La NATO nel Mar Nero, il ruolo della Romania e di altri Paesi dell’Est Europa per la difesa del fianco orientale

Di Annalisa Triggiano*

Bruxelles. L’atteggiamento assunto dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump durante l’ultimo summit NATO  Bruxelles dell’11 e 12 luglio scorso ha gettato alcune ombre su questo evento.

Il Presidente Usa, Donald Trump al vertice NATO di Bruxelles

Le esternazioni e le azioni intraprese da Trump subito dopo la conclusione del vertice, compreso l’incontro con il Presidente russo Vladimir Putin, hanno continuato ad interessare, in senso non sempre positivo, sia l’utilità della NATO sia la compattezza dell’Unione Europea.

Il “personaggio” Trump, gli scenari da lui prefigurati e le sue affermazioni personali hanno dato molta materia da scrivere agli analisti, distogliendo tuttavia l’attenzione dai reali, e concreti risultati raggiunti del summit di Bruxelles.
L’agenda del Vertice e soprattutto le determinazioni assunte hanno chiaramente identificato nella Russia la principale fonte di sfide, e di minaccia, per l’Alleanza. O, almeno, per una parte di essa. Il bilancio del summit è un misto di significative conquiste e affari irrisolti del passato, particolarmente nella Regione del Mar Nero e nei confini Est dell’area NATO.
E le considerazioni che seguono spiegheranno perché le determinazioni assunte nel vertice rischiano di essere improduttive per la NATO nella Regione del Mar Nero.
L’incontro di Bruxelles ha significato uno scarso passo avanti rispetto alle decisioni assunte a Varsavia nel 2016, quanto meno in termini di presenza NATO nella zona e (almeno agli occhi del pubblico) non ha mostrato nessuna novità significativa negli approcci strategici tesi a garantire la sicurezza della regione del Mar Nero.

I rappresentanti di tutti i Paesi partecipanti al Summit NATO

La stessa Romania, nazione notoriamente protagonista delle strategie nella zona e molto attiva diplomaticamente, non avrebbe, da sola, potuto far di più durante il vertice, ottenendo, come la stampa romena e gli analisti hanno evidenziato, molto meno di quanto atteso.
Gli staff appartenenti alla NATO avevano preparato documenti strategici sulla situazione della sicurezza marittima del Baltico e del Mar Nero, così come del Nord Atlantico, e del Mediterraneo, ad uso dei leader politici destinati a incontrarsi in Belgio.

Il comunicato finale del summit fa menzione di questi documenti strategici ma non si specifica come siano stati utilizzati dai leader e nemmeno se sia stata approvata qualche azione politica sulla base degli stessi. Nello specifico, a proposito del Mar Nero il comunicato afferma laconicamente che per un “substantial increase in NATO’s presence and maritime activity […] further work is required” (1).
Il summit ha lasciato invariata la distinzione – rispetto alla presenza delle Forze terrestri alleate a collocate a rotazione negli Stati frontalieri della zona – tra “enhanced forward presence”, destinata agli Stati Baltici e alla Polonia, da un lato, e la “tailored forward presence” che riguarda il Mar Nero.
Naturalmente, il primo tipo di stanziamento strategico è di gran lunga più solido e significativo rispetto a quello collocato nella regione del Mar Nero, e prevalentemente in Romania, in termini di:
1) numero di forze multinazionali e Paesi contribuenti
2) equipaggiamento, addestramento e readiness
3) dimensione e frequenza delle esercitazioni

Il comunicato ufficiale del Summit è di significativo aiuto per cogliere alcune differenze. Le Forze alleate dispiegate in Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania sono “combat-ready, battalion-sized battlegroups, able to operate alongside national home defense forces”, contando più di 4.500 uomini “from across the Alliance”, laddove nella regione del Mar Nero (Romania), “a multinational framework brigade for training Allies’ land forces is now in place, and work is underway to further develop the brigade’s capacity” (2) .

Mentre gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e la Germania assumono il ruolo di Nazioni-guida in Polonia e nella regione del Baltico, la Romania stessa, nella Regione del Mar Nero, assume lo stesso ruolo.

E mentre il quartier generale in Romania dispone di uno staff multinazionale formato da altri Paesi NATO, le truppe materialmente in campo sono esclusivamente formate da romeni.

