e Red Sea Corridor.
Inoltre, la decisione anglofona mostra la crescente diffusione del modello sanzionatorio applicato a Russia e Iran: personalizzazione della responsabilità, strumenti giuridici transnazionali, uso selettivo di misure economiche mirate. Questo shift dottrinale, una volta innescato, è difficilmente reversibile.
Israele rischia di trovarsi nella stessa zona grigia di Paesi formalmente partner, ma soggetti a una condizionalità operativa sempre più rigida.
A livello tecnico-operativo, si aprono scenari di interferenza nei protocolli NATO-Israele, nelle attività di cooperazione con i consorzi industriali occidentali (soprattutto nei settori UAV, cyber warfare e EW), e nella condivisione dei risultati di ricerca militare avanzata.
Se l’UE dovesse seguire, anche parzialmente, la linea di Londra, ciò potrebbe incidere sulle licenze dual use, sui flussi di tecnologia e sulle joint venture in ambito defense tech. In questo contesto, la marginalizzazione dei due ministri, apparentemente tattica, può evolvere in un effetto sistemico di disaccoppiamento selettivo, con implicazioni dirette su deterrenza, interoperabilità e architettura di sicurezza integrata.
Nel medio termine, le sanzioni contro Ben-Gvir e Smotrich pongono una questione centrale: l’Occidente è disposto a sacrificare la coerenza normativa per preservare l’efficacia militare, o viceversa? L’episodio attuale non fornisce una risposta definitiva, ma ne definisce i contorni.
In un sistema multipolare caratterizzato da disallineamento interno, la gestione delle alleanze non può più prescindere dalla valutazione politica della legittimità degli attori. E in questo quadro, la sicurezza collettiva si trova a dover operare entro confini sempre più stretti, compressa tra imperativi strategici e vincoli normativi emergenti.
*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)
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