Storia: le arti marziali e il legame indissolubile con la guerra

Di Paola Ducci*

ROMA (nostro servizio particolare). Per millenni, la tradizione ha voluto che le arti marziali fossero legate indissolubilmente all’arte della guerra.

Affreschi nella tomba 15 a Beni Hasan, raffigurante tecniche di lotta

In ogni epoca ai soldati veniva, infatti, impartito un addestramento al combattimento armato e a mani nude che, codificato nel tempo, assumeva i caratteri di una vera disciplina.

Le arti marziali sono un retaggio di epoche in cui la sopravvivenza dell’uomo era legata allo scontro con le forze della natura e poi  tra altri esseri umani all’interno o all’esterno dei primi insediamenti antropici.

Alcuni esempi evidenti ci vengono dai popoli dell’antichità, come i samurai giapponesi o gli aristocratici della nobiltà guerriera in Cina, élite dell’Esercito che combatteva sotto il “cocchio da guerra”, con arco e frecce o con le alabarde.

Le loro tecniche di lotta hanno generato una molteplicità di stili da cui sono nate le arti marziali cinesi e giapponesi che ancora oggi fanno parte dell’identità culturale dei due paesi, anche se  in modo diverso.

L’antico Esercito thailandese studiava la Muay Thai non diversamente da quello attuale, così come quello coreano si addestrava nel Taekwondo e anche oggi le truppe di entrambe le Coree praticano ancora il medesimo sport.

Le arti marziali dell’emisfero occidentale hanno avuto meno fortuna attraverso i secoli: i greci praticavano il pancrazio, oggi pressoché scomparso, così come le tecniche di combattimento dei Medjai egiziani, degli opliti di Sparta, o le guardie pretoriane dei Romani, tutte truppe scelte i cui sistemi di addestramento e combattimento che li distinguevano dagli altri soldati si possono a tutti gli effetti considerare un’arte marziale.

Una scultura dedicata a pancraziasti in lotta

Nel mondo classico occidentale l’arte del combattimento corpo a corpo si andò affinando perlopiù in ambito sportivo, poiché  gli eserciti consideravano più importanti sia la tecnologia delle armi che la perizia tattica dei comandanti e la motivazione degli uomini.

Per quanto riguarda la tecnica vera e propria, il combattimento senza armi o con armi tradizionali quali bastoni o armi da taglio è fondamentalmente lo stesso da migliaia di anni, perché le leggi fisiche quali il parallelogramma della forza o gli aspetti biologici come la conformazione del corpo umano non sono mutate.

Colpi come i pugni, i calci, i soffocamenti, le rotture e chiavi articolari, sono state inventate e reinventate dall’uomo di ogni epoca e di ogni latitudine.

A partire dal XIII secolo, in seguito alla scoperta della polvere da sparo e fino ai giorni nostri,  l’evoluzione delle armi da fuoco portò in secondo piano lo scontro fisico diretto.

Lo sviluppo della tecnologia bellica ha  focalizzato l’attenzione su altri aspetti dell’addestramento militare, soprattutto in virtù delle più attuali e moderne esigenze operative.

Le arti marziali conobbero quindi un graduale declino e solo alcune, come il pugilato, la lotta e la scherma sopravvissero trasformandosi in sport per le classi elevate le  quali rimanevano anche, non a caso, le principali depositarie del mestiere della guerra.

Con l’avvento della produzione in serie delle armi da fuoco il combattimento ravvicinato cessò di avere  interesse presso gli Eserciti.

Se si escludono alcuni corpi speciali, come “commandos”, agenti segreti e così via, per i quali è assolutamente necessario possedere cognizioni di combattimento corpo a corpo, i soldati degli ultimi due secoli hanno potuto e possono tranquillamente ignorare qualunque arte marziale.

In quegli  stessi secoli in cui la spersonalizzazione della guerra le condannava al tramonto come strumenti bellici, le arti marziali hanno però al tempo stesso conosciuto la propria grande fortuna sportiva: l’era degli eserciti industriali è anche quella della diffusione del pugilato, la prima arte marziale di massa.

 

*Editor per l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa

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