Di Christine Aura*
Beirut. Ad oltre 20 giorni dalla tragedia che ha colpito Beirut, le vittime accertate sono 181 (sabato scorso si sono svolti i funerali del 15enne Elias al-Khoury).
Trentotto sono i dispersi e 7 mila feriti tra cui 2 mila tra infermieri e medici.
Ad’oggi, una trentina di cliniche e ospedali risultano parzialmente operativi, a parte l’Hôpital Saint Georges che ha dovuto chiudere i battenti.
Inoltre, le conseguenze della doppia esplosione, le manifestazioni antigovernative che si sono moltiplicate dopo la tragedia e la mancanza del personale medico e delle strutture sanitarie ed ospedaliere che sono state gravemente danneggiate, hanno velocizzato la diffusione del Covid-19.
In effetti, nella fretta di salvare più vittime, di cercare i propri cari tra le macerie e di prestare aiuti umanitari sin da subito, sono state trascurate le procedure per il contenimento dell coronavirus da parte dei cittadini e alla tragedia principale si è aggiunta l’emergenza sanitaria che ha costretto il governo dimesso ad imporre un lock down di due settimane.
Attualmente, le ONG nazionali e internazionali presenti nella zona colpita lavorano solo fino alle 18.00 con l’obbligo di indossare la mascherina, dispositivo che già scarseggiava prima della doppia esplosione avvenuta a Beirut.
In un articolo precedente si è parlato delle ONG non governative e non profit che sono accorse verso la capitale libanese tra cui, Croix Rouge Libanaise, Caritas Liban, Arc en ciel, Médecins du Monde, Offre joie e World Central Kitchen e altre.
Chi sono i sostenitori delle ONG libanesi e internazionali attualmente?
AIUTI E SOSTEGNO A CHI OFFRE AIUTO
La diaspora libanese non si è fatta aspettare per fornire il proprio contributo economico alle ONG nazionali ma anche alle associazioni che si occupano della ricostruzione della capitale.
I libanesi nel mondo si sono subito mobilitati e insieme alle ambasciate e i consolati sparsi nei Paesi di residenza, gli aerei carichi di aiuti e di personale sono arrivati a Beirut nel giro di poche ore: dal Canada dove la comunità libanese conta circa 200 mila individui, dall’Australia e dalla Francia dove vivono rispettivamente circa 270 mila e 250 mila libanesi, e dai Paesi del Golfo e dell’Arabia Saudita dove lavorano circa 500 mila libanesi.
Molti aiuti sono anche giunti dal Brasile e dall’Argentina dove si contano circa dieci milioni di cittadini di origini libanesi. E in Italia?
Dopo che ho parlato a lungo con il Console Onorario libanese di Firenze, Charbel Chbeir, e il Procuratore Generale dell’Ordine Antoniano Maronita presso la Santa Sede Superiore del Collegio di San Isaia, Padre Maged Maroun, ho notato due fattori molto interessanti e sorprendenti.
In primis, la comunità libanese in Italia conta circa 2 mila famiglie (intorno a 4 mila persone) sparse su tutto il territorio italiano, una minoranza assoluta tra le comunità straniere nello Stivale.
Questa realtà ha reso difficile l’organizzazione di incontri tra le varie famiglie libanesi al fine di stabilire dei canali legali per fornire aiuti al Libano.
Va detto che molte famiglie libanesi non si conoscono e non hanno contatto tra di loro in Italia.
Per di più, molti ignorano le associazioni libanesi sulle quali potrebbero fare affidamento per spedire degli aiuti di qualsiasi tipo.
Il secondo fattore che risulta ancora più interessante è stata la reazione e la compassione dei cittadini italiani nei confronti della tragedia libanese.
Sempre secondo il Console Onorario libanese, Charbel Chbeir, e Padre Maged Maroun, sono stati proprio i singoli cittadini italiani, prima ancora dei libanesi che vivono in Italia, a chiamare l’ambasciata, il consolato e il Monastero Antoniano Maronita per fornire assistenza alla popolazione libanese.
Inoltre, anche alcuni esponenti politici li hanno contattati per mettere in marcia la macchina di aiuti destinati alle ONG nazionali libanesi e ai Vigili del Fuoco di Beirut.
In effetti, a breve salperà dall’Italia una nave carica di 13 tonnellate di generi alimentari da distribuire sulle ONG e mezzi, divise, pick-up ed equipaggiamento da incendio destinati alle strutture, uffici e personale dei Vigili del Fuoco, soprattutto alla squadra che ha perso dieci dei suoi uomini e donne nell’incendio scoppiato dopo la prima esplosione.
Altre iniziative sono state prese attraverso le parrocchie dove operano missionari libanesi.
Un sostegno non indifferente stanno fornendo le Monache Agostiniane del Monastero Sant’Antonio di Padova in Pennabili (Rimini), tra cui Suor M. Abir Hanna che è di origini libanesi e che sì è dedicata a costruire un “Ponte di sostegno” tra l’Italia e il Libano.
Un ulteriore contributo prezioso e silenzioso lo sta fornendo la piccola comunità italiana che vive in Libano.
Attualmente, sono circa 4 mila italiani di origini libanesi e non che vivono nella Terra dei Cedri e come i libanesi che vivono in Italia, ambedue le comunità sono perfettamente integrate e in ottimi rapporti con la popolazione locale perciò, iniziative personali e spontanee sono nate sul posto per dare una nuova speranza ai libanesi più colpiti da questa terribile tragedia.
Tra il Libano e l’Italia esiste una fitta rete di scambi commerciali e i legami socioculturali sono vecchi e forti.
In realtà, la popolazione libanese predilige i rapporti con l’Italia piuttosto che con altri Paesi europei.
È vero che l’influenza francese è ancora onnipresente nella Terra dei Cedri ma ciò è dovuto al passato di protettorato della Francia in Libano.
La popolazione libanese nutre invece molto interesse alla cultura, l’arte, l’architettura, la musica, e la lingua italiana che risulta essere la quarta lingua studiata nel Paese.
Difficilmente la popolazione libanese riuscirà a riprendersi dai traumi fisici e psicologici provocati dalla tragedia avvenuta il 4 agosto; alcuni sopravvissuti hanno dichiarato di aver visto tutti i 15 anni di guerra civile scorrere davanti ai loro occhi in pochi secondi.
L’Italia potrebbe sfruttare tutti i campi per poter dare sostegno morale, economico, ma soprattutto nel campo della ricostruzione della capitale che è diventata un cantiere gigantesco nelle mani di imprese internazionali esperte di costruzione.
È giunto il momento di rafforzare ancora di più i vecchi ottimi rapporti esistenti tra due nazioni mediterranee che hanno molto da condividere.
*Libanese, docente universitaria presso le Università di Urbino e di Bologna
© RIPRODUZIONE RISERVATA