Siria, il Libano pronto ad aiutare il Paese vicino ma serve appoggio internazionale

Beirut. I sei anni di guerra civile in Siria, con il suo alto numero di rifugiati scappati dal conflitto. hanno inciso ed incidono anche nel tessuto sociale dei Paesi vicini. Il Libano, con il suo premier Saad Hariri, grida tutta la sua preoccupazione. “Siamo al bordo del collasso”. Mercoledì prossimo Hariri sarà a Bruxelles per una conferenza internazionale di appoggio alla Siria.

Immagini di guerra civile in Siria.

Il problema sono l’1,5 milioni di rifugiati e i 375 chilometri di frontiera con la Siria. Il premier libanese, Hariri, cercherà di convincere l’Unione europea ad aiutare il Paese medio orientale. Chiederà anche aiuti per rinforzare le infrastrutture ed il sistema educativo.

Il premier libanese, Hariri.

Ma per arrivare a questo occorrerà superare alcuni step: un accordo di pace, capire cosa vorranno fare le potenze internazionali con il presidente Assad. Dal quel momento il Libano potrebbe essere il punto nevralgico della ricostruzione. Hariri già propone il porto di Tripoli del Libano come base logistica da dove far partire la ricostruzione della Siria.

Il premier libanese fa un excursus storico, ricordando come dopo la guerra civile libanese (1975-1990) furono i siriani che aiutarono il Paese di cedri.

Immagini della guerra civile libanese.

Ma il Libano oggi è un enorme campo di rifugiati (25% della popolazione). Secondo i dati resi noti dal Banco Mondiale, la guerra siriana ha fatto perdere ai libanesi 17.300 milioni di euro. Contribuendo a mandare al collasso le già debolissime infrastrutture del Paese.

Hariri avrebbe in tasca una soluzione. Visto che l’Europa non vuole avere più rifugiati, non desidera che il Libano apra le sue frontiere fino al Vecchio continente come hanno fatto altri Paesi e visto che il Libano non ce la fa più, né tantomeno possiamo rimandare i rifugiati in Siria, senza garanzie di sicurezza, questa è la soluzione: la comunità internazionale finanzi parte delle infrastrutture ed il sistema educativo libanese. Ovvero, il Libano si prende i rifugiati ma pagano gli altri. Con questi soldi si possono creare, ragiona Hariri, posti di lavoro per libanesi e siriani e si può mandare a scuola i piccoli siriani.

La questione, dunque, oltre che sociale è economica. Vediamo come. Il primo ministro libanese sostiene che i soldi che la comunità internazionale dà (935 milioni di euro) per sostenere le truppe libanesi e gli aiuti umanitari sono pochi. Così come i 300 milioni di euro spesi per pagare la fornitura elettrica per i rifugiati stanno mettendo in crisi le casse dello Stato. Con le scuole libanesi in crisi nera per le infrastrutture.

Ma poi Hariri, evidenziando come non voglia lasciare senza copertura i fratelli siriani, aggiunge che è pronto a legalizzare la situazione di 400 mila rifugiati che vivono nel Paese, senza essere registrati dall’UHNCR dell’ONU.

Su tutto ciò c’è poi un’altra questione che preoccupa il primo ministro, così come la comunità internazionale: il terrorismo che si fonde con la crisi economica. Potrebbe essere un cocktail esplosivo.

E un ingrediente di questo cocktail è la grandissima, endemica, corruzione che, recentemente, ha portato in piazza migliaia di cittadini sotto le bandiere nazionali.

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