Soldati rumeni

La situazione disomogenea così descritta risale al summit di Varsavia del 2016. In quella occasione sono state approvate sia la presenza NATO “enhanced” per la Regione Baltica e per la Polonia, sia la “tailored” per il Mar Nero. Un approccio del genere, differenziato, da parte dell’Alleanza atlantica, avrebbe forse presupposto l’idea che il livello di minaccia sovietica fosse più pericoloso e persistente nella prima zona, rispetto alla seconda. Ma non è stato così.
Mentre la Russia non confina direttamente, via terra, con gli Stati membri NATO che si affacciano sul mar Nero (ma è confinante rispetto al mare) la Crimea adesso costituisce un’avanguardia proiettata verso la zona, terreno ideale per le eventuali dimostrazioni di forza della Russia.
Ma va detto che anche prima dell’annessione della Crimea la Russia aveva eletto la zona del Mar Nero a territorio privilegiato per interventi militari, minacce alla sicurezza energetica di diversi Stati e per testare e perfezionare sistemi di guerra ‘ibrida’ . Senza dubbio – e come molti analisti sostengono da tempo – la zona del Mar Nero è il “soft belly” del fianco Est dell’Alleanza.
Senza dubbio l’approccio “tailored” non risponde affatto, o almeno non più, agli attuali livelli di minacce che interessano la regione. Ma risponde a quelle che sono le percezioni di minaccia espresse da alcuni Stati membri NATO della zona, come la Bulgaria e la Turchia. Per differenti ragioni politiche ed economiche, ciascuno di questi due Paesi è piuttosto renitente ad ammettere chiaramente la gravita della situazione della regione del Mar Nero, così come ciascuno dei due è riluttante a considerare l’esistenza di minacce dirette a proprio carico, dal momento che la Russia potrebbe porsi come obiettivo dichiarato stati non appartenenti alla NATO, come la Georgia e l’Ucraina, piuttosto vicine.

Le relazioni strategiche tra Russia e Turchia, inoltre, sono ultimamente salde e indiscusse, come dimostrato anche dall’appena concluso summit di Sochi sulla Siria. Nondimeno, a dicembre 2017 la Turchia ha ufficialmente firmato un contratto da oltre 2,5 miliardi di dollari per l’acquisto del sistema missilistico aereo a lungo raggio S400 che Mosca ha già iniziato a sviluppare.
Di conseguenza, sul piano diplomatico e politico, Bulgaria e Turchia hanno ben poco interesse a sostenere la pur legittima richiesta romena di una presenza più forte della NATO nella zona.

Insomma i tre Stati dell’Alleanza atlantica confinanti con il Mar Nero hanno evidenziato discrasie nella percezione delle minacce e una diplomazia assai poco coordinata e ancor meno propensa ad esporsi con uniformità di vedute. A ciò fa da contraltare, viceversa, il fronte del Baltico che, con la Polonia in testa, ha offerto posizioni assai più allineate in tema di threat perception, mostrando una buona solidità nelle relazioni diplomatiche.
Ed è chiaro che, da un punto di vista degli equilibri complessivi dell’Alleanza, anche per come vengono percepiti all’esterno ed agli occhi degli Stati leader della NATO, è più produttivo considerare proposte avanzate da gruppi di Stati ‘omogenei’ come quelli del Baltico, rispetto al “Black Sea Trio”, per usare le parole della stampa statunitense, dove un unico Stato si mostra proattivo, a dispetto, se non in contrasto, con gli altri due.
Sul piano diplomatico, infatti, la sola Romania ha ultimamente sostenuto – ufficialmente – la necessità di un approccio regionale e integrato, sul modello della cosiddetta Bucharest Nine – per la protezione del fianco Est della NATO (3).
Rinforzare il Quartier generale terrestre, facendovi rientrare anche unità da combattimento a pronto intervento sotto il controllo delle Forze NATO alternate potrebbe essere una soluzione per iniziare a rinforzare il “soft belly” dell’Alleanza. Ferma è la volontà di dialogare con gli USA. Ma tutto questo, agli occhi del Presidente Trump, è passato in secondo piano.
Ed il summit di Bruxelles si è limitato a una “presa d’ atto” della disponibilità della Romania a sviluppare simili capacità difensive sul proprio territorio, come parte della NATO Force Structure4. Sul piano logistico e strategico, inoltre, Bucarest si è resa disponibile ad ampliare e modernizzare la Base Aerea MK, attualmente adoperata dagli Stati Uniti, per assicurare una maggior presenza statunitense sul proprio territorio.

Ancora, la Romania intende schierare più truppe in Afghanistan, passando da un contingente di 770 unità fino ad oltre 950 (5).

Truppe rumene in Afghanistan

Notevole è anche lo sforzo di destinare il 2% del PIL alle spese di Difesa NATO. Ma queste pur volenterose proposte potranno essere prese in considerazione non prima della ministeriale Difesa NATO, che precederà il Summit del 2019.

1 https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_156624.htm. 11 luglio, §§ 18 e 25

2 Ibidem.

3 https://jamestown.org/program/romania-at-the-brussels-summit-a-less-than-expected-result/

4 Ibidem, § 29.

5 http://www.romania-actualitati.ro/concluzii-ale-summitului-nato-117460

*Assegnista di Ricerca Università degli Studi di Salerno, ex Ricercatrice CEMISS

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