Di Giuseppe Gagliano*
DAMASCO. Nella Siria che tenta di rialzarsi dalle macerie di una guerra civile durata 14 anni, un nome emerge dal silenzio delle stanze del potere: Ahmed al-Dalati.
Non è un politico da riflettori, né un leader carismatico che arringa le folle.

È uno stratega, un uomo delle retrovie, un negoziatore che opera nell’ombra, tessendo fili invisibili tra Damasco e il mondo.
La sua ascesa, fulminea e discreta, è il simbolo di una Siria post-rivoluzionaria che cerca di ricostruirsi, non solo con mattoni e cemento, ma con un intricato gioco diplomatico che potrebbe ridefinire gli equilibri del Medio Oriente.
Il 15 maggio scorso, Piazza degli Omayyadi a Damasco si riempie di una folla esultante.
Il Presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, l’ex Abu Muhammad al-Jolani, leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ha appena annunciato la revoca delle sanzioni statunitensi, un passo storico che promette di alleviare il peso di un’economia strangolata da anni di isolamento internazionale.
La gente festeggia, i fuochi d’artificio illuminano il cielo sopra la capitale. Ma dietro le quinte, lontano dai clamori, c’è Ahmed al-Dalati, l’uomo che, secondo fonti ben informate, ha avuto un ruolo cruciale nel preparare il terreno per questo risultato.
Un passato controverso, un presente indispensabile
Chi è Ahmed al-Dalati? La sua storia è quella di un uomo che ha attraversato le tempeste della guerra siriana, passando da avversario a stretto alleato del nuovo Presidente.

Ex figura di spicco in ambienti ribelli, la sua trasformazione in governatore e ora in eminenza grigia della diplomazia siriana è un capolavoro di pragmatismo.
Al-Sharaa, che ha dismesso il nome di battaglia al-Jolani per presentarsi come leader di una Siria inclusiva, ha scelto al-Dalati per la sua capacità di navigare tra le fazioni, di parlare con tutti – dagli sceicchi del Golfo ai diplomatici occidentali – senza mai perdere di vista l’obiettivo: ricostruire una Siria sovrana, ma aperta al mondo.
La revoca delle sanzioni, annunciata da Donald Trump il 13 maggio durante il suo viaggio a Riyadh, non è stata un fulmine a ciel sereno.

È il frutto di mesi di trattative segrete, in cui al-Dalati ha avuto un ruolo di primo piano.
Fonti vicine al Governo siriano parlano di incontri riservati a Doha, Ankara e persino Amman, dove al-Dalati avrebbe tessuto una rete di contatti con rappresentanti di Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia.
Il suo approccio, dicono, è quello di un giocatore di scacchi: ogni mossa è calcolata, ogni parola misurata. La sua abilità sta nel presentarsi come un interlocutore credibile, capace di rassicurare i partner internazionali senza cedere terreno sulle priorità di Damasco.
La Siria al bivio: tra speranza e sospetto
La manifestazione di Piazza degli Omayyadi, immortalata dalle foto di Rami Alsayed, è un’immagine potente: una folla che crede in un futuro possibile, dopo anni di sofferenza.
Ma dietro l’entusiasmo si nascondono interrogativi.
La revoca delle sanzioni, salutata come un “passo positivo” dal Ministero degli Esteri siriano, apre la porta a investimenti stranieri e alla ricostruzione di un’economia devastata.
Tuttavia, come sottolinea Antea Enna, studiosa del Levante, “la guerra civile è davvero finita? O siamo di fronte a un nuovo capitolo di un conflitto ridisegnato da interessi esterni?”.
Al-Dalati, in questo contesto, è una figura ambivalente.
Per alcuni, è l’architetto di una nuova Siria, capace di dialogare con potenze regionali come l’Arabia Saudita, che ha spinto per la rimozione delle sanzioni, e con la Turchia, che vede in Damasco un alleato strategico contro le milizie curde.
Per altri, è un opportunista che cavalca l’onda del potere, un ex ribelle che ha saputo reinventarsi per sedere al tavolo dei vincitori.
Le critiche non mancano: il Syrian Network for Human Rights ha denunciato violazioni contro le minoranze alawite, e le promesse di un governo inclusivo di al-Sharaa sono ancora lontane dall’essere mantenute.
Il gioco diplomatico e i rischi di una pace fragile
La diplomazia segreta di al-Dalati si muove su un terreno minato.
La Siria di oggi è un mosaico di tensioni: gli attacchi israeliani, che continuano a destabilizzare il Paese, le minacce dell’ISIS, che ha rivendicato un attentato a Sweida, e le divisioni interne, con le Forze Democratiche Siriane (SDF) curde che resistono all’integrazione nell’Esercito regolare.

A questo si aggiunge la competizione tra potenze esterne: la Turchia, che sostiene Damasco ma guarda con sospetto ai curdi.
L’Arabia Saudita, che cerca un ruolo di primo piano nella ricostruzione; e gli Stati Uniti, che, pur aprendo al dialogo, mantengono un approccio cauto, come dichiarato dal segretario di Stato Marco Rubio.
In questo intricato scacchiere, al-Dalati si muove con la prudenza di chi sa che ogni passo falso può costare caro.
La sua missione più delicata, secondo indiscrezioni, è quella di garantire che la Siria non diventi un nuovo campo di battaglia per le ambizioni altrui.
L’incontro tra Trump e al-Sharaa a Riyadh, il 14 maggio, è stato un successo diplomatico, ma anche un monito: Israele, che si opponeva alla revoca delle sanzioni, guarda con sospetto al riavvicinamento tra Washington e Damasco.
E mentre l’Europa, con l’Italia in prima linea grazie alla sua ambasciata attiva a Damasco, cerca di costruire un ponte diplomatico, il rischio di una nuova instabilità resta alto.
Una Siria nuova, ma a che prezzo?
Ahmed al-Dalati non è un eroe romantico, né un villain da romanzo.
È un uomo del suo tempo, plasmato da una guerra che ha spezzato certezze e confini.
La sua abilità nel negoziare con ex nemici, nel trasformare vecchi avversari in partner, è ciò che lo rende indispensabile per al-Sharaa.
Ma la Siria che sta aiutando a costruire sarà davvero quella promessa nelle piazze di Damasco? O sarà un Paese ostaggio di nuovi compromessi, dove la pace è solo una tregua tra conflitti?
Mentre la folla si disperde e le luci dei fuochi d’artificio si spengono, una cosa è certa: il futuro della Siria passa per le mani di uomini come al-Dalati, che operano lontano dai riflettori, in un gioco di ombre dove ogni mossa può cambiare il destino di una nazione.
La storia, come sempre, giudicherà. Ma per ora, in questa Damasco ferita ma speranzosa, il tessitore continua il suo lavoro, un filo alla volta.
*Presidente Centro Studi Cestudec
